I poeti muoiono di notte: Marco Ribani, Antonella Lucchini, Lorenzo Spurio.
Vi proponiamo il punto di vista sul tema del mese di diversi autori, con una sola poesia a testa, a esemplificazione e dimostrazione di come la parola poetica possa fornire una molteplicità di spartiti aderenti a un medesimo assunto:
Marco Ribani
Mia madre nascose al suo interno la mia immagine
e non la partorì. Partorì la carne, ma si tenne il mistero.
In vita mi trattò sovente come uno sconosciuto.
Spesso vedendomi mi cacciava tra le mani una moneta.
Mi chiamava Luciano.
Oppure con fervore improvviso mi prendeva le mani
”Vuoi conoscere Luciano?” No mamma, non m’importa
Va bene così.
Chi crede che io sia mi domandavo. A volte all’improvviso
cercava di baciarmi sulla bocca. E io spingendola via
Mi domandavo chi ero. Cosa vedeva quando mi guardava
Cosi a lungo che sentivo il calore dei suoi occhi sul mio culo.
Così fu il dubbio che prese il sopravvento.
Chi ero io se persino mia madre non mi riconosceva.
Non c’è peggior condanna per un impostore
di quella di dimenticare di chi si è preso il posto.
Così in questa vita che pure è stata mia
ho recitato ruoli sempre secondari perchè
il protagonista sconosciuto era sempre altrove.
Adesso sono stanco ma non oso morire
Un poco per paura di come sarò da morto
ancora un impostore e quindi vivo? Oppure
sarà lui a prendere il mio posto beffandomi
perchè non lo vedrò mai?
***
Antonella Lucchini
Madre addolorata
che ti sei staccata
un’estate senza spighe
prendendoti il colore del mio sangue
bevendomi tutte le lacrime
oltre gli occhi e le loro ossa,
custodisci
il succo del mio dolore
amalo
come io non ti ho mai detto
tienilo dentro le tue mani fredde
e passane un grano alla volta
tra le dita rigide,
rosario della placenta che resta
silenziosa
dall’utero alla vita
e dalla vita alla morte.
Sei fluttuante
in ogni emisfero dei giorni
che si aggiungono uno dopo l’altro
nelle frecce di luce
solida e fosforescente
che mi accarezzano e che so
essere la tua forma.
Sei madre, per sempre,
mia
e io per sempre figlia
tua;
anche negli ultimi giorni,
bambola di figlia,
mentre ti lavavo e accudivo,
riportando indietro il tempo, rovesciato.
Ti sei liquefatta oltre l’ultima porta
mentre il mio grembo
partoriva la tua morte
e il distacco strappava
l’erba al nostro giardino.
(Ho smesso le rose).
Abbi cura di te
splendi
e passami vicino la notte
se puoi
e i giorni in cui mi spezzo.
***
Lorenzo Spurio
La zattera
Costruivo zattere con legni scheggiati
nelle notti assolate di Dicembre.
Avrei solcato fiumi e mari,
spingendomi oltre
in territori mai svelati da nessuno.
In quei pensieri affondavo
e lo scricchiolante legno si spezzava,
dopo insicuri movimenti
su un mare oleoso.
Alla fioca luce di una abat-jour
sorseggiavo un finto whisky
e rievocavo ninne nanne d’altri tempi
convertite in litanie amare e senza fine.