Il cinema dei nessuno.
L’esperienza del cinema comunitario in Argentina.
Di ANDREA MOLFETTA
Nel suo libro Il narratore, del 1936, Walter Benjamin, uscendo dal cinema ci pone una domanda cruciale e strategica: cosa è successo alla cultura, o meglio, cos’è il cinema, che consente che siano in milioni a guardare, passivamente, quello che soltanto alcuni filmano? che significa questa diseguaglianza? Perché soltanto alcuni possono raccontare storie, mentre milioni di spettatori le guardano, senza poter raccontare le loro? Benjamin utilizza questa domanda come punto di partenza per stabilire un confronto tra il modo di raccontare della cultura orale e il modo in cui ciò avviene nella cultura di massa. Chi produce le narrazioni? Chi le riceve, le consuma, e come?
A me, autrice di questo breve testo, la stimolante domanda di Benjamin portò a percepire che nella storia del cinema latino – americano, fin dagli anni ’60, c’è stata un’importante schiera di registi, progetti, film e teorie che puntavano a dare una risposta, e a occuparsi e risolvere la richiesta di democrazia del nostro amato maestro tedesco. Sì, effettivamente la storia del cinema latino-americano è segnata da una tradizione di esperienze del cinema finalizzate alla trasformazione sociale, in favore del benessere del popolo, un cinema sociale e politico, collettivo, di gruppo, che promuove la pluralità culturale e la diversità delle voci. Questo obiettivo del cinema e della comunicazione popolare è parte del nuovo paradigma politico nel contesto della lotta decoloniale, vale a dire di liberazione dei popoli latino-americani dal nuovo colonialismo, vincolato al paradigma della globalizzazione e dell’estrattivismo.
Fin dagli anni ’60 il cinema di Abya Yala (1) (nome aborigeno dell’America) veicola esperienze che uniscono il cinema e il video partecipativo alle lotte per l’educazione popolare, producendo grandi esperienze di alfabetizzazione audiovisuale per ribaltare la subalternità (Gramsci).
Le esperienze del Terzo cinema (2) hanno come obiettivo principale la trasformazione dei settori più carenti della nostra società, creando la possibilità che nel nuovo panorama audiovisivo si facciano sentire voci nuove, e che la pratica cinematografica funga da strumento strategico nella costruzione di un mondo più ugualitario. Vale a dire, la lotta per la pluralità culturale è una lotta politica contro la iper-concentrazione dei media di massa.
Non molto tempo fa, nel 2009, in Argentina – dove vivo e lavoro -, è stata introdotta la Legge 26522, sui Servizi di comunicazione audiovisuale, una legge che è diventata un riferimento a livello mondiale per quanto riguarda il diritto alla comunicazione e che destina il 33% dello spazio alle produzioni radio e audiovisive di origine comunitaria, un ulteriore 33% alla comunicazione dei media in mano ai privati con fini di lucro, e un ultimo 33% ai media pubblici nazionali, provinciali e municipali.
Questo, ovviamente, ha costretto molte imprese multimediali a sottocapitalizzarsi e a disinvestire per restituire parità allo spazio audiovisivo e radiofonico argentini – la qual cosa ha provocato la rabbia dell’estrema destra, cosciente del ruolo strategico del controllo mediatico per la guerra giuridica, metodo attuato in America Latina per la persecuzione e la detenzione dei leader popolari. (3)
Al fine di stimolare e promuovere l’occupazione di questo spazio dedicato al cinema e alla comunicazione comunitaria, la Stato Nazionale ha sviluppato, durante i governi Kirchner, insieme alle organizzazioni non governative e altre organizzazioni sociali, un enorme processo di incentivazione al cinema e alla comunicazione popolare e comunitaria, a partire dai quartieri, attraverso laboratori, prestiti agevolati, corsi di formazione che furono offerti a ogni tipo di comunità: scuole, ospedali, istituti penitenziari, centri per anziani, circoli per i giovani, società di promozione dei quartieri etc. etc.
Sempre un cinema di gruppo, collettivo, che è molto diverso da un cinema d’autore, perché la voce narrante è un’enunciazione plurale del gruppo che effettua le riprese. Tutti prendono decisioni nel cinema comunitario che, così, è un cinema del noi.
È chiaro che la prima necessità era imparare a raccontare per immagini e suoni, e così si dette avvio a un ciclo intenso di sei anni di promozione della produzione audiovisiva comunitaria in tutto il paese, un ciclo che abbiamo potuto documentare in due mappature collettive realizzate come nostra sperimentazione a Buenos Aires e a Cordoba, le città più popolose del nostro paese.
