I presagi nefasti (da Vāyu-purāṇa, 19, 1 sgg.), di Laura Liberale.
La trattazione dei presagi di morte, come ben si sa, è diffusa presso la maggior parte delle culture, non esclusa quella tradizionale hindū.
Propongo qui un passo purāṇico[1] che mescola, in modo assai colorito, quelle che verosimilmente potrebbero dirsi conclusioni tratte dall’osservazione empirica degli stati patologici con una fantasiosa rassegna di segni e sogni funesti.
“Vāyu[2] disse:
Da adesso esporrò i presagi nefasti, dalla cui conoscenza sappi che si prevede la propria morte.
Colui che non veda Arundhatī[3], o la stella polare, o l’ombra della luna, o il mahāpatha[4], costui non vive oltre un anno.
Colui che veda il sole senza raggi e il fuoco con raggi, costui non vive oltre l’undicesimo mese.
Colui che vomiti urina, sterco, oro o argento, sognando o da sveglio, costui sopravvive dieci mesi.
Colui che si fratturi un piede, nella parte anteriore o posteriore, in un luogo sabbioso o melmoso, costui vive per sette mesi.
Non supera i sei mesi colui sulla cui testa si posi un corvo, un colombo, un avvoltoio o un qualsiasi uccello carnivoro.
Vive per quattro, cinque mesi colui che venga bloccato da stormi di corvi o da una tempesta di sabbia, o che veda un’ombra strana.
Colui che, in assenza di nuvole, verso sud, veda un fulmine, dell’acqua, o l’arcobaleno, costui vive due, tre mesi.
Se non si vede il proprio riflesso nell’acqua o in uno specchio, o se lo si vede senza testa, non si vive oltre un mese.
Qualora il corpo puzzi di cadavere o di grasso, la morte è imminente. Si vive per una quindicina di giorni.
Se un vento sferzante colpisce i punti vulnerabili del corpo, o se, a contatto con l’acqua, non vi è reazione, la morte è imminente.
Se si sogna di dirigersi cantando verso sud, per mezzo di un carro a cui siano aggiogati orsi e scimmie, si sappia che la morte è imminente.
Colui che sogni una donna scura e dalle vesti scure che, cantando, lo conduce verso sud, costui non sopravvive.
Di quell’uomo che sogni di indossare vesti bucate e nere o di avere un orecchio rotto, si sappia che la morte è imminente.
Colui che in sogno sprofondi fino alla testa in un mare di fango, costui non sopravvive.
Colui che veda (in sogno) ceneri, carbone, capelli, fiumi in secca, serpenti, costui non sopravvive dieci notti.
Non sopravvive colui che in sogno sia colpito con pietre e armi impugnate da orridi uomini neri.
Per colui che all’alba, al sorgere del sole, venga avvicinato direttamente da uno sciacallo ululante, la morte è imminente.
Per colui che provi un forte dolore al cuore e una sensibilità morbosa ai denti dopo aver fatto un bagno, ciò è annuncio certo di morte.
Per colui che di giorno o di notte ripetutamente boccheggi, o che non senta l’odore di una lampada, si sappia che la morte è imminente.
Colui che veda l’arcobaleno di notte, le stelle di giorno, e non il proprio riflesso negli occhi altrui, costui non sopravvive.
Colui che lacrimi da un solo occhio, le cui orecchie appaiano deviate, il cui naso si storca, costui va visto come morituro.
Per colui la cui lingua sia nera e ruvida, la cui faccia abbia la tinta del fango, le cui guance siano scavate e arrossate, la morte è imminente.
È prossima alla fine la vita di colui che, coi capelli sciolti, ridendo, cantando e ballando, (in sogno) si diriga a sud.
La morte è imminente per colui le cui gocce di sudore siano simili a senape bianca.
Non sopravvive colui che (in sogno) si diriga a sud, su un carro a cui sono aggiogati brutti asini e cammelli.
Assai nefasti questi due presagi: le orecchie che non sentono un suono forte e gli occhi che non vedono la luce.
È al suo termine la vita di colui che, in sogno, cada in un fosso senza possibilità di uscire o di sollevarsi.
Di cattivo auspicio l’occhio che si volga di continuo in su, si faccia rosso e roteante, la bocca che diventi bollente, l’ombelico che si perfori e l’urina fattasi ardente.
Se, di giorno o di notte, uno viene direttamente colpito e vede il picchiatore, costui non sopravvive.
È al suo termine la vita di quell’uomo che, in sogno, entri nel fuoco e, (una volta sveglio) non ne conservi ricordo.
La morte è imminente per colui che, in sogno, veda di colore rosso o nero i suoi vestiti bianchi.
L’uomo saggio si liberi dalla paura e dal dispiacere per l’approssimarsi della morte annunciata dai presagi.”
La sezione testuale termina con alcune prescrizioni yogiche culminanti nel riempimento del corpo con la sacra sillaba oṁ, il che equivarrebbe all’attingimento di una condizione imperitura. Ricordiamo che tale condizione può, beninteso, essere raggiunta anche con altri mezzi: la conoscenza salvifica, le opere pie e i sacrifici, le svariate pratiche devozionali; ma il nostro testo vuole celebrare la potenza dello yoga, legandola naturalmente alla figura del dio che dello yoga è Signore, ovvero Śiva.
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[1] I Purāṇa (lett. “Antica [recitazione]”) sono una categoria di testi sacri, fissati in un canone di diciotto opere “maggiori” e comprendenti una grande varietà di argomenti. Fra essi, il Vāyu-purāṇa è considerato uno dei più antichi e autorevoli.
[2] Vāyu è il dio del vento.
[3] La stella Alcor, appartenente all’Orsa Maggiore.
[4] “La grande via”: è il nome del pellegrinaggio al luogo sacro a Śiva sul monte Kedāra.