“Il giardino giallo amaranto” un racconto di Fabio Campoccia

Il giardino giallo amaranto

di Fabio Campoccia

C’era una volta, ma forse c’è ancora adesso, da qualche parte, in un luogo lontano lontano un giardino giallo-amaranto. Nel giardino giallo-amaranto galleggiavano come lucciole-fiammelle le anime di tutti i bimbi non ancora nati. Le anime ondeggiavano, si inseguivano fluttuanti, e giocavano ad afferrare i raggi della luna che, evidentemente illuminava anche il remoto cielo di quel luogo. Il tempo passava, anche se in realtà il tempo lì non esisteva affatto. Le tiepide notti, umide di raggi lunari, si susseguivano innumerevoli, anche se nessuno provava mai a contarle.

Un giorno un petalo di girasole, che il vento aveva portato lì da chissà dove, scivolò tra le lucciole-fiammelle e con loro si mise a danzare.

Le anime dei bimbi incuriosite gli chiesero:

– Chi sei? Non ti abbiamo mai visto nel giardino!

Il petalo giallo oro così rispose:

– Nel mondo da cui provengo mi chiamano girasole. Mi rivolgo sempre verso il sole caldo, lo seguo, lui si riflette sopra di me ed io risplendo forte della sua luce. Quando succede sono felice!

– Cos’è il sole? Non lo conosciamo – dissero in coro i bimbi non nati.

– Il sole è una grande arancia di fuoco rossa che ogni mattina esce allegra dal mare e va a visitare il cielo. A me piace tanto quando è alto nel cielo. Poi però la sera si sente solo e ha voglia di riposare di nuovo tra le braccia del mare, allora torna giù e si appoggia stanco sul suo manto azzurro. Il mare lo copre, perché la notte non è calda come il mattino ed il sole potrebbe prendere freddo.

– Cos’è il mare? – ripresero curiosi i bimbi.

– Non conoscete neanche il mare? Il mare è un delicato giaciglio azzurro, spazzolato dalle onde, ed è molto molto grande. Così grande che nessuno sa dove finisce. E chi parte per scoprirlo in genere non torna mai a raccontarmelo. Perché non andate a vederlo?
Nessuna fiammella rispose alla domanda del petalo. Conoscevano solo il giardino e non capivano cosa significasse andare da qualche altra parte. Nessuna fiammella rispose…tranne una.

– Io voglio andare a vedere! – disse

– Bravo! Non te ne pentirai, il sole e il mare sono belli, e poi ci sono un sacco di altre cose nel luogo da cui provengo che a me piacciono tanto.

– Come faccio ad andarci? – chiese la fiammella

– E’ molto semplice. Devi lasciarti trasportare dal vento. E’ così che io sono arrivato fin qui.

– Ma così non sei tu che decidi dove andare, decide il vento! – osservò l’anima del bimbo – A me piace così. Mi trovo bene in ogni posto, mi piace viaggiare, non importa dove arrivo. Se ti facessi trasportare dal vento anche tu lo capiresti.

– Voglio viaggiare anch’io…voglio salire sul vento e vedere il posto da dove vieni.

– Allora vai e cerca il vento!

Così l’anima del bimbo si allontanò dai suoi fratelli per cercare il vento. Saltellava sui raggi lunari e si aggirava per il giardino, volava veloce attraverso gli strani fiori notturni, le fate svolazzanti, le farfalle colorate, animali mai esistiti che pascolavano tranquilli e cascate di vernice amaranto.

Ma non trovava il vento.
Saltellava su funghi giganteschi, si infilava nelle crune degli aghi con cui venivano tessute le nuvole, scivolava sotto tappeti di erba colorata, e si riposava sugli orologi che generano il tempo.
Ma non trovava il vento.
Finché una notte incontrò un vecchio. Decise di chiedergli la via perché in tutti i suoi pellegrinaggi si era perso e non sapeva più dove fosse.

