Il ciclo dell’acqua di Michele Miccia, recensione di Alessandra Cerminara

Il ciclo dell’acqua – Parte di dentro di Michele Miccia, L’Arcolaio ed. 2014, recensione di Alessandra Cerminara.

    

    

Nei versi di Michele Miccia, la poesia ripiega in se stessa, rinunciando ai luoghi comuni e ad una facile e immediata fruibilità .
L’afflato poetico, identificandosi con l’io profondo del soggetto al di là di ogni superficiale confusione con atteggiamenti e pose esteriori, diventa viaggio della coscienza, attraverso lo schiudersi di immagini evocative e sorprendenti metafore, che attingono ora alla sfera del corpo: “pelle, sangue, occhi, carni, muscoli”, ora al mondo di una natura idealizzata: “sconfinata gli giunge la pianura nel prodigio delle acacie”. Dietro un’apparente ansia di concretezza, si cela una marcata propensione al simbolo, che traduce il linguaggio di un’anima palpitante e libera. Il pensiero è signore assoluto che privo di limiti domina le dimensioni temporali, confondendole armonicamente in un presente onirico fatto di “antichi piani di fuga virati in squame d’animale”, “mare che incomincia nel primo spasmo d’utero”, “miglia lontane e sclere di bianca maestà”. La sintassi procede fluida, attraverso ellissi e asindeti che si dipanano in una serie infinita di immagini, ora fresche e leggere: “le nuvole nel cielo generano confini sulla sua pelle”, “è soltanto una goccia di rugiada a destarlo dall’arsura del sonno”; ora accese e voluttuose: “cunei capaci di rimodellare la carne intorno ad una nuova lingua”.
I versi di Miccia hanno l’ambizioso proponimento di cogliere il mistero della vita nell’attimo stesso in cui il puro pensiero si fonde con la carne divenendo “ fibra, nervi, muscoli, dita, unghie. L’acqua è il principio vitale, l’archè di presocratica matrice che fluendo compie il suo ciclo vitale: lo compie e lo rende possibile:

Escono i suoi occhi dal
velo di pelle che
li accudiva, si formano
le palpebre e la libertà
di scegliere, il buio ha bisogno
di dita per guardare,
la luce di un respiro di ritorno
che misuri gli ostacoli

E nell’atto stesso del divenire, si insinua il dolore :

…non è
sempre notte, viene forzata l’angustia del fondale
per un altro elemento più
brulicante di ossigeno
che mette il capogiro.

Il nuovo ente si affaccia alla vita, forgiato nella “primogenitura” e nel “carattere” dagli influssi astrali; ma nascere implica aprioristicamente l’esporsi alla “cattiva sorte”:

La luna stabilisce
la primogenitura,
le costellazioni il carattere,
il sole il coraggio che resta
sulla pelle per l’ora
della cattiva sorte

Immerso in una natura immensa, di primordiale bellezza, solo e scalzo, l’essere acquista coscienza dell’altro da sé e con innocente smarrimento spicca i suoi primi passi, privo di qualsiasi spinta progettuale e senso della continuità:

Sconfinata gli giunge la pianura
nel prodigio delle acacie senza una
rete di sguardi che colgano un suo
segnale di stupore,
non sa da dove cominciare,
la fatica dell’attimo non compensata da un progetto,
raccoglie larve e miele
senza eccedenze per domani,
a piena pelle e scalzo sotto
un eccesso di cielo
che regola le fluttuazioni della
sua ombra, a fiutare le impronte che non
prenderanno il volo se non
alza lo sguardo all’orizzonte.

Con sguardo da biologo e toni ai limiti del “pulp”, la poesia si addentra così nei meandri di un pullulante microcosmo, il mondo “di dentro” appunto, che a un tempo stesso diviene immagine della vita fatta di “cicli” e di rinnovamento. Ma ogni vita che si rispetti, ricevuto il suo battesimo di “acqua e sangue”, esige la morte, che come ombra incombe su tutto pericolosamente; e ogni morte la vita. Vita e morte dunque sono immagini speculari l’una dell’altra:

Anni di prove e di
raggiri per imbastire quell’ovulo
che partorì l’unico figlio
e lei, una fatica di giorni
sparpagliati dall’ira che
plasma per ricaduta
di ceneri una riuscita di visceri
dopo errori e altri aborti,
un travaglio controllato, guidato,
acerba e senza urla una nascita
sola per tante morti.

