Il mondo fatto nuovo, poesie di Richard Harrison in traduzione di Riccardo Frolloni.
In questo stesso numero di Versante ripido potete trovare un’intervista all’autore canadese Richard Harrison e un’intervista al traduttore Riccardo Frolloni, entrambe a firma di Anna Belozorovitch.
Richard Harrison, da “On not losing my father’s ashes in the Flood”:
On Not Losing My Father’s Ashes in the Flood
We couldn’t find my father’s ashes
during the flood of 2013
and thought they had been swept away. Or maybe
one of the volunteers, there only to do good, saw the jar
that held them covered with silt and threw it out,
as it went with so many things people cared for
in the buried treasure of their homes –
family photographs,
manual typewriters, diplomas under glass.
After the river left our house, two of my wife’s friends
took apart our piano, which was waterlogged
and could not be saved.
And the piano, being demolished, made a concert
from the jugular grief of crowed wood, the broken memory of glue
and the squeal of screws no longer holding fast.
It ended with the crash of the great harp
onto a crib of concrete, a zoo in panic,
every note the piano knew climaxed at once,
every animal howling
as the river rose in their cages.
At the news of my father’s ashes lost to the water,
my neighbours winced like something wild
had eaten a pet they’d all fed from their hands.
But a friend from Poland thought it was hilarious,
and so did I – we both come from a long line of cannon fodder.
Dad would’ve laughed, too. I’d kept his ashes
because nothing I’d thought to do with them was right. He used to say,
If you wait, things will solve themselves –
the trick is knowing when to wait.
I was reading Robert Hass’s elegy
for his younger brother – with Robert’s mind caught up
imagining a funeral
in which his brother’s body was burned on a boat in the river,
so first the fire, and then the air, and then, finally,
the river took the body – as if downstream
was another word for heaven.
We found the jar
in a box of books and a remote-controlled car
taken to the kitchen
when everyone grabbed everything above the waterline;
it had never been touched by the river.
And now it sits on a shelf in my living room,
my father’s ashes not taken by the flood
that I will not give to the air
until I have learned all he has to teach me
with the last part of the earth that was him.
Sul non perdere le ceneri di mio padre nell’alluvione
Non riuscivamo a trovare le ceneri di mio padre
durante l’alluvione del 2013
e pensammo fossero state spazzate via. O che forse
uno dei volontari, là solo per fare del bene, aveva visto l’urna
che le racchiudeva ricoperta di limo e l’aveva buttata via,
come accadde con tante altre cose che la gente aveva care
nel tesoro sepolto delle loro case –
fotografie di famiglia,
macchine da scrivere, diplomi sotto vetro.
Quando il fiume si allontanò da casa nostra, due amici di mia moglie
smembrarono il pianoforte, che era fradicio
e non poteva essere salvato.
E il piano, nell’essere demolito, fece un concerto
dal dolore giugulare, il suo grido di legno, il ricordo rotto della colla
e lo stridio delle viti che non reggono più.
Finì con lo schianto della grande arpa
contro una culla di cemento, uno zoo in panico,
tutte le note che il piano conosceva culminate in una sola,
ogni animale ululava
mentre il fiume si alzava nelle loro gabbie.
Alla notizia delle ceneri di mio padre perdute nell’acqua,
i vicini trasalirono come se qualcosa di selvaggio
avesse divorato un cucciolo che avevano nutrito dalle loro stesse mani.
Solo un amico polacco pensò che fosse comico,
e così anch’io – veniamo entrambi da una lunga schiera di carne da cannone.
Anche papà avrebbe riso. Avevo tenuto le sue ceneri
perché niente di ciò che avevo pensato di fare con esse era giusto. Era solito dire,
Se aspetti, le cose si risolveranno da sole –
il trucco è sapere quando aspettare.
Stavo leggendo l’elegia di Robert Hass
per il fratello minore – la mente di Robert immaginava
un funerale
dove il corpo del fratello veniva bruciato su una barca nel fiume,
così prima il fuoco, e poi l’aria, e poi, alla fine,
il fiume presero il corpo – come se giù a valle
fosse un altro modo per dire in cielo.