– Ciao, chi sei? – chiese il bimbo non nato.

– Io sono il guardiano del giardino – rispose il vecchio.

– Allora puoi aiutarmi!! Un petalo di girasole mi ha parlato del sole e del mare, ed io voglio andare a vederli. Dove posso trovare il vento, in modo che possa farmi trasportare da lui?
Il vecchio rifletté un attimo, poi disse:
– Io so dove trovare il vento che può portarti al sole ed al mare. Ma prima devi sapere una cosa: se esci dal giardino poi non potrai mai più tornare.

– Vuoi dire che non vedrò mai più i miei fratelli?

– Sì, li rivedrai, ma non so dirti ne quando, né dove. So solo che non tornerai mai più nel giardino e che te lo dimenticherai.

– Ma rivedrò i miei fratelli?

– Sì che li rivedrai, te l’ho detto. Ma forse non sarai capace di riconoscerli.
L’anima del bimbo non nato, si fermò a pensare a tutti i suoi amici. Poi riprese:
– Dimmi, il posto dove c’è il sole ed il mare è davvero così bello?

– Non lo so. Non l’ho mai visto. Ma so che è un posto splendido. – rispose il guardiano.

– Allora voglio andare. Ho deciso! Dimmi come si fa!
Il vecchio sorrise. Un po’ se l’aspettava. Le anime prima o poi chiedevano sempre la “via” per raggiungere quel luogo. Ed egli era sempre felice di spiegarla loro.
– Ascolta con molta attenzione. Ecco cosa dovrai fare. Solo l’imperatore del giardino può regalarti il vento. Ma ti darà il permesso di cavalcarlo solo se gli porterai cinque regali dai cinque regni che dovrai attraversare. Non posso dirti di più. Prendi quella strada e seguila. Incontrerai i principi dei cinque regni, dovrai convincerli a seguirti e a portare un dono per l’imperatore. Alla fine della strada troverai l’imperatore. Credi di farcela?
Ma l’anima del bimbo colma di entusiasmo aveva già intrapreso il suo viaggio, senza neanche salutare il custode del giardino. Il custode sorrise di nuovo. Succedeva sempre così. Le anime erano piene di impazienza. Avevano voglia di correre veloce verso la vita. Era nella loro natura. Invece era nella natura del guardiano avere cura delle anime. Così il vecchio si girò allegro e, zoppicando un po’, tornò verso il giardino giallo amaranto.

Il primo regno

L’anima del bimbo arrivò al primo regno. Pioveva. La pioggia rimbalzava sui curiosi fiori a forma di tamburo che riempivano la valle. Il ritmo terzinato della pioggia si fondeva con le quartine sincopate dei picchi che picchiavano gli alberi a forma di congas. Il cielo si riempiva del ronzio degli insetti che sembravano maracas africane, ed i zoccoli delle mandrie di cavalli che saltellavano sul prato suonavano come un flamenco di nacchere.

Ogni cosa sembrava uno strumento percussivo, e ogni movimento era una danza. Era sufficiente battere tre volte le mani per provocare in risposta stormi di uccelli, e sciami di api che inscenavano in aria un “cha cha cha” in tre-quarti. Era sufficiente saltellare su un sasso per osservare una mandria di unicorni che rispondevano esibendosi un una danza “baciata”, perfettamente a tempo col proprio salto. Era sufficiente fischiettare un motivetto per ascoltare le cinciallegre cantare come sonagli di una samba brasiliana.

Ma l’anima del bimbo non aveva né le mani per applaudire, né i piedi per saltare, né le labbra per fischiettare. Quindi non capiva.

Si aggirava per quell’orchestra ritmica naturale cercando il principe del regno, che non tardò troppo a farsi vedere.

