I ragni, inediti di Furio Detti.
FURIO DETTI è nato a Livorno (ITALY), il 4 ottobre 1972. Vive e lavora a Bientina (PI – Toscana, Italia), è docente, designer, traduttore, content manager, copywriter e fotografo. Si considera egli stesso “uno strano animale”: avido di esplorare e sperimentare i media e la relazione fra testualità e codici visivi. Pratica il kendo e ama indagare l’idea di “confine”, quale sottile, ambiguo e variabilmente osmo- tico ambito che separa concetti, idee, oggetti e situazioni,così come le strutture pensa- te e logiche.
Ha tradotto in italiano la poesia di Darko Suvin.
Ha vinto il 2° posto agli Slam poetry Contest (LIPS Italy) di Trieste e Udine, 2016. Ha vinto più premi al concorso “Premio Teatro Aurelio” a Roma (2016).
Partecipa al gruppo di poesia TOF Testo Originale a Fronte, Versilia.
Ama libri, spade, uccelli e gatti in particolare. Pensa e idealizza la donna della sua vita come un’oca.
*
UNA POESIA ALLA CARVER
Da quando ho cambiato
batterie alla lampada
da camping va molto meglio.
Così alla forte luce fredda
posso vedere un ragno
minuscolo – persino
avanti alla punta della stilografica.
Lo soffio via, me lo
ritrovo subito al punto
di partenza,
del Monopoly sulla pagina
stampata.
Non è uno. Sono due, no…
Sono tre, almeno
cinque ragnetti, forse
sette, microscopici,
in tutto.
Pallidi, d’un verde slavato,
acquosi a fissarci l’occhio.
E soffio, e soffio e soffio.
Un po’ per indagine
un po’ per non schiacciarli
scrivendo. Dico
a Linda:
«Sai, ho dei ragni piccolissimi
sul tavolo, se soffio
– è buffo – non si spostano,
solo
ritirano le zampe a sé
di botto, e quando smetto
come ombrelli
si riaprono e ripartono.»
«Sono soli al mondo
– mi risponde la donna
senza cui mi sento morto
se l’aspetto dal lavoro, a casa –
se si fanno male
nessuno può curarli. Devono
aver cura del
loro corpo.»
Capisco e li guardo.
Io, Linda, la gatta accanto
ai quaderni e ai libri,
e sei ragni,
o fan sette,
tutti soli.
Un po’ come
certi oggetti su un tavolo.
Ferragosto 2016
***
RECUPERO
Il ragno (una Tegenaria?)
che vive sul mio lampone
alla porta di casa,
sospeso, come se volasse
– so che è al centro della sua tela,
un impero invisibile e fragile
ma suo –
sta divorando una vittima.
Poi quell’insetto nero
gli sfugge e dritto, come a filo
a piombo,
cade a terra.
È perso.
Il ragno allora, con precisione
meccanica, ruota: un mezzo giro
al modo delle lancette
di un orologio rimesso
in sesto
(ma che ne sa LUI?)
Come volesse tornare,
il ragno, al momento
in cui teneva la preda
fra le zampe.
17 agosto 2016