L’abito nuovo (metafora della vita)
racconto di Francesco Paolo Dellaquila.
Non ricordo come riuscissi a vedere così bene, tanto erano piccoli i miei occhi. Riuscivo a capire benissimo ciò che dovevo o non dovevo fare, soprattutto distinguevo i miei nemici, e ne avevo tanti… Il mio corpo, bianco ed allungato, era molliccio, non certo bello da vedere, ma certamente, doveva essere molto appetibile. Quel verde sembrava fosse la mia casa. Trascorrevo tutto il tempo mangiando lentamente, non mi fermavo mai. Spesso mi chiedevo come e quando fossi nato. Bella domanda! Alcune volte mi sembrava di essere presente in questo mondo come di passaggio, un passaggio obbligato, ma forse, è così anche per gli altri. Però avevo la sensazione che il mio corpo, improvvisamente, potesse cambiare, ma credo che questo accadesse anche ad altri. Forse sarebbe stato meglio se fossi nato uccello! Gli uccelli hanno le ali, volano, mangiano gli insetti, non hanno molti nemici ad eccezione di alcuni uomini armati di fucili. Mi sarebbe piaciuto essere un pesce! Essere libero di poter nuotar nelle acque profonde di tutti i mari, sarebbe stato per me la più grande felicità. Tuttavia sarei andato incontro a pericoli di pesci più grandi, come in agguato sono le reti dei pescatori. Io, per come sono nato, non ho alcuna difesa, ma ce l’ho fatta! Molti dei miei amici non sono stati così fortunati, non hanno avuto scampo, era inevitabile, un predatore era sempre in agguato. Io sono qui e posso raccontarvi la mia storia sin dall’inizio. Io che amavo tanto il verde della natura, le grandi foglie degli alberi, da raggiungere pazientemente e con grande fatica, un giorno mi trovai a fare i conti con una terribile tempesta. Per fortuna ero salito su un punto alto e robusto della pianta. L’acqua inondò il campo portando via tutto. Io ero minuscolo, sarei scomparso subito, invece, rimasi ben riparato e fermo sotto una foglia. Non avevo mai avuto tanta paura dell’acqua. Quella volta però l’intensità della pioggia fu tale che pensai fosse giunta per me la fine. Avevo la strana sensazione che potesse capitarmi qualcosa, sentivo un impulso irrefrenabile e mi chiedevo il perché non l’avessi avuto il giorno prima quando c’era il sereno. La pioggia continuava incessante e, per paura di scivolare sempre protetto dalla foglia, mi aggrappai ad un rametto tenendomi ad esso il più stretto possibile. Poi, quando finalmente smise di piovere e cominciò a risplendere il sole, si presentò un altro problema: s’alzò un vento intenso che scosse tutti i rami. Rimasi immobile, rannicchiato, mi strinsi su me stesso sempre di più. La mia mente cominciò a svanire, quello scuotere mi stava uccidendo! Poi, quando tutto divenne tranquillo, iniziai a rigurgitare qualcosa che non conoscevo, un filamento lungo e bianco, senza fermarmi. Non riuscivo a distinguere nulla, non vedevo più! Tutto era molto strano finché, quel mio stesso prodotto, mi seppellì completamente!
Non so quanto tempo fossi rimasto in quella condizione, quasi sospeso, addormentato e tuttavia non era la stessa cosa del dormire. Poi, d’improvviso, quando cominciai a sentire un piacevole tepore, tirai fuori il capo lentamente facendomi strada e vidi splendere la luce del sole.
Con fatica liberai tutto il mio corpo da quella prigione. Rimasi ancora un po’ ad asciugarmi, finché, senza più esitare, quando i miei occhi percepirono perfettamente ciò che li circondava, aprii le ali e spiccai il volo verso l’azzurro del cielo.
È bellissimo questo tuo racconto Francesco… il finale diventa lieto dopo tante battaglia avute con.i.tuoi pensieri, nel tuo volo d’uccello e quel pesce che illuso in quel nuotare nelle
profondità.
Ma la fine di questo tuo viaggio c’è la pace interiore con.quella lure.. bella … viva… ciao Franscesco