Era un elfo alto quasi due metri. Fumava un enorme sigaro e quando camminava ballava il tip-tap. Si avvicinava all’anima del bimbo schiaffeggiando e percuotendo tutti gli alberi, i fiori, i funghi, i cappelli degli altri gnomi con le sue lunghissime braccia, ricavandone prima un fox trot accelerato qui, poi una salsa lì, ora un sette-ottavi moderato, ora uno swing in levare. I ritmi si fondevano tra loro e non si poteva non partecipare al festino percussivo che sfondava l’aria.

Per dirla tutta, il principe era anche pieno di tick nervosi, ammiccava in continuazione e non riusciva a stare fermo un attimo.

L’anima del bimbo si avvicinò al principe e gli disse:
– Principe del primo regno, ti saluto! Sto andando dall’imperatore del giardino per chiedergli il permesso di cavalcare il vento. Verresti con me per consegnargli un tuo dono?
Il principe si levò saltellante il grande cappello verde per salutare rispettosamente l’anima. Poi disse:
– Saluto te, anima che cerca la via. Sì. Verrò con te.
E lo precedette danzando sulla strada che conduceva verso l’imperatore. E i due si incamminarono assieme.

Il secondo regno

L’anima del bimbo arrivò al secondo regno. C’era il sole e neanche una nuvola. Gli alberi crescevano in gradevoli figure simmetriche. Le foglie si estendevano in forme geometriche e cadevano tracciando traiettorie perfettamente paraboliche. Gli animali si muovevano in mandrie tutte con un numero uguale di capi, seguendo percorsi univoci. Il verso degli insetti si fondeva in temperati accordi musicali, a volte maggiori a volte minori, a seconda del loro umore. I colori dei fiori mutavano con regolarità, procedendo gradatamente dal rosso attraverso tutte le varietà cromatiche fino ad arrivare al violetto. Tutto era bello, proporzionato, ordinato ed intonato. Ogni essere vivente di quel regno era il pezzo di un grande e regolare disegno a pastello.

Il principe del regno…era una principessa. Era bionda, sorridente, e vestita di veli turchesi. Forse era una fata o un folletto. Sorrideva con i suoi occhi da gatta e le sue orecchie a punta. Si muoveva ballando con leggiadria eseguendo figure di danza regolari e armoniose. Si avvicinò all’anima del bimbo e lo salutò intonando una dolcissima ninna nanna in si bemolle che avrebbe portato lacrime di commozione sul viso di chiunque.

Ma il bimbo non nato non aveva le orecchie, quindi non capiva.

L’anima del bimbo si avvicinò alla principessa e le disse:
– Principessa del secondo regno, ti saluto! Sto andando dall’imperatore del giardino per chiedergli il permesso di cavalcare il vento. Verresti con me per consegnargli un tuo dono?
La principessa eseguì danzando tre piroette, si poggiò sulla punta dei suoi piedini e inchinandosi elegantemente disse:
– Saluto te, anima che cerca la via. Sì. Verrò con te.
E lo precedette saltellando sulla strada che conduceva verso l’imperatore. E i tre si incamminarono assieme.

Il terzo regno

L’anima del bimbo arrivò al terzo regno.

Nevicava. Faceva freddo. E tutto era grigio. Gli alberi erano secchi e le poche foglie che ancora tristemente resistevano attaccate ai rami, si coloravano di giallo scuro e non dicevano una parola. I fiori in quella penombra grigia piangevano e non sbocciavano. C’era silenzio. Nessun animale ballava o faceva un qualsiasi verso. Gli gnomi passavano il tempo seduti sui loro funghi a riflettere imbronciati. Gli unici insetti che volavano erano le libellule che con le loro ali intonavano una noiosa e ripetitiva marcia.

L’anima del bimbo ed i principi dei primi due regni davano molto nell’occhio, con i loro colori e le loro danze. E fu così che subito il principe del terzo regno si avvicinò a loro.

