I muri di Stefano Severi

I muri di Stefano Severi.

   

   

Stefano Severi (1976) è poeta narrativo (“Sembra sia la pioggia – racconto in versi per il teatro”, Book Editore, Ro Ferrarese 2011) e poeta lirico (“Diario di Parigi”, Bologna 2012; “I Muri – Risveglio in America – 30 dicembre 1999”, Bologna 2013). Docente e musicista, sperimenta nelle sue performance di sound poetry (poesia sonora) l’uso del campionatore digitale e dei sintetizzatori. Fra le sue tematiche più significative si annoverano l’amore, il dialogo con i morti e i rapimenti yeti. Mentre “Sembra sia la pioggia” è attualmente disponibile in libreria, i suoi ultimi volumi possono essere richiesti all’indirizzo poetianonimi@libero.it. E’ membro del “Gruppo 77” di Bologna.

923022_467477896662061_1807070443_nStefano introduce le proprie poesie:

E’ una suite sulla lontananza. La donna (la Ragazza Invisibile & Sorriso) parla in corsivo, l’uomo (il Poeta di Lontano) con la grafia normale. L’idea era quella di creare un dialogo impossibile fra persone lontane. Forse uno dei due è in un’altra città, o è improvvisamente morto e non se ne è ancora reso conto; forse è stato tagliato fuori dalla vera vita a causa di una malattia che gli annebbia i pensieri. Forse non è mai esistito. Un dialogo come… attraverso un muro: fisicamente vicini, si è impossibilitati a comunicare veramente, a toccarsi. Il finale unisce la nascita del mondo secondo la mitologia greca alla terribile sacralità di ogni nascita umana, di ogni nuova incarnazione. L’amore con un fantasma, con chi non c’era più ed ora è tornato, quindi? Forse. Di sicuro arrivano piccoli oggetti dimenticati a materializzarsi come dal nulla e a parlare dell’altra persona: piccole chiavi, lanterne. Toccate e fughe all’organo. Allarmi improvvisi che rendono i sogni inquieti. La presenza, meglio, l’assenza apparente di Dio. Voci, grida e risate che ti chiamano; forse solo ricordi, forse segni di qualcuno che sta cercando di comunicare con te – eppure non lo senti. E’ come essere da due parti dello stesso muro, abitare la stessa casa in epoche diverse; uno è vivo, l’altra non sa di essere scomparsa e rimane come un’ombra dietro la tenda, lungo i muri. S.S.

Nicoletta Ceccoli

I MURI

   

(JANE DOE: negli Stati Uniti d’America e in Canada nome fittizio attribuito a una persona di sesso
femminile le cui generalità rimangono sconosciute o segrete. Viene utilizzato anche nel caso di donne prive di documenti ricoverate negli ospedali o rinvenute morte, la cui identità non può essere
accertata.)

(Io, Ragazza Invisibile & Sorriso
Io, Ragazza Invisibile & Silenzio
Jane Doe, Nessuna, Bara Vuota, Amore
Jane Doe, Nessuna, Amore Lungo un Grido
che parla col silenzio di ogni giorno.)

   

I.

   

Piccolo Grido, io non vorrei turbarti:
questa messa solenne in re minore
non ti appartiene, non è cosa tua.
La vita scorre sola e il tuo pensare

   

piano al passato ha zittito il mio labbro
mattutino. Non vedi questa casa
che sussurra a te: Ombra! Sei radente
i muri e non ti sento quando ami

    

dentro di te, la notte; dentro il buio
rivendichi la vita, a voce alta
un letto, un nome. Però ombra sei,
e nel mattino ricordi la pietra grigia,

    

non ricordi, non pensi: dormi e basta.
Ti muovi dentro un sogno e non riposi.
La vita, che per te lenta si affretta,
perde fili di sabbia camminando

    

al tuo fianco, ma come io soltanto
vorrei accompagnarti a fianco a fianco;
tu, a passo a passo, gridi trasparente:
(“Di più, di più…”). Cammini trasparente

    

e non sai che non è questa la vita
che ancora ti sorride e ti governa,
Piccola Chiave, Piccola Lanterna,
non vedi questa casa che sussurra

    

a te: Ombra! Rasenti sul selciato
i passi cittadini e non lo sai
che non sono più tuoi. Sei radente
il muro e non ti sento quando dormi

    

e oscuri la tua notte nel tuo buio.

