I poeti e il paesaggio di Daniela Pericone.
Da sempre i poeti cantano la natura in tutte le sue espressioni, la molteplicità delle forme dell’esistente costituisce per ogni artista una fonte inesauribile d’ispirazione.
Non esiste poeta, neanche il più ripiegato su se stesso, che non abbia attinto agli elementi della natura per delineare corrispondenze con i propri stati d’animo e le proprie emozioni, rappresentato la propria visione dell’esistenza richiamandosi alle trame e ai colori del paesaggio.
Elementi primigeni come terra, aria, acqua e fuoco, che variamente ricombinati danno corpo alla complessità dell’universo, sono segni tangibili delle forze che muovono il mondo, inestricabilmente legate alle emozioni e alle azioni degli uomini, nel contempo specchio e sostanza della vita. Il poeta è incline a percepirne l’incanto, penetrarne i segreti, accoglierne i semi di luce e oscurità. La natura e i suoi paesaggi, combinati e accordati a comporre una partitura universale, sono fucina inestinguibile di creatività.
Sotto le orme
Solo distese
sconfinate e deserte
sotto le orme dei miei passi.
Sono rive inesauste
– non si scorge né altura né fronda –
raggiunte da un’acqua perenne
che fruscia rasente imitando
il rumore del cosmo,
dei fuochi che attraggono
e dei lampi contrari
– una forza che spinge
dove un’altra ritrae.
E’ il suono segreto dell’essere soli
e fa sorvolare galassie e guardare
materie e millenni di fossili
permanere, durare, eppure sparire.
Polvere rubra di marte,
nevischio lunare o liquida terra
che chiamiamo mare
è solo materia che cambia pelle
più densa più rada
fino al soffio sfrangiata.
Rifuso a un bagliore di stelle
s’accorda con fermo pulsare
anche il mio lento mutare.
Da qui il lago
Da qui il lago si vede benissimo.
La distesa d’acqua lambisce la punta
dei piedi e sono tentata di tirarla su
dai lembi come una coperta color piombo
per riuscire a sventare il freddo.
Il freddo viene da fuori
e viene da dentro, alternandosi
per non lasciarmi mai sola,
ma restando sempre solo freddo.
È un compagno vuoto
e immobile, così immateriale
che sembra non esista,
invece ti afferra tenace, trasmette
durezza di tendini e muscoli,
e se passando davanti a uno specchio
tu potessi guardare il tuo corpo
privato dei fronzoli della carne
e dei vestiti, vedresti
quello che sei diventato,
un albero scuro e secco che protende
le braccia nodose in sterile
protesta contro il cielo.
No, nessun lago in cui avvolgersi
servirà a ritrovare calore.
Altro fine dovrebbe avere,
altra fine potrebbe dare.
Quando ci penso quasi mi sembra
di avvertire il guizzo di un fuoco
che una vita a pochi gradi
come la mia
ha perduto tra le nebbie degli anni.
E dunque mi accendo
per infinitesimo istante
all’idea di una via,
di uno scivolo dolce, indolore, incolore,
da un gelo che non tollero più
verso un sonno
verso un pacificante non so.
È un pensiero lungo un momento
o forse ore, pensiero di ghiaccio
che dà tepore quel tanto che serve
a rientrare ai contorni delle cose,
al tocco concreto delle mani
con sangue un po’ più caldo di prima.
Il freddo è così vicino alla paura
di vivere che bisogna stare
all’erta per non diventare preda
senza scampo
ora dell’uno ora dell’altra.
Forse è da qui che gelano le membra,
dal timore di muovere il passo
su una via non conosciuta,
a destinazione ignota: ma chi,
chi mai agirebbe se sapesse
esattamente la fatica
e il dolore che lo attendono,
solo un pazzo potrebbe
o un predestinato.
Mille volte meglio non avere affatto
contezza del futuro e tenersi
la libertà delle illusioni
e i diagrammi del possibile.
Sì, da qui il lago si vede benissimo…
Silenzio d’inverno
Nel lungo silenzio d’inverno del mare
quando gli occhi diventano grigi
per il troppo guardare le nuvole,
in strepito gelido s’intrufola un vento
che afferra quei cirri ed in fiocchi
li sfoglia sugli archi dell’acqua
con folate d’argento sospinge le onde
le invoglia a baciare l’altare di sabbia,
e in languida processione s’avvicendano
le maree, genuflesse alla sponda
adorata, in pallida scia ridisperse
al richiamo impetuoso d’oceano.
da Aria di ventura, Book Editore, 2005
ciao Daniela
ritrovare queste poesie mi ha costretto violentemente ad andare a riprendere in mano il tuo primo libro, altrettanto bello del secondo, e ” da qui al lago ” è una poesia di quelle come certi quadri che quando li hai guardati ti costringono a tornare indietro e riguardarli, talmente sono belli.
grande
Grazie, Luigi, del tuo bel commento. Credo che ogni poeta tenti di fare questo, con le parole figurare visioni, paesaggi esteriori e interiori, l’uno sovente specchio dell’altro. In attesa che a ogni nuovo sguardo si rivelino particolari inattesi…
Piacevolmente ho riletto le tue poesie che esprimono sempre sentimenti profondi e autentici.Complimenti e un’arrivederci a presto.