E dove abbiamo trovato gruppi che hanno fatto cinema comunitario, in quali settori della società civile? Abbiamo trovato film prodotti in questi laboratori di formazione nelle scuole, nelle società di promozione, tra i lavoratori di un ospedale, in un circolo sportivo di quartiere, in un centro anziani, in un centro di ex combattenti della guerra delle Malvine, in comunità dei popoli indigeni, etc.
In questo processo di incentivazione della comunicazione comunitaria promosso dallo stato, molti gruppi hanno avuto accesso per la prima volta alla possibilità di raccontare la realtà dei loro quartieri dal proprio punto di vista, e auto organizzarsi affinché questi film arrivassero ai vicini con i quali desideravano dialogare. La fruizione del cinema comunitario avviene nelle diverse reti, si diffonde nei gruppi di whatsapp, nei canali youtube, nei profili IG.
Il cinema comunitario nasce, così, con la immediata missione di opporsi alla intermediazione preconcetta e stigmatizzante dei media di massa nei confronti dei settori subalterni della nostra società. Se parliamo di “rumore bianco e illusione della informazione” posso affermare che viviamo oggi giorno l’epoca che Deleuze, nella sua Lettera a Serge Daney, definisce come della rivalità delle immagini, giacché l’Impero le adotta come strategia centrale per il sostentamento e la riproduzione del potere del capitale simbolico, specialmente interessato a stigmatizzare le voci e i territori dei settori subalterni della nostra società. Questo avviene in tutto il mondo, e cambia quando ognuno può raccontare a tutti la propria storia.
Così, in questo modo, con questa formidabile volontà politica si è favorita la democratizzazione della comunicazione in Argentina tra il 2009 e il 2015, (4) attraverso l’insegnamento popolare del cinema, quei milioni di cittadini che non avevano parola, in favore dei quali rivendicava Benjamin, hanno avuto e hanno accesso a risorse che, col tempo, si trasformarono in strumenti che consentono, ancora oggi, di raccontare e divulgare le loro proprie storie e punti di vista circa i loro territori, e di rappresentare un modello informativo nelle proprie comunità.
I mezzi di comunicazione di massa generano una visione peggiorativa delle popolazioni e dei territori subalterni, delle periferie urbane e della gente che vi abita. La loro falsità consiste nel farli percepire e identificare come territori di povertà, quando non è così. E in questo modo le classi subalterne subiscono la rappresentazione che ne danno i monopoli transnazionali della comunicazione. Da questo punto di vista, il cinema e la comunicazione comunitaria sono genuini avversari politici dei mass media. E così, come poche volte visto nel secolo XXI, il cinema comunitario argentino è una risposta politica al neoliberismo della comunicazione. Tuttavia, anche se il suo sviluppo e la sua diffusione non riescono a combatterlo, genera un effetto sociale insperato: quello che Guattari, quaranta anni dopo Benjamin, definisce RIVOLUZIONE MOLECOLARE. (5)
Di fronte al fallimento delle rivoluzioni molari che si trasformarono in regimi totalitari, Guattari apre e propone la possibilità di una rivoluzione molecolare, nel suo testo “Lotta di classe e rivoluzione molecolare”, scritto a Guadalajara (Messico), nel 1978. Esiste una nuova dimensione possibile di rivoluzione a livello della soggettività sociale. Per Guattari una rivoluzione molecolare corrisponde alla dimensione micro-politica definita da Foucault come territorio della riproduzione ed esercizio del potere: rivoluzione, per questo psicanalista in rottura con la clinica, significa aprire le porte a quel tipo di emancipazione che aumenta quando assumiamo la possibilità di raccontare con la nostra propria voce le nostre esperienze. E questa è la tesi che sostengo: il cinema comunitario porta avanti una rivoluzione molecolare che produce, a livello micro-politico, una serie di trasformazioni soggettive tendenti, in primo luogo, alla rivalorizzazione dei soggetti subalterni e dei loro gruppi, delle loro comunità, delle loro vite, delle loro esperienze e geografie. Un cinema prodotto dal territorio, per il territorio, in una chiave particolare, nemico acerrimo della narrazione globalista.
Sopra ogni altra cosa, l’emancipazione che promuove il cinema comunitario rafforza i vincoli comunitari delle organizzazioni in cui viene realizzato. Che un gruppo di vicini possa filmare la storia del proprio quartiere consente di costruire memoria della lotta sociale, difenderla e assicurarle continuità nelle nuove generazioni, stimolare una riflessione. In questo modo un laboratorio di cinema possiede un impatto difficile da misurare a livello economico, ma molto presente nella autonomia realizzata dalle organizzazioni sociali per l’esercizio del diritto alla comunicazione.