   

II.

   

(“Stanotte ho proiettato via quel film
piuttosto strano di quando vivevo
in un’altra famiglia ed ero grande.

    

Forse fragile fra lame di angelo
dicevo cose, poi non ricordavo;
libera no, ma libera davvero.”)

 nicoletta ceccoli   

III.

   

E’ triste amare il mondo dentro un giorno
di sole senza il tu, senza estensione;
dire ti amo, ma non so chi sei.
Sirene nella notte alla rincorsa

    

solo del ; l’amaro effetto doppler
ricalca e poi richiama mille vite
che hanno preceduto la presente
e viva in copie in carta di carbone.

    

Ti svegli già spogliato, già sudato
sul pungolo espressivo nel cuscino;
Poeta di Rincorsa nell’allarme
generale del giorno, inquietamente.

    

IV.

   

(“Ed era caldo quando un uomo prese
queste parole: Io voglio conoscerti,
sapere, e non mi colse veramente

    

in punta di carezza; ogni carezza un taglio,
audacemente lui che mi raccoglie
in palmo, dove di lacrime restano

   

incerti i segni dei destini: mai
conserti, incerti canyon. Due destini:
Poeta di Lontano; Incerto Cielo

    

io, Ragazza Invisibile & Silenzio.”)

nicoletta ceccoli   

V.

   

(“Tu parlerai per me,”) dicesti infine;
dimenticavo l’amore in un angolo,
allora, come un sorriso discreto.
Imperdonabile senso di colpa

    

ciò che mi affligge e (“Non ti sento, Amore,
non ti sento…”). Perché riduci il Nulla
su muri bianchi di calcina, d’ambra
rosso dorata che non sazia (“Mai!”).

     

L’ora che volge è di un rosso dorato
che non rispecchia mai la sensazione
(“Dolce!”) di averti perduta in un bacio,

    

forse il mio; nella rima di un Poeta
hai rotto il palmo e la linea del cuore
e sgorga amara polvere di sangue.

    

VI.

    

(“Non sono più sicura di potercela
fare qui insieme a Te, mio buon Signore.
Del Cielo e della Terra il Redentore,

     

che poi non è Tuo Figlio, ma del Dio
che sta più in alto di Te, non rammento
il Nome. Grave. In Cristo o in Anticristo

   

fia salute. Il Tuo pane non mi sazia.
Il campanello è spento o scancellato.
Smunta la traccia chiara del passato.”)

     

VII. E FINALE

    

Quando nel giorno abita il luogo e il luogo
si riversa nel giorno, tutto torna.
Ti trovo in angolo di sala, in lacrime
Filo Perduto (filo della mente),

    

Lachesi od altra Moira, figlia d’Erebo,
di Notte chiusa in camera da sola.
La paura del Guscio che spalanca
taglienti lembi e denti di una Terra

    

appena nata in un secondo Cielo.
Emera dalla Tenebra, e non altro.
Virgilio o la Coerenza van rollando
le cannule o cannucce; arundo o penna

     

a sfera per cantarti e già descriverti
nel pallido ritratto di una morta,
di Piccola Ragazza, Giorno o Sonno
o Thanatos gemello, Pargoletta.

    

Mia Piccola Lanterna, o Luna Nera
sul muro, o Viso Disumano, Luna.
Di Diana la faccella. Monna Lisa,
ti attardi in un bellissimo sorriso.

    

Sospendevi la voce dentro un grido,
ed io rinchiuso in un terrore anonimo
come colui ch’è tra profano e sacro
di un Oltrefinestrino Fiatpanda.

    

E se mi dormi accanto mi comprendi
nell’energia che ogni giorno mi assorbi,
non vedi e non mi senti e non mi ascolti
Lachesi o Parca, Pargoletta d’Erebo

    

Granarolo dell’Emilia; 8 dicembre.

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