Gli alberi: Cristina Bove, Claudia Brigato, Lucetta Frisa, Anna Magnavacca, Paolo Polvani.
di Cristina Bove:
Alberi calvi
le chiome già cadute in piena estate
un frego inciso
nel tenero del tronco e tra le braccia
battesimi di salici piangenti
_il fiume quasi orfano alle rive_
e come sfondo un cielo d’ospedale.
I tentativi di restare saldi
nel fitto radicale di golena
trascrivono sui ceppi storie e vite
_foto rubate quando c’era il sole_
Nei giardini han potato fino al nido
reminiscenze di germogli
reciso immaginarie fioriture
e tralci che sembravano di vento
sono rimasti a raccontare spogli
il bianco che si adegua ad ogni fiato
si rappresenta il vero: sui cippi delle strade
il numero tradisce il viaggiatore
la compassione esige che si taccia
all’albero morente la sua fine
:meglio uno schianto e abbattersi sul greto
nell’ultimo saluto: un guizzo ai rami
_l’addio delle radici alla radura_
***
di Claudia Brigato:
L’ombra di guardia alla casa
L’azzurro é un affondo già dal mattino.
Di tutto questo orizzonte scoperto non so che farmene.
Mio padre ha schiantato l’abete
davanti casa il cielo taglia come un’ascia.
Non c’é stato tempo
nemmeno per prepararlo all’ultimo Natale.
Ne sono certa, domani arriverà
pioggia a cancellare le rughe
dalla terra disossata
e dimenticheremo
l’ombra di guardia alla casa,
il rumore del vento tra gli aghi,
l’ inchino gentile dei rami carichi di neve;
dimenticheremo gli occhi
e la misura delle promesse che lo piantarono.
E sarà freddo l’inverno
con sola legna bagnata a scaldarci.
***
di Lucetta Frisa:
L’albero molto antico
L’albero molto antico ha radici così fonde che le foglie
non le ricordano: nascono muoiono, lontane da lui,
patria e padre così lo chiama
chi non segue il soffio dello spirito e vuole
fermarsi all’infanzia e non andare oltre.
E quando più non ci saranno le stagioni ?
Nessuna patria né inizio o fine
nessuna preghiera. Perché accadrà.
Quando, perduto il nome, un altro spirito
ci agiterà l’involucro svuotato di radici
pronto a colmarsi d’altro
o a non colmarsi più.
La grande Alba dell’albero si allarga allunga
cammina sottoterra cancellando il vuoto.
Per lui mai ci sarà tramonto.
Jacopo da Lentini non fu il primo
a scrivere poesie in italiano ?
mentre io parlo o scrivo non ricordo
i suoi versi ma non cammino cieca
sono nella luce delle parole
che di ogni cosa prendono il posto
del tempo e del respiro,
se certe cose certe scritture
lasciano scie lucenti e solide dietro di noi
porte spalancate
come sogni
grandi
da ereditare
se si vuole.
***
di Anna Magnavacca:
Meravigliosi gli alberi. Scrivono sulla “pelle” le tappe della loro vita. Ci sono piante giovanissime, altre vecchissime. Come noi umani…
COME ALBURNO
Piedi logori di scarpe
risate spente
buie chiare assonnate
popolano sedie come letti.
Intrusa nella confusione
di pelle corpi voci
colori sgargianti
e le parlate più strane.
Vorrei uscire, andarmene
forse perché ho il vestito blu
e l’occhio ceruleo.
No, resto dove sono.
Nel guardare i loro volti
sogno i mari cristallini
che hanno lasciato
per venire qui
dove signore è il cemento,
piombo il lavoro.
Hanno perso
il sorriso della luna
del sole
le radici dell’alba
ma – come alburno –
faranno cerchi e cerchi
diventeranno forti,
legno duro
che fiorirà
nel canto segreto dei grilli.
***
di Paolo Polvani:
Rami
Le radici sono viaggiatrici notturne, galleggiano
nell’umidità come astute talpe,
assaporano il divario della notte.
Rami che succhiano
la grazia scarmigliata dei torrenti del sole.
Le stagioni v’insediano piume e i giorni
vi fanno il nido.
Risplendono di una disadorna luce, lampeggiano
negli occhi degli uccelli.
Ansiosi di camminare sulla pagina bianca.