Il destino della poesia, intervista a un editore: Alessandro Canzian

Il destino della poesia, intervista a un editore: Alessandro Canzian, a cura di Paolo Polvani.

   

   

Anche noi ci siamo appassionati alla discussione sul destino della poesia, sulle collane che chiudono, sui possibili rimedi. Però piuttosto che unirci al coro degli anatemi contro la scuola che non agevola, ma anzi scoraggia ed allontana, contro la supremazia della tecnologia che scompiglia e irride, contro la dominante stella polare del profitto che tutto azzera, preferiamo offrire un contributo pratico, fattivo, e dare voce ad alcuni editori che hanno fatto della poesia una scommessa oltre che una passione. In questa prima tornata ascoltiamo le ragioni di Alessandro Canzian, anima della Samuele editrice. PP

   

Com’è nata la tua casa editrice?

La storia della nascita della Casa Editrice è ormai ben nota ma è anche una di quelle cose che amo, personalmente, raccontare. Perchè le origini dicono in qualche modo la strada che una Casa intraprende. Dicono le sue scelte, le sue posizioni. La Samuele Editore nasce da un Signor Nessuno che a 17 anni cercava libri di poesia economici da comprare (non da prendere in prestito in biblioteca, un libro di poesia deve essere posseduto e trattenuto in casa per poter essere riletto, perchè la rilettura è molto più importante della lettura) e che a 30 anni, con un figlio in arrivo, ha deciso di attingere a ciò che amava per creare qualcosa di fertile per ciò che si stava preparando ad amare: Samuele.

   

Quali sono stati i principali ostacoli?

Per quanto possa sembrare, ai più, triste, i principali ostacoli che dentro la Samuele Editore abbiamo incontrato sono i medesimi ostacoli di un’azienda che vende lavatrici. Perchè sebbene l’Editore lavori con i sogni, le vite, le confessioni delle persone, è anche vero che è un imprenditore che dopo aver elaborato un prodotto lo commissiona a un tipografo, lo compra, e cerca di rivenderlo, sapendo che la poesia a tutt’oggi è la cosa meno venduta e vendibile al mondo (bisogna arrivare a Einaudi per avere, quest’anno, numeri di vendita da 4 mila copie per un libro di poesia). Per cui nella storia della Samuele Editore devo ricordare un progetto importante, a completo investimento dell’Editore, I Poeti di Pordenone, Poesia del Novecento, che aveva meritato acquisti dalla Fondazione Crup, dal Comune di Pordenone, dalla Provincia di Pordenone, soldi in entrata completamente assorbiti da un fornitore (il tipografo) che aveva prezzi assurdi. E posto che ogni persona ha un suo diritto d’approfittare dell’ingenuità altrui, l’errore derivava palesemente dall’inesperienza di quel Signor Nessuno che sapeva qualcosa di Poesia, ma molto poco di Imprenditoria. Ma nel tempo abbiamo imparato, forse più cos’è un Editore che un Imprenditore, e nonostante diversi momenti vicinissimi alla chiusura siamo ancora qui. Forse non a vivere, ma a stringere i denti. Perchè questa è l’Editoria: uno stringere i denti per creare qualcosa di culturalmente valido, di socialmente utile, pur economicamente difficile.

   

Che cosa hai realizzato?

Devo dire: molto più di quello che personalmente pensavo. Oggi pubblichiamo il massimo poeta vietnamita vivente, la massima poetessa del centro America candidata al Nobel. Libri che, perchè offertici, dicono che la percezione della Casa Editrice è di altissimo livello. Molti degli autori che abbiamo pubblicato poi sono diventati importanti personalità della letteratura italiana, diversi sono stati contattati da altri colleghi Editori per ulteriori edizioni, molti dei nostri libri sono finalisti o vincitori a importanti premi letterari. Il merito non va certo all’Editore ma alla bravura degli Autori. Non posso però negare l’orgoglio di scelte indipendenti, che spesso hanno creato e creano attriti con realtà esistenti da più anni di noi, ma che nel tempo confermano la correttezza del nostro percorso. Forse anche la fortuna d’una certa lungimiranza, ma veramente questo lo deve dire il pubblico dei lettori, non noi.