Trovammo l’urna
in una scatola piena di libri e una macchinina telecomandata,
l’abbiamo portata in cucina quando tutti afferravano tutto sul pelo dell’acqua;
non era mai stata toccata dal fiume.
E ora sta su una mensola in soggiorno,
le ceneri di mio padre non prese dal fiume
che io non consegnerò all’aria
finché non avrò imparato tutto ciò che ha da insegnarmi
con questi resti di terra che furono lui.
*
This Son of York
All the world’s a phrase,
and of all the phrases in the world, my father loved best
Now is the winter of our discontent
made glorious summer by this son of York.
It sprung from his lips I know not how oft,
and it leapt among the last he said
the day they mended his shattered hip, and,
fearing his heart would fail on the table,
the doctors asked me what they should do.
My father’s will was the last whole thing he had, I knew:
Let him go, I said, and signed the page.
And then I walked to where he waited and took his hand.
Now is the winter of our discontent,
he began again, his voice with Shakespeare
made glorious summer.
It has taken me all this time to ask, why
those words and not some others – or his own?
And I have written of him having a divine and terrible beauty
I could not help but praise.
My father answered with this soliloquy that
begins the play where Richard, who would be Third,
though not yet king, humpbacked, gross and loathing
every beautiful thing he beautifully describes,
longs for war’s reprise when he,
rudely stamped, unfit for love or joy,
could be monarch among men at their monstrous height.
My father longed, too,
for the days of youth and war
as the last time in his life he knew exactly what to do.
What comes to me now is how out of place a man
such longings make,
how little peace could offer him when he put down the gun,
and all the words he lived by then lay down their meaning beside it.
And all my writing around his name became a losing argument for the beauty
of a man who found beauty everywhere but in himself.
My father taught me a poem is not its words, but the ringing it leaves behind.
And when my father from his hospital bed spoke the usurper’s lines who
put every molecule of rage into laying waste to what he saw,
I understood it then: my father was never reciting this precipitous rant,
he was rewriting it,
replacing every word with one that reads the same but means the opposite.
He looked me full in the face, the way I look at my own daughter and my son,
glorious summer he’s said to me for almost half a century,
and with that clutch of words
this son of York held on.
Questo figlio di York
Tutto il mondo è una frase,
e di tutte le frasi del mondo, mio padre preferiva
Ora è l’inverno del nostro malumore
fatto estate gloriosa da questo figlio di York.
Tuonavano dalle sue labbra non so quanto spesso,
e sbottarono tra le ultime cose che disse
il giorno in cui aggiustarono l’anca frantumata, e,
temendo che il cuore sarebbe collassato sul tavolo,
i dottori mi chiesero cosa dovevano fare.
La volontà era l’unica cosa intera che gli restava, lo sapevo:
Lasciatelo andare, dissi, e firmai il foglio.
E poi andai dove mi stava aspettando e gli presi la mano.
Ora è l’inverno del nostro malumore,
cominciò di nuovo, la sua voce insieme a quella di Shakespeare
fatto estate gloriosa.
Impiegai così tanto tempo a chiedermi, perché
quelle parole e non altre – o le sue?
E ho scritto di lui che ha una bellezza divina e terribile
che non posso fare a meno di lodare.
Mio padre rispose con questo monologo che
inizia la scena dove Riccardo, che sarebbe stato Terzo,
sebbene non ancora re, gobbo, brutto e odiando
ogni cosa bella che descrive magnificamente,
anela a riprendere la guerra quando lui,
aspramente segnato, inadatto all’amore o alla gioia,
sarebbe potuto essere monarca mostruoso al pari degli altri uomini.
Anche mio padre anelava
i giorni di gioventù e guerra come
l’ultima volta in vita in cui sapeva esattamente cosa fare.
Ciò che ora comprendo è quanto renda un uomo fuori luogo
così tanto desiderio,
quanta poca pace possa offrirgli posare la pistola,
e tutte le parole vissute da allora depongono il loro significato accanto ad essa.
