Hai figli splendidi, mia cara. Inediti e editi di Francesca Del Moro.
Francesca Del Moro è scrittrice, traduttrice, editor, performer e organizzatrice di eventi legati alla poesia. È nata a Livorno nel 1971 e vive a Bologna. È laureata in lingue e dottore di ricerca in Scienza della Traduzione. Ha pubblicato le raccolte di poesia Fuori Tempo (Giraldi, 2005), Non a sua immagine (Giraldi, 2007), Quella che resta (Giraldi, 2008), Gabbiani Ipotetici (Cicorivolta, 2013), Le conseguenze della musica (Cicorivolta, 2014) e Gli obbedienti (Cicorivolta, 2016). Nel 2014 LaRecherche.it in collaborazione con Poesia 2.0 le ha dedicato l’ebook antologico Interni, notte. Ha curato e tradotto numerosi volumi di saggistica e narrativa ed è autrice di una traduzione isometrica delle Fleurs du Mal di Baudelaire, pubblicata da Le Cáriti nel 2010. Ha contribuito come poeta, traduttrice e performer ai cataloghi, alle opere di videoarte e alle performance di presentazione delle mostre collettive di arte contemporanea Scorporo (2011), Into the Darkness (2012) e Look at Me! (2013), tutte curate da A. M. Soldini. Propone performance di musica e poesia insieme alle Memorie dal SottoSuono, con cui ha inciso due brani inclusi nelle compilation Leitmotiv 13 (2013) e Leitmotiv 14 (2014) prodotte da Fuzz Studio e ha partecipato alla realizzazione del primo album omonimo (2016). Nel 2013 ha pubblicato la biografia della rock band Placebo La rosa e la corda. Placebo 20 Years, edita da Sound and Vision. Dal 2007 organizza eventi in collaborazione con varie realtà bolognesi e fa parte del comitato organizzativo del festival multidisciplinare Bologna in Lettere. Cura la rubrica “Poemata. Versi Contemporanei” per la rivista ILLUSTRATI edita da Logos.
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(senza titolo)
Hai figli splendidi, mia cara
– e non solo: hai tutto
splendido-splendido,
malgrado loro. Mia cara,
s’arrota la erre, tintinnano
tazze di tè nell’autosalone
– il figliosalone o, alla latina,
il puerisalone – abbiamo figli
cromati figli fiammanti figli
con tutti i comfort figli
nuovi e usati come nuovi.
Tu ammira, prova, compra:
la donna del terzo millennio
ancora gongola.
*
Tu dici le madri
Tu dici le madri
e io penso agli alti muri spogli
di imponenti case antiche.
Tu dici le madri
e io penso a un gruppo di pioppi,
a terra rossa e acque sorgive.
Tu dici le madri
e io penso agli ex-voto,
a statue d’argilla senza volto.
Tu dici le madri
e io penso alla donna
come a un’idea, come a una cosa.
Tu dici le madri
e io non penso mai a un pensiero,
a una persona.
*
Aborto
Il dubbio l’attesa
l’angoscia la paura
la speranza il diniego
la scoperta lo stupore
la paura le parole
le parole le lacrime
le grida il dubbio
l’analisi i pro e i contro
la previsione il confronto
il rovello le parole
la decisione le lacrime
il rimpianto le visite
la prenotazione il rimorso
l’angoscia la paura
il dubbio l’attesa.
Tutto questo
in un attimo
è sparito
nei loro occhi
pieni di disprezzo
e il cestino del pattume
in mezzo alle gambe
ha fatto il resto.
(da Gabbiani Ipotetici, Cicorivolta 2013)
Alla madre
Hai un lavoro,
hai una casa,
hai una figlia.
Hai una macchina,
hai una casa al mare,
hai una figlia.
Hai una seconda macchina,
hai una pensione,
hai una figlia.
Mamma, mi hai mai vista
come qualcosa di diverso
da una di queste proprietà?
Mi hai mai guardata
con attenzione e curiosità
come se fossi di più
di una conquista,
di un passo avanti nella vita?
Mi hai mai considerata
con interesse e stupore,
come se fossi di più
della figurina che manca
nell’album delle tue vittorie?
Perché ti senti a posto
quando ripensi a ciò che hai fatto,
quando allinei una dopo l’altra
queste briciole di pane
per cui ritrovi sempre
la strada giusta per te stessa?
Perché non ricordi
i miei pianti fuori dalla scuola,
le mie serate in camera da sola?
Perché non ripensi
alle due volte in cui ti ho aperto il cuore,
a come ci hai infilato le mani
mentre voltavi gli occhi altrove?
Non ti accorgi
che non posso toccarti,
non riesco a baciarti,
nel tuo viso non mi riconosco,
non ritengo possibile
che il mio corpo sia stato nel tuo corpo,
non sento l’eco di nessun abbraccio,
neanche il ricordo di una carezza?
(da Quella che resta, Giraldi 2008)
*
Per un figlio, solo uno
Per un figlio, solo uno,
non due o tre
o addirittura cinque,
una nidiata da sbalordire.
Non il ventre fecondo
delle nostre nonne,
non i fianchi orgogliosi
delle donne del sud.
Non le mani possenti
delle antiche matrone,
forti nell’impastare.
(A quando il fratellino
e la femmina la vuoi?
domande morte tra le cosce)
Per un figlio, solo uno
il piede pesante di un uomo
sopra la mia testa,
le sue avide radici
gonfie della mia linfa,
il terriccio-donna
inaridito dalla pianta
saprofita.
Per un figlio, solo uno
la mia rinuncia
la mia miseria
quello che potevo fare
quello che potevo avere
quello che potevo essere.
Di tutte le vite possibili
rimangono notti
ad addentare le lenzuola,
a ubriacarsi di orologio,
rimangono sere
di grembiuli e sporco sulle mani.
(La gente non fa più figli,
chissà perché)
Per un figlio, solo uno,
chino la testa
davanti al capo ignorante,
non alzo più la voce,
accetto l’ingiustizia.
Per un figlio, solo uno,
non so più tentare,
non so più rischiare,
per lui mi venderei,
ruberei, ucciderei,
tradirei, accetterei
ogni ricatto e compromesso.
Per un figlio, solo uno
la solitudine più nera,
il mio totale fallimento,
il senso di non-esistenza.
(Bassa natalità,
colpa dell’egoismo
o della precarietà?)
Per un figlio, solo uno
poche foto nei cassetti
pochi piatti sulla tavola
pochi letti nella casa.
Per un figlio, solo uno
una vagina ancora stretta
un utero quasi imballato
troppi ovuli al macero
niente premio produzione.
(Sotto la media:
un fenomeno preoccupante.)
Poco madre, poco donna,
genitali monouso.
Per un figlio, solo uno
capitato per errore,
amato subito, troppo amato.
Una donna
per modo di dire,
per un figlio, solo uno.
(da Non a sua immagine, Giraldi 2007)
*