    

Che progetti hai in corso?

Il progetto Samuele Editore oggi è più ardito ancora di 8 anni fa, quando ripeto un Signor Nessuno è andato dai più grandi poeti e critici e giornalisti italiani, con la sola esperienza di una collaborazione con una rivista on-line, a dire Ora divento Editore e vi faccio leggere ottimi autori. Oggi noi della Samuele Editore (io con i diversi miei collaboratori, gli amici) cerchiamo di creare un nuovo concetto di Editoria, che vada oltre la semplice stampa e distribuzione (per concetto fallimentare) del libro. Quello che noi vediamo essere la nuova Editoria è questo: l’Editore che diventa Poeta insieme al Poeta e lavora con lui ogni verso, ogni poesia. L’Editore che promuove libri anche non pubblicati da lui. L’Editore che diventa fornitore di servizi quali immagini per copertina, editing anche per altri Editori. Oggi pubblicare un libro non basta più. Noi già da anni presentiamo, come Samuele Editore, libri di altri Editori perchè i nostri autori abbiano un confronto diretto e proficuo con altri poeti. Adesso è il momento di espandere il concetto di Editore dal libro all’evento, dall’oggetto al servizio.

   

Che futuro vedi per l’editoria poetica?

A questa domanda ho già risposto, in parte, nella risposta precedente. Ad ogni modo mi preme sottolineare una cosa: oggi l’Editoria deve evolvere verso il concetto di aggregatore culturale. Non basta più fare i libri e lamentarsi che la (vecchia) mentalità distributiva non funziona. Oggi bisogna puntare agli eventi, alla rete come luogo privilegiato per ricostruire un nuovo concetto di distribuzione e promozione. Dico ricostruire perchè acquistare i libri direttamente dall’Editore è il punto da cui siamo partiti, decenni fa. Adesso, con la rete, ritorniamo a quel medesimo punto ma con una grandissima innovazione che rende l’Editore non solo più vicino all’Autore, ma anche al Lettore.

   

Esiste un potenziale pubblico, come raggiungerlo? 

I grandi eventi che negli ultimi anni hanno portato centinaia se non migliaia di persone ad avvicinarsi alla letteratura inequivocabilmente dicono un interesse forte per la parola. Forse più per la parola recitata che per quella scritta, visti i dati di vendita delle librerie e di quello che io stesso vedo agli eventi. Ciononostante anche la poesia vive un suo momento di interesse anche se spesso, a mio parere, veicolato su determinate posizioni predefinite o formule più o meno vincenti. Poi ci sono i sempre più frequenti articoli come quello di Paolo di Stefano, recente, sul Corriere della Sera che cercano di mappare i poeti italiani. O i vari tentativi di creare archivi come a Pordenonelegge, a Bologna, eccetera eccetera. Tutti strumenti che avvicinano le persone alla poesia, questo è ovvio, e questo è anche un bene. Come anche i vari tentativi di creare libri pregiati e/o fatti a mano, pillole di poesia, e via dicendo. Quello che io comunque continuo a credere è che il libro sia uno di quegli oggetti che ha una sua forma definita, e che non cambierà (nemmeno gli ebook sono riusciti a metterlo da parte, anche se in questo caso c’è stato un vero e proprio interesse a far fallire l’idea a monte). Così come credo che le varie mappature, geografie, grandi proclami di nuovi autori (preferibilmente ventenni)  siano un po’ spizzichi e bocconi che nascono e muoiono nel loro sensazionalismo. Anche i grandi eventi spesso soffrono di questa dinamica. Quello che personalmente ho imparato nella Samuele Editore è che la poesia necessita di dimensioni ridotte, o relativamente ridotte, con uno spostamento (fondamentale) del baricentro dall’Autore al Testo. Perchè solo quando è la poesia ad essere il punto della discussione si crea il terreno fertile per lo scambio e la comunicazione. E si avvicinano le persone senza per questo far scadere la qualità. Perchè si punta al laboratorio, e non più al poeta.