E tutto il mio scrivere su di lui è divenuto un tema inutile per la bellezza
di un uomo che trovava bellezza ovunque tranne che in se stesso.
Mio padre m’insegnò che una poesia non sta nelle parole, ma nella melodia che si lascia dietro.
E quando dal letto d’ospedale declamò i versi dell’usurpatore
che mise ogni molecola di rabbia nel gettare rifiuti su ciò che vedeva,
finalmente compresi: mio padre non aveva mai recitato questo rantolo precipitoso,
lo stava riscrivendo,
sostituendo ogni parola con quella che si legge uguale ma significa l’opposto.
Mi guardò dritto in faccia, nello stesso modo in cui guardo mia figlia e mio figlio,
estate gloriosa mi ha detto per quasi mezzo secolo,
e con quella cadenza che
questo figlio di York ha mantenuto.
*
The World Made New
When he realized that he would never leave the Home,
my father was as furious as
a man with a memory refined to minutes could be.
He flared out in short blasts at the knowledge,
then faded just as fast into puzzlement at where he was.
Then he’d figure it out again.
Watching him was like watching fireflies in a forest,
each one a fragment of light,
but not so great a light to keep away the darkness
that gives the light its meaning.
My father felt betrayed by the doctors who’d
repaired his busted hip, and for him, the old soldier,
betrayal was the greatest of sins.
It would only be a matter of time
before he’d forget the origin of his presence
among them who slept in their chairs to the soundtrack of the TV,
and though he never believed that he had always been there,
eventually he understood that dying was his only escape
from the piece of shit body he declared he had left.
The worst part was the argument
to explain the memory he no longer had
because you need a memory to grasp your memory’s loss.
I asked him about the day when he, filled with gratitude
for the surgeons, looked for something of himself to give to the intern
who was with him when he woke,
and, owning nothing else,
he took the ruined ball joint of his leg that
they had cut away so he could walk,
and offered that.
He answered he remembered, but when I asked
what he remembered later, he did not know,
and denied I posed a question.
Around we’d go
in that darkness together –
trapped in that terrible excellence
poets long for in every poem
that moment words have no past and in them is the world made new.
Il mondo fatto nuovo
Quando realizzò che non avrebbe mai lasciato la Casa,
mio padre era furioso come un uomo
con una memoria tarata al minuto può essere.
Esplodeva in piccoli scoppi di consapevolezza,
poi sbiadiva rapidamente nella perplessità di dove fosse.
Poi l’avrebbe capito di nuovo.
Guardarlo era come guardare le lucciole in una foresta,
ognuna un frammento di luce,
ma non una luce così grande da tenere lontana l’oscurità
che dà alla luce il suo significato.
Mio padre si sentiva tradito dai medici che
avevano riparato l’anca fratturata e per lui, il vecchio soldato,
tradire era il più grande dei peccati.
Sarebbe stata solo una questione di tempo
prima di dimenticare l’origine della sua presenza
tra loro che dormivano seduti alla colonna sonora della tv
e sebbene non avesse mai creduto di essere sempre stato lì,
alla fine capì che morire era la sua unica fuga
dal pezzo di merda di corpo che dichiarò di aver abbandonato.
La parte peggiore era spiegare l’argomento
alla memoria che non aveva più
perché hai bisogno di una memoria per cogliere la tua perdita di memoria.
Gli ho chiesto del giorno in cui, pieno di gratitudine
per i chirurghi, cercava qualcosa di sé da dare al medico di guardia
che era con lui quando si svegliò,
e, non possedendo nient’altro,
prese la vite arrugginita della sua gamba che
avevano tagliato via così che potesse camminare,
e gliel’offrì.
Rispose che ricordava, ma quando più tardi
chiesi cosa ricordava, non lo sapeva,
e rifiutò che gli facessi una domanda.
Saremmo andati
ovunque insieme in quell’oscurità –
intrappolati in quella terribile eccellenza
che i poeti desiderano per ogni poesia
che in quel momento le parole non hanno passato e in esse il mondo è fatto nuovo.