Anche la sensualità e l’amplesso, energia da cui si origina il ciclo vitale, trovano il loro spazio più congeniale, affidandosi ad immagini inedite ed espressioni inconsuete che traducono in versi il tema della sessualità, principio cardine che regola e scandisce le fasi della “creazione”:

Il suo piacere impara
lentamente a smorzarsi
ritornando nel suo
bulbo di gemmazione
che raduna al desco i figli partiti,
una casa che è la preparazione
del corpo con profumi e abluzioni
dove il sale è rabbia
di mare trattenuta in ogni grano,
può travasare il suo
seme sempre meno seme in quel ventre
a prova di bambini.

Da un primitivo caos di elementi e ormoni, si genera l’ordine in cui ogni cosa “acquista spessore” e occupa il suo proprio spazio. E ogni cosa acquisisce senso non in sé e per sé, ma in relazione al tutto che la circonda. I due si riconoscono solo quando sono l’uno nell’altro, in un connubio di umori che diviene porta di accesso alla conoscenza:

La sua forza è il controllo
della sua forza, appare quando
la volge a rompicollo fuori
e l’accresce imitando l’altro,
gli si è adattata per diventare
sua, ha ricevuto nutrimento
dalla sua bocca e protezione
dalle sue braccia, tanto
favore dai suoi umori
che lui si è fatto come lei,
sta bene in lui perché vi ha ritrovato
se stessa e l’abbondanza,
tutto un pieno di casa
ordinata e un giardino
coltivato a fede e premura,
dove può intingere un dito nel suo
mestruo e imprimere, così che
tutto prende spessore.

La mescolanza di sangue con altro sangue dischiude l’incanto di “terre”, “epoche”, “suoni” che si rivelano per la prima volta, in un riscatto di libertà riscoperta e mai provata:

Quando il sangue si mescola
a altro sangue, due nomi si
fondono sulla scia
del primo entusiasmo, inanellano
terre distanti, essenze d’epoche
disperse e suoni di ammaestramento,
fuochi riparatori in una sola
parola che libera tutti.

Il ciclo dell’acqua è un viaggio nel mondo inconoscibile della creazione, tra elementi e archetipi, correnti ascensionali e flussi di energia che riflettono le logiche regolatrici dell’universo e, ad un livello più basso, dell’esistenza. La poesia è strumento di conoscenza che indaga e scandaglia le dinamiche e le manifestazioni della vita. Il termine creazione tuttavia presuppone l’agire di un essere superiore che per un libero atto di volontà, dal nulla o da se stesso, produce e plasma la materia. Ed ecco che “tra gli invitati” fa la sua comparsa un “ospite speciale” che inietta nei flussi il suo proprio gene con “mani ordinatrici”:

Il sangue che gli è stato trasmesso
Nella lunga opera di limatura,
il corredo di lenzuola coperte
merletti da parenti e amici,
il lavoro di sabotaggio
della lista di nozze, la sequenza
delle portate, tra
gli invitati c’è un ospite speciale
che dipana dalle riserve il gene
disgiunto per il salto
di qualità, il gene di Dio?

*

Ciò che avviene in cielo si riproduce
In lei senza inganni
delle correnti ascensionali quando
le stagioni arrivano tutte in una
volta non potendole districare
dal susseguirsi delle
generazioni, c’è
uno scarto di pioggia sotto l’albero,
un’attesa che colma
con un baratto d’occhi,
dietro ogni foglia sta
un ramo che si cela, dietro ogni albero
un intero bosco consolidato
da mani ordinatrici.

Prototipo copertina
in apertura The tree of life, Terence Malick, 2011

6 thoughts on “Il ciclo dell’acqua di Michele Miccia, recensione di Alessandra Cerminara”

  1. Ciò che più ho apprezzato dei versi di Miccia è la ricchezza di metafore riguardanti il corpo che,assieme all’acqua costituisce la vita,immagine speculare della morte.

  2. In tale elaborato,l’autore puó intendere il corpo come un mezzo per scoprire il mondo o barriera per il nostro intelletto.

  3. La poesia. L’unica a farci percepire, attraverso le sue immagini, il continuo divenire a cui l’intero universo è sottoposto.

  4. Nella sua recensione colgo richiami alle filosofie orientali dove si considera la vita e l’ambiente come un’unica essenza e non separati; il cosiddetto principio di non dualità…

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