Habeas corpus di Pasquale Vitagliano, Editrice Zona 2015, recensione di Federico Di Bisceglie.
Habeas Corpus. È questo il nome della silloge poetica dello scrittore Pugliese Pasquale Vitagliano. Il “Corpus” al suo interno racchiude una grande quantità di tematiche trattate,molte delle quali di grande attualità,ed è la testimonianza ‘viva’ del fatto che la poesia possa essere utilizzata come mezzo efficace per denunciare le molte difficoltà che coinvolgono in maniera più o meno diretta il nostro paese,ed in particolare alcune regioni. È testimone di ciò uno dei primi versi dell’opera: In questi ultimi anni
sono stato trattenuto alla deriva,
deviato dal mio tragitto e preda del passato.
Attraverso queste poche parole l’autore in prima persona interpreta il senso comune di uno stato intero,di una nazione,di un popolo. È assimilabile alla dantesca ‘nave senza nocchier ‘ riportata da Sordello all’interno del canto sesto del Purgatorio. Un’ altro elemento sul quale è bene prestare attenzione è l’associazione allegorico-contenutistica operata dall’autore nel trattare il tema della notte e della morte. A questo proposito Vitagliano inserisce nell’opera due liriche:”la brutta notte” e in modo particolare “ogni notte è una morte”. ‘Ogni notte che dormo,muore ogni mia paura di morire’. Ecco,questo verso è la sintesi di ciò che per l’autore rappresentano la notte e la morte,quasi ad indicare una coincidenza fatale,una concausa inscindibile. L’intera silloge è permeata di una sorta di malinconia,che è volutamente ostentata dall’autore,per garantire maggior efficacia alla poesia,per aumentare il livello di emotività nel lettore. Sebbene l'”habeas corpus” abbia come velata finalità quella di denunciare numerose problematiche,e che quindi sia inevitabilmente veritiero e cupo,lascia sempre uno spiraglio di luce,una speranza,una ragione profonda da perseguire,che vada al di là di qualsiasi cosa. La suddivisione del testo in ‘colori’ è particolarmente significativa e singolare,e si può presumere che la scelta di essi sia tutt’altro che casuale,ma che invece sia frutto di una riflessione interiore che ha indotto il poeta ad assegnare un colore a seconda di ciò che poi andrà trattando nelle liriche ad esso corrispondenti.
Presumibilmente il tutto potrà risultare molto astratto, ma i versi seguenti possono dare lumi e indurre ad una curiosità maggiore.
Giallo: “Non c’è più un carico da riscattare,
sono la carena vuota che risuona solo del suo destino”.
“Ero rimasto a casa deluso che non accadesse nulla.
Mentre questo posto si è trasformato in un altro”.
“Come chiameresti tutto quello che abbiamo visto oggi?”
Rosso: “Vorrei andare al cinema
a rivedere la mia storia”.
“Non preoccuparti, se non ci fosse l’alba
nemmeno te ne accorgeresti”.
“Adesso che non faccio più lo stesso sogno ho capito
il significato.
È
che non ho più nulla da dire.
Senza rimpianto”.
Nero: “Sembro l’allegoria meccanica
che batte a mezzogiorno
su una piazza senza turisti”.
“Tutto scivola via senza coscienza, non hai più memoria.
E non te ne duoli, è andata così”.
Tutti questi sono versi corrispondenti alle suddivisioni cromatiche operate dall’autore,ma c’è una lirica intitolata “poetica” che è doveroso riportare per intero,in quanto racchiude al suo interno il senso stesso di fare poesia, il senso stesso di essere poeti, il senso stesso di scrivere.
“Poetica”
È
così difficile
portare in versi il vento tra i rami degli alberi,
ma un’idea sì, con una idea si può fare poesia.
Anche se resta imperfetta, in bianco e nero,
ancora muta, e senza montaggio.
Accetto la sfida di essere parola senza voce,
immagine senza movimento,
azione senza stacchi di macchina,
un unico piano sequenza di sillabe.
proprio difficile emozionare con la poesia.
Ma con un’idea sì, con un’idea si può fare poesia.
E l’idea qui è che non c’è mai la fine,
e ogni parola non è mai l’ultima ma la prima,
capace di toccare il polso con il pollice”.