Gli armistizi delle maree: chiese e acque di Paolo Polvani.
Cattedrali impelagate
A certe cattedrali il mare sconfina tra le gambe,
ne sommerge la bocca, le assedia fin dentro il respiro
e loro masticano piano l’azzurro quieto:
le angosce vi si sciolgono, vi affondano le inquietudini.
Certe cattedrali ce l’hanno appeso al collo
l’azzurro del mare, si cuciono sul cuore
le architetture liquide delle meduse, il perimetro
dei calamari, lo sguardo immobile dei pesci.
Risplendono della gloria eterna delle bifore,
dello squinternarsi delle campane, dei campanili
che si sollevano sulle punte per specchiarsi nell’acqua.
I campanili
Qui ci compete il chiarore delle piazze.
Questa è la mia terra: l’indicativo presente
delle cattedrali, il bagliore algebrico
delle pietre. Quanti orizzonti hanno sostato
nella traccia del vento intorno ai campanili,
e derive di costellazioni, teorie degli equinozi,
la progressione aritmetica dell’ombra
e variabili per noi indecifrabili nella gloria
degli arcobaleni. Si dipana questa terra, si spiana
secondo un criterio orizzontale, per isobare
di vigne, per fragilissime ondulazioni di uliveti
che rendono ineluttabile l’incontro. Cosa
si addice ai campanili ? Gli armistizi delle maree,
l’azzurro che li circoscrive, un andirivieni di passi
e nodi di spaghi e aghi e chiodi e un fruscio di
becchi. I campanili si cibano di pioggia,
della diuturna consistenza della luce, si cibano
della meraviglia negli sguardi, della nostra sgualcita
precarietà, dell’incespicare della vita in bilico
tra una solitudine e un’altra solitudine,
si cibano dell’orizzonte che si allarga fin dove le campane
spandono un equatore splendido di suoni.
La cattedrale di Trani
La tua memoria sovrasta piazze chiare.
Vengo alla consacrazione dei tuoi venti
con l’azzurro
dei cortili,
con l’alfabeto buono delle pietre.
Risalgo gli scalini che conducono
al silenzio del dio
nascosto nel fragore di burrasche,
e penso con gratitudine all’assenza,
e bevo l’aria di mare
e la mia solitudine
come un miracolo
e sono allegro come una bifora.
Con lingua salmastra, obliqua, ti lambisce,
ti circuisce il mare,
con ridenti parole di schiume,
di sale.
Le ali dei gabbiani ti sfiorano in un soffio.
Le concave navi ancora inghiotte
l’orizzonte.
Vengo a te deferente.
Ti porto con me come un segreto, una
reliquia di luce.
La tua perfezione prorompe in gioia,
silenzi, aurore.
Caro Paolo credo siano fra le migliori liriche che hai mai scritto, hanno una beata ricchezza d’immagini, e quel fascino che solo la vera poesia conosce.Il tuo indagare nel mare del non-detto vola da un cielo all’altro e coglie intuizioni, accostamenti inediti usando sempre e solo la verità della parola, il suo universo popolato da metafore, da felici campiture di luce. E’ nitida, generosa, fluente la bellezza dei tuoi versi, è un respiro che ti unifica a quello che scrivi, alla tua terra, al tuo stesso e al nostro stupore.