   

Com’è lo stato della poesia in Italia?

Essendo Editore premetto che posso parlare più dello stato dell’Editoria di Poesia che della Poesia, che implicherebbe uno sguardo maggiormente critico. È inequivocabile che oggi, presunta chiusura della Collana di Mondadori a parte (presunta, ripeto), le pubblicazioni del settore siano molte e siano anche molto buone. Di Editori bravi ce ne sono, di Editori che basano il loro lavoro su presupposti seri e rigorosi. Questo inevitabilmente dice che esiste anche dell’ottima poesia in Italia, in quanto Poeta ed Editore sono strettamente interconnessi. Solo se ci sono buoni Autori possono nascere buoni Editori. Oltre a questo va detto che lo spostamento che si è creato negli ultimi anni è sotto agli occhi di tutti: se prima erano i grandi Editori a proporre la Poesia oggi questo lavoro è tutto dei piccoli Editori. Come ho accennato prima la Poesia necessita di dimensioni ridotte, da nicchia, dove impreziosirsi senza soffrire dell’esigenza di espansione che è insita nelle grandi realtà.  Per cui posso dire senza timore d’essere confutato che oggi esistono grandi fiori di poesia, ma in piccoli orti. Ben sapendo che tanti piccoli orti, quando privi di reti o muretti, possono creare un grande giardino.

                                   

Asta Nielsen 1881-1972
Asta Nielsen 1881-1972

7 thoughts on “Il destino della poesia, intervista a un editore: Alessandro Canzian”

  1. Ho letto con interesse le considerazioni di Canzian sulla poesia oggi. Mi conforta il fatto che nonostante tutto ( poesia cenerentola presa a pesci in faccia…) alla mia bella età continuo a scrivere poesie ironico satiriche che nessun vuole e che Canzian ha pubblicato ( titolo. Al ritmo di putipù). Vorrei sapere da lui che riscontro ha avuto nelle vendite del mio volumetto. Insomma quante copie siete riusciti a vendere ? Grazie e a presto da Renato Gorgoni.

  2. Poche, troppo poche Renato Gorgoni.

    Ad ogni modo sono poche anche le copie rimaste della tiratura, dati gli invii ai giornalisti/critici/poeti vari e gli invii ai concorsi.

    Ma ogni libro vende poco, questo è assodato.

    Però una menzione al Premio Pontedilegno e un posto da finalista al Premio Città di Forlì direi che non sono poca cosa.

    Tra pochi giorni, per chi fosse interessato, il libro sarà disponibile anche allo stand dell SAMUELE EDITORE a Pordenonelegge, e a ottobre al Castello di Susegana (Tv) durante la prestigiosa fiera del libro Libri in Cantina.

    1. Caro Canzian, ti ringrazio per l’impegno particolare come editore di poesia verso la nostra “Cenerentola preziosa” che non abbandoneremo, mai anche nelle situazioni più difficili. Abbracci e a presto da
      Renato
      Non ti libererai facilmente di me: ho un altro libro in preparazione

  3. Comunque la si voglia mettere, un editore deve (e sottolineo DEVE):
    – Finanziare interamente la stampa di un’opera, scelta – mi auguro – perché ci si crede, a prescindere dalla notorietà accademica, visibilità mediatica, ecc. dell’autore.
    – Distribuire nella maniera più capillare e pervasiva possibile (nella misura delle proprie capacità) il prodotto finito.
    – Assicurare un minimo di introito all’autore.

    Chi non fa questo, dovrebbe avere il pudore di farsi chiamare in qualche altro modo. Vero è anche che, se gli italiani si sono abituati a chiamare le guerre “missioni di pace”, chi chiede a un autore centinaia o migliaia di Euro, per stampare un libro in 200 copie delle quali 150 andranno all’autore e le rimanenti saranno inviate a critici e altri individui che, al 90%dei casi, non le leggeranno mai, ha tutto il diritto di farsi passare per editore; magari solo perché ti dà (a pagamento, obviously) l’ISBN.