*
Poem for a Crescent Moon
You can feel them,
moving,
words like elephants over the dusty earth,
words for the glass of water on my desk,
words for death
and mourning
and philosophy, and the question
of my fingertips spread over your thigh while you’re driving.
I want them back,
the words that follow each other
like elephants along a path that
only they can see, and they trust it
with every ounce of a million pounds of life.
We’re moving in a machine
that sets whole countries
a mere day apart, but still,
my hand across your thigh, and it means everything,
that one gesture,
that ease,
my fingers spread out like I’m playing an octave with one hand.
You are in control of the car.
The miles roll under us, the road
is Aristotle’s dream of road,
every mile the same as the last.
I am writing you who feels me touching your leg,
and only you
can see me in the corner of your eye, a crescent moon where I
have every face I have ever had at once.
Poesia per una falce di luna
Le puoi sentire,
muoversi,
parole come elefanti sulla terra polverosa,
parole per il bicchiere d’acqua sul tavolo,
parole per la morte
e il lutto
e la filosofia, e la domanda
dei polpastrelli diffusi sulla tua coscia mentre stai guidando.
Le rivoglio indietro
le parole che si rincorrono
come elefanti lungo un sentiero che
solo loro possono vedere, e vi si affidano
con ogni briciolo del milione di libbre della vita.
Ci stiamo spostando su una macchina
che pone interi paesi
a un solo giorno di distanza, ma ancora,
la mia mano sulla tua coscia, e significa tutto,
quell’unico gesto,
quel sollievo,
le mie dita si spiegano come stessi suonando un’ottava con una sola mano.
Tu hai il controllo della macchina.
I chilometri scorrono sotto di noi, la strada
è il sogno aristotelico di una strada,
ogni chilometro identico all’ultimo.
Sto scrivendo a te, tu che senti il mio tocco sulla gamba,
e solo tu
puoi vedermi con la coda dell’occhio, una falce di luna dove io
ho tutte le facce che ho avuto in una.
*
Just So Story
We drove the whole family
through the mountains
in a compact car
just so my father
could pet a dog;
he reached out from the wheelchair
he was belted into and pet the dog
we brought into the blessing and curse
of the last home he knew.
They sedated him well,
and his voice was the voice of a tiny being
wandering the catacombs of his body.
In its smallness, it sounded the way I imagine
the voice of hope aching within the chest
after Pandora slammed down the lid.
He didn’t give up, my dad,
and he joked that the drool on his lips
made him most like the dog among us all.
And this is the story of his escape:
He had lost his short-term memory,
but he was still his wily self.
From across the corridor,
he watched the visitors
and the staff key in the code
to open the door until he got it.
But by the time no one was around,
and he had wheeled himself over to the keypad,
he’d forgot.
He could still walk a bit back then,
so finally he just bulled his way out.
He got out of the chair
and he pushed past someone’s guest
while the door was open,
and he was free.
It took them twenty minutes
to guess he’d made it outside,
and he was caught in the street by a nurse
who chased him down the sidewalk
pushing a wheelchair and calling as she pushed,
Ralph! Come back!
Come back!
Today, with his family around him,
Ralph’s fingers curl
through the pleasing fur of my dog’s neck
like a magician passing a coin across his knuckles.
One of the staff at the Home stops with a camera;
the snapshots will be waiting
when we get back to our place.
This is him with the dog in his lap.
We drove three days over the mountains for this.
Storia proprio così
Portammo tutta la famiglia
tra le montagne
con un’utilitaria
solo perché mio padre
potesse coccolare un cane;
si allungò dalla sedia a rotelle
a cui era stato allacciato e accarezzava il cane
che abbiamo portato nell’ultima casa
che conosceva nel bene e nel male.
Lo sedarono per bene,
e la sua voce era la voce di un essere piccolo
che vaga per le catacombe del suo corpo.
Nella sua piccolezza, suonava nel modo in cui immagino
la voce di speranza accorata nel petto
quando Pandora scoperchiò il vaso.
Non si arrese, papà,
e scherzò sul fatto che la bava sulle labbra
lo ha reso più simile al cane che a tutti noi.
E questa è la storia della sua fuga:
perse la memoria a breve termine,
ma era ancora lo scaltro se stesso.
Dall’altra parte del corridoio,
guardava le guardie mediche
e il codice del personale
per aprire la porta, fin quando non lo scoprì.
Ma nel momento in cui nessuno era in giro,
e si era spinto alla tastiera,
già se n’era dimenticato.
Riusciva ancora a camminare un po’ al tempo,
così alla fine se ne era scappato fuori.
Si alzò dalla sedia
e oltrepassò il visitatore di un altro
mentre la porta era aperta,
e fu libero.
Impiegarono venti minuti
per capire che era fuggito,
e fu preso sulla strada da un’infermiera
che lo rincorse per il marciapiede
spingendo una sedia a rotelle e chiamando mentre spingeva,
Ralph! Torna indietro!
Torna indietro!
Oggi, con la sua famiglia intorno,
le dita di Ralph arricciano
il piacevole pelo del collo del mio cane
come un mago passa una moneta tra le nocche.
Uno del personale della Casa ferma il momento con una fotocamera;
le istantanee ci aspetteranno
quando torneremo a casa.
Questo è lui con il cane sul suo grembo.
Viaggiamo tre giorni sulle montagne per questo.
*
This Poem is Alive Because it is Unfinished
My father is alive, I dared to type, and there he was:
my father, who blew kisses to the young women
who tended him in his infirmary bed,
and fed him what he could drink of the world in its last paper cups.
My father loved as a mouth loves.
He called them my darlings, and they giggled,
being shy and familiar with sorrow, and they told me, He’s our favourite,
when they left us alone together.
The hours of my father’s dying taught me
the older you get, the more emotions you feel, each harder to
describe, and the differences between them.
They said, He’s our favourite,
and by those words I recall them.
Maybe he was, maybe he wasn’t;
maybe they say that to everyone who visits the dying
in their care – it does not matter.
When I believe them, it is the same as when I don’t,
their words no longer burdened with the ordinary business
of telling me something I should know.
Even the most powerful among us fall asleep,
or become ill, or just stop whatever it is they’re doing
and stand a while.
Sometimes a poem can let us see our love in a new light,
the way my dying father does when he can do no more.
This poem is alive because it is unfinished.
My father is alive,
and I am holding his hand,
and his hand is pale, and blue, and violet,
a trembling garden of irises.
Questa poesia è salva perché incompiuta
Mio padre è vivo, ho avuto il coraggio di scrivere, ed eccolo lì:
mio padre, che mandava baci alle giovani donne
che lo hanno curato sul suo letto d’ospedale,
e gli davano da mangiare ciò che poteva bere del mondo nelle sue ultime tazze di carta.
Mio padre amava come una bocca ama.
Le chiamava mie care, e ridacchiavano,
esseri timidi e familiari col dolore, mi dicevano, È il nostro preferito,
quando ci lasciavano da soli insieme.
L’ora in cui morì mio padre mi insegnò
più vecchio diventi, più emozioni provi, ognuna più difficile da
descrivere, e le differenze fra di esse.
Dicevano, È il nostro preferito,
e con quelle parole le ricordo.
Forse lo era, forse non lo era;
forse lo dicono a tutti quelli che visitano i morenti
affidatigli – non importa.
Quando credo loro, è lo stesso di quando non ci credo,
le loro parole non erano appesantite dal dovere solito
di dirmi qualcosa che dovevo sapere.
Anche i più forti tra di noi si addormentano,
o si ammalano, o semplicemente fermano qualsiasi cosa stiano facendo
e restano in piedi per un po’.
A volte una poesia ci fa vedere il nostro amore in una luce diversa,
nel modo in cui mio padre moribondo fa quando non può fare altro.
Questa poesia è viva perché è incompiuta.
Mio padre è vivo,
e sto stringendo la sua mano,
e la sua mano è pallida, e blu, e viola,
un giardino tremolante di iris
*