Citerò un esempio. Un gruppo di ex combattenti della Guerra delle Malvine (6) di Buenos Aires, capitale dell’Argentina, ha avuto la possibilità di raccontare la guerra dal di dentro, così come l’ha vissuta, prendendo le distanze dalla rappresentazione vittimista che ne proposero altri cineasti. Questo è stato, ed è, un atto liberatorio: rafforza l’organizzazione che li include, libera la loro voce, e con questo, sia il potenziale terapeutico dell’atto del filmare, come la possibilità di organizzarsi e rapportarsi socialmente e collettivamente come ex combattenti. Nel 2009 realizzarono il cortometraggio “Todo por ella” (7).
Dieci anni dopo questa prima esperienza di cinema, dentro l’organizzazione di veterani c’è uno spazio organico e stabile per un laboratorio di cinema, una radio e un canale televisivo che vive tramite youtube e i cui spot informativi circolano in gruppi di whatsapp di vicini e che li collega a tutti gli altri centri di veterani di guerra del paese.
Quello che nel 2009 iniziò come un laboratorio di cinema stabile dell’organizzazione non governativa Cine en Movimiento, (8) con l’appoggio dello stato nazionale, oggi è diventata una casa di produzione audiovisiva comunitaria autonoma.
Aprire la bocca… e non solo per respirare… ma anche per sentire la presenza di ciò che siamo, sentire che pulsiamo, e il desiderio che ci muove con autenticità all’interno di una comunità… aprire la bocca, o la cinepresa, per esprimerlo con parole, immagini e suoni, nel linguaggio di un cinema che, seppure non si proponga come anticipo di una grande rivoluzione, continua però a sviluppare questi atti di emancipazione che non sono né inutili né secondari.
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(1) Abya yala è un concetto riferibile al continente americano e alla sua pluralità culturale precedente la colonizzazione genocida europea. Il politologo e saggista boliviano Takir Mamani lo rende popolare dagli anni ’70 nel suo senso politico. https://hablacultura.com/cultura-textos-aprender-espanol/curiosidades/abya-yala-america/ consultato il 9/12/22.
(2) https://es.wikipedia.org/wiki/Tercer_Cine consultato il 9/12/22
(3) Come riferimento: https://www.pagina12.com.ar/318605-que-es-el-lawfare
(4) Quando arriva al potere, l’estrema destra di Mauricio Macri stronca in maniera definitiva questo ciclo.
(5) http://medicinayarte.com/img/Revolucion-molecular-y-lucha-de-clases-por-Felix-Guattari.pdf consultato il 9/12/22
(6) La guerra tra l’Argentina e il Regno Unito si è svolta nel 1982, quando la dittatura militare argentina si pose l’obiettivo di recuperare le Isole Malvine, usurpate dagli inglesi dal 1833.
(7) https://www.youtube.com/watch?v=B1Z-cvaE7-Y
(8) https://www.youtube.com/@CineenMovimiento2015
La traduzione di questo articolo di Andrea Molfetta è stata curata da Paolo Polvani, Miriam Bruni e Lucia Cupertino.

Andrea Molfetta (Buenos Aires, 1965) è scrittrice, performer e ricercatrice del CONICET – Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnica dell’Argentina. Nella sua opera poetica promuove la fusione tra arte e vita attraverso la poesia orale, la videopoesia e la performance. È stata membro di collettivi di performance in Brasile e Argentina. Dal 2014 dirige la Cia. Poesía Viva di esperienze poetiche immersive. Ha pubblicato i libri di poesia La Del Medio (Buenos Aires: Sitio del Silencio, 2018) e Poemas Blancos (Buenos Aires: Halley). Durante la sua carriera universitaria, ha conseguito un dottorato di ricerca in Cinema presso l’Università di San Paolo/Brasile, con un post-dottorato in Cinema e Filosofia. Fondatore e primo presidente di AsAECA (Associazione argentina di studi cinematografici e audiovisivi). Ha pubblicato i libri Arte eletrónica en Buenos Aires (1966-1993), BsAs: Teseo, 2013, Documental y Experimental: los diarios de viaje de los videoartistas sudamericanos en Francia (1984-1995), BsAs: Sitio del Silencio, 2014, y Cine Comunitario Argentino. Mapeos, experiencias y ensayos (BsAs: Teseo, 2017) Attualmente è docente del Master in Cinemas dell’America del Sud, presso l’Università Nazionale delle Arti, a Buenos Aires /Argentina, dove vive.