    Fermo restando che l’espandersi del fenomeno dell’editoria(?) online, darà forse una bella ridimensionata ai “vanity editors”, pare che – proprio per questo? – quegli operatori culturali, che vogliono presentarsi agli autori con un minimo di serietà, comincino a costringersi a pensare ad altre soluzioni. Certo, c’è chi – per un’antologia – chiede un contributo d’acquisto per alcune copie, spacciandolo per “crowdfunding”: che è altra cosa (temo non applicabile alla poesia, in Italia), ma è tanto trendy, per attirare le persone. Però spero che si stiano aprendo spiragli.

    Il punto – a mio parere – è però che gli editori dovrebbero concentrarsi sui lettori, più che sugli altri soggetti del mercato: chiedersi come arrivare a quei lettori davvero interessati alla poesia; che sono una minoranza, almeno da noi. Non disdegnare mai alcuna occasione per arrivare “al grande pubblico” (se parliamo di minoranze, anche una mezza dozzina di lettori in più è un grande numero…), ma mettersi al servizio di un’area di lettori ben definita, per quanto piccola. E ripartire da lì.

    E credo che questa strada non sia percorribile, all’interno delle regole che il mercato impone; il che porta a un’altra domanda: “si vuole lavorare per il mercato, o per la cultura”? Ambiti sempre meno conciliabili in questo sistema sociale.

  4. Il discorso di Rizzi è molto rigoroso. Suggerisce come dovrebbe in realtà comportarsi un editore onesto. Ma…ci sono dei ma…
    Questo se fossimo davanti a un pubblico di lettori che non tratta la poesia come fosse spazzatura. Se ci fosse un pubblico più ampio verso chi scrive in versi. Anche l’editore più onesto e rigoroso, dinanzi a un mercato così sparuto, mette le mani avanti e chiede all’autore un contributo, seppur minimo, alcuni. Altri, lestofanti, e ce ne sono parecchi, chiedono troppo e sfruttano le solite vanità letterarie dei gonzi. Basta essere attenti e selettivi.
    Mi affiderei di più al senso della misura. Grazie da Renato Gorgoni

    1. Lei ha ragione, Sig. Gorgoni, quando parla di attenzione e selettività: indispensabili nel panorama editoriale attuale e, anche per questo, sinonimo di professionalità.

      Ma il mio discorso si rivolgeva agli editori, non a noi scrittori. Nel senso che dovrebbe essere a carico degli editori, nella situazione attuale, cercare alternative per uscire dall’impasse; da questo motore che gira a vuoto, che è il sistema editoriale della poesia, almeno in Italia. In questo senso spero (o mi illudo…), che il fenomeno delle piattaforme online serva a qualcosa

      Se non troveranno il sistema per trovarsi uno “zoccolo duro” di lettori, ai quali offrire in sicurezza 5-10 (buoni) titoli all’anno, anziché la cinquantina e oltre, che “a pioggia” buttano fuori editori anche con una buona qualità media del loro catalogo, resteremo sempre vittime dell’illusione (tutti noi: editori, autori, critici, ecc.) di contare qualcosa a livello sociale, mentre invece scaviamo – impavidi e indefessi – buchi nell’acqua. Con relativa disillusione finale, quando andrà bene.

      Ammetto che un ragionamento del genere, potrebbe funzionare meglio a livello di enti locali, Assessorati alla cultura in primis: ma pensare che un assessore alla cultura italiano possegga una sensibilità sufficiente a porsi il problema, è pura fantascienza. O follia.

      Senza dire, che l’iniziativa pubblica in Italia segue quella privata, quando ne dovrebbe essere del tutto autonoma. E che il rispetto e la tutela delle minoranze (non dimentichiamo che quasi sempre minoranza = qualità) è altrettanto lontano dalle corde della maggior parte degli italiani: e, come ovvia conseguenza, da quella degli amministratori che si scelgono.

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