Era un grande orco vestito di nero: stivali neri, un lungo impermeabile nero, un cappello nero, barba nera. Si mostro triste e annoiato ai nuovi venuti, e così disse: Stranieri venuti da lontano coi vostri colori in questo luogo triste, noioso e grigio, il principe del terzo regno vi rende omaggio. E lo disse rigido ed immobile sui suoi stivali neri. E dalle sue parole arrivo una sventolata di neve gelida. Gli altri principi rabbrividirono.

Ma il bimbo non nato non aveva ancora una schiena per rabbrividire, quindi non capiva.

L’anima del bimbo si avvicinò al principe e gli disse:
– Principe del terzo regno, ti saluto! Sto andando dall’imperatore del giardino per chiedergli il permesso di cavalcare il vento. Verresti con noi per consegnargli un tuo dono?
Il principe restò immobile e con un bisbiglio gutturale disse:
– Saluto te, anima che cerca la via. Sì. Verrò con te.
E lo precedette grigio, zoppicando sulla strada che conduceva verso l’imperatore. E i quattro si incamminarono assieme.

Il quarto regno

L’anima del bimbo arrivò al quarto regno. Faceva molto caldo e tutto era coloratissimo e inondato di luce. Animali dai colori, forme e dimensioni più disparate si rincorrevano a vicenda zigzagando tra gli alberi annegati di fiori e succulenti frutti. Tutto era così colorato e disordinato che nemmeno gli abitanti del regno si ricordavano di pomeriggio che forma o colore avessero avuto la mattina. I frutti erano grandissimi e i loro dolcissimi succhi si riversavano come pioggia dagli alberi su un arcobaleno sottostante di opossum, tartarughe, liocorni, scoiattoli, cervi, coccodrilli, leoni vegetariani, barboncini e iguane che ghiottamente bevevano e saltellavano di entusiasmo. Gli gnomi di quel regno cianciavano, cantavano, litigavano, si abbracciavano, urlavano, componevano versi, giocavano coi fiori, si spintonavano, mangiavano, ruttavano, piangevano, nuotavano, ridevano a crepapelle e imparavano a ballare la mazurka. E facevano tutto in modo rumoroso e disordinato. Nel regno c’era un gran confusione e l’apparizione del principe non mitigò certo il paesaggio. Era uno gnomo basso e grassottello con due gote profondamente rosse. Vestiva di un abito di mille colori, di taglia troppo grande ma per certi versi anche troppo piccola. Teneva in mano una gigantesca bottiglia di nettare di miele e tra un lungo sorso e l’altro si rivolse ai quattro viaggiatori:
– Io, il principe del quarto regno porgo omaggio all’anima del bimbo non nato ed ai miei onorevoli colleghi degli altri regni, a cosa devo la gioia immensa della vostra visita?
E prese un altro sorso dalla bottiglia di nettare, questo ancora più lungo dei precedenti.
Ma il bimbo non nato non aveva ancora una bocca per bere, quindi non capiva.
L’anima del bimbo si avvicinò al principe e gli disse:
– Principe del quarto regno, ti saluto! Sto andando dall’imperatore del giardino per chiedergli il permesso di cavalcare il vento. Verresti con noi per consegnargli un tuo dono?
Il principe scoppiò clamorosamente a ridere, si cambiò cappello, indossandone uno ancora più chiassoso e colorato. Poi disse:
– Saluto te, anima che cerca la via. Sì. Verrò con te.
E lo precedette bevendo ed inciampando sulla strada che conduceva verso l’imperatore. E i cinque si incamminarono assieme.

Il quinto regno

L’anima del bimbo arrivò al quinto regno. Non sapeva cosa aspettarsi. Cosa e chi avrebbe trovato? Rimase notevolmente sorpreso quando lo vide.

Il quinto regno non era altro che il luogo da cui era partito: il giardino giallo amaranto. Dopo tutta quella strada era tornato esattamente al punto di partenza. L’anima del bimbo incominciò a piangere, temeva di essersi smarrito e di non poter più raggiungere l’imperatore. Ma il principe del quinto regno si avvicinò e cominciò a consolarlo:
– Perché stai piangendo? Cosa ti turba?
Il bimbo sollevò lo sguardo dalle lacrime e vide il custode del giardino. Il vecchio che aveva incontrato all’inizio del suo viaggio. Si sorprese di vederlo vestire i panni di principe e gli rispose:
– Piango perché ho camminato tanto sulla strada che portava all’imperatore del giardino ma mi sono perso e sono tornato al punto di partenza. Ho fallito! Non potrò mai cavalcare il vento.
E riprese a piangere.
– Non piangere, non ce n’è motivo – riprese il vecchio – non ti sei perso, sei arrivato alla tua meta.

– Ma com’è possibile? – disse il bimbo un po’ rinfrancato.

– Devi sapere che tutti i viaggi finiscono sempre per portarti al punto di partenza. Il vero arrivo è sempre l’inizio del viaggio. Mai il contrario!

– Ma allora tu sei davvero il principe del quinto regno?

– Certo, sono io. Ma non mi avevi riconosciuto prima perché non avevi mai visto un principe.
L’anima del bimbo sorrise luminosa si avvicinò al vecchio e gli disse:
– Principe del quinto regno, ti saluto! Scusa se non ti avevo riconosciuto. Sto andando dall’imperatore del giardino per chiedergli il permesso di cavalcare il vento. Verresti con noi per consegnargli un tuo dono?
Il vecchio sorrise come faceva sempre quando un’anima glielo chiedeva. Poi disse:
– Saluto te, anima che cerca la via. Sì. Verrò con te.

– Ma dov’è l’imperatore? – chiese il bimbo.

– L’imperatore è seduto accanto alle altre anime e ti sta aspettando.
E lo precedette sulla strada che conduceva all’imperatore. E i sei si incamminarono assieme.

 

L’imperatore del giardino giallo amaranto

L’anima del bimbo arrivò al cospetto dell’imperatore del giardino giallo amaranto.

L’imperatore era il vento.

Aveva il potere di portare le anime dei bimbi nel posto che c’è al di là. E solo lui poteva decidere quale anima portare.

Decine di bimbi non nati fluttuavano attorno all’imperatore-vento, cantavano e lo inondavano di luce.

Il bimbo che aveva viaggiato per i cinque regni gli si rivolse:
– Imperatore-vento, puoi portarmi nel luogo da cui proviene il petalo di girasole? Il luogo dove c’è il sole ed il mare?
Il vento soffiando sibilò dicendo:
– Quali doni mi hanno portato i cinque principi dei cinque regni? Solo se i doni verranno da me graditi ti porterò in quel luogo.
I cinque principi si avvicinarono all’imperatore-vento.

Il primo principe incominciò:
– Io sono il principe del primo regno, il regno delle percussioni, della danza e del ritmo, e dono al bimbo non nato il “tempo”. Ogni tempo è prezioso, ogni singolo giorno, ogni singola ora ha un valore ed egli colorerà ogni attimo della sua vita con mille progetti, mille desideri e mille viaggi. Egli non si stancherà mai del tempo perché il tempo lo porterà lontano a visitare ogni suo sogno.
Quando il primo principe smise di parlare, magicamente una batteria incominciò a suonare. Prima fu solamente una grancassa che tuonava, poi battuta dopo battuta si aggiunsero tutti gli strumenti percussivi, che si intrecciarono in un ritmo complesso e accentuato, altalenante e ricorsivo. Il giardino giallo amaranto venne riempito di suoni. Ed il cuore del bimbo iniziò a battere.
Il secondo principe si fece avanti e disse:
– Io sono il principe del secondo regno, il regno della bellezza e dell’equilibrio, e dono al bimbo non nato “l’armonia”. Ogni cosa della sua vita sarà perfettamente equilibrata e armoniosa. Egli darà il giusto valore e la giusta attenzione a tutti gli affetti e gli amori che affