Il momento che separa di Carla de Falco, Montag ed. 2015, note di lettura di Paolo Polvani: l’instabilità degli affetti dispari.
Quando la poesia affonda lo sguardo nella realtà, quando vi si immerge con tutta la curiosità, l’attenzione, il desiderio di compenetrazione, accade che ne risultino dettagli di un’evidenza più luminosa, intrisi di una luce che riflette l’amore che li motiva, quella speranza di resurrezione che forse sta alla base di questa raccolta, indicazione resa esplicita dalla citazione in esergo dei versi finali della Commedia di Dante, quel lungo sospiro di rinascita di chi, dopo aver attraversato la furia delle vicende umane, rinasce a riveder le stelle. Espressamente dichiarato nella introduzione dell’autrice, la quale spiega che la parola crisi indica una frattura, una cesura, indica il momento che separa, che può essere tragico ma può anche segnare un momento di svolta, di ripresa, il nuovo inizio di un percorso. Così accade che Carla de Falco, camminando lungo i vicoli di Napoli, ce li racconti con l’occhio di chi vorrebbe una trasformazione, un nuovo avvio:
camicie trionfanti come bandiere al vento
randagi al sole languidi come bagnanti
moto potenti che scendono veloci
rotolando come sassi, come lacrime.
Assistiamo a una cura ricostituente di energia con quelle camicie trionfanti come bandiere al vento, in una pratica descrittoria che ricorda certe vivide rappresentazioni pittoriche del secolo scorso, rinforzate dalle rime interne trionfanti / bagnanti, dall’assonanza con potenti, dall’immagine di quei cani sdraiati al sole con la mollezza languida di bagnanti che si espongono con fiduciosa generosità agli sguardi, e dal rombo delle moto che scendono veloci lungo i vicoli. In tutta la poesia c’è una forza che racconta lo spirito di partecipazione che muove l’autrice. A suggerire questa visione è la stessa Carla:
e ho pensato ad una tela di guttuso:
un cristo crocifisso al cornicione
e la folla che acclama il sacrificio
scattando foto nella pausa-ufficio.
Tutto il rumore della realtà si condensa in questa poesia: accade nella pausa pranzo, un uomo minaccia di buttarsi dal cornicione, ed è di quegli eventi che rischiano di portarsi per sempre via ogni traccia di giovinezza, e fanno sparire qualsiasi appetito, e lasciano l’amaro in bocca per la morbosa partecipazione degli astanti, più interessati a immortalare la vicenda della morte fotografando coi cellulari, che a lasciarsi coinvolgere da qualsiasi moto empatico
ho sentito quelle gambe penzolare
sulla faccia della mia coscienza,
ho visto le ginocchia sulle bocche,
ho temuto per tutto il tempo muto
di udire crudo e sordo un tonfo buio
uno di quelli che ti porta via
per sempre ogni giovinezza.
Ecco che si condensa in questo susseguirsi di immagini la perfezione di una resa, evidenziata da quegli aggettivi crudo e sordo e buio che ricordano una sequenza cinematografica di ottima fattura, e ci ricordano che i sentimenti in poesia hanno bisogno di essere adeguatamente addobbati e che la cura dell’abbigliamento è quella capace di trasmettere i sentimenti di chi butta giù dei versi con l’intenzione di restituirci integro un brandello di realtà, una cronaca lucida dei fatti, il racconto di un frammento di vita quale poi ce lo riportano in maniera fredda i giornali e i telegiornali, qui invece illuminati dalla tensione emotiva di chi scrive, e ce la trasmette tutta quella tensione emotiva, l’elettricità di quel tempo muto, ricorrendo a tre aggettivi sapientemente dislocati nel verso. Perché l’opera artigianale della poesia si misura con la resa estetica, che da sola regge e assurge a tensione etica.Così se si parla di gioventù, dei nostri ragazzi ai quali ogni speranza è stata sotttratta dai brividi di un tempo amaro e avaro di aperture, di possibilità, vengono usate le parole chiave di questo tempo infausto, quelle parole che raccontano meglio di un trattato, meglio di un’inchiesta giornalistica, e traducono la realtà nella poesia delle parole:
e ti dicono
a tuo carico, a tue spese,
a tempo perso, a tuo rischio,
a tuo pericolo, sommerso
dove tutta una generazione che ha ricevuto in dote l’affannosa ricerca di un lavoro, di una sistemazione economica, di una affermazione delle proprie capacità, di un riconoscimento sociale in definitiva, viene rappresentata, sintetizzata in pochissimi, efficaci stilemi. Qui la ribalta è occupata dalla precarietà, da quel muoversi in bilico, alla ricerca estenuata di un equilibrio, di un nuovo baricentro che assicuri un minimo di stabilità, e ci parla direttamente dalla pancia di quel grande meridione che ha fatto della crisi la sua condizione esistenziale perenne. E muovendo dal quale l’unica certezza che offre ce la regalano questi versi, nei quali viene accomunata la precarietà sociale con quella esistenziale dei sentimenti, degli affetti, anche qui privi di un equilibrio, di quella simmetria che li renderebbe stabili, sicuri
che nessuno è padrone di niente
che prepotente è l’instabilità
dei numeri e degli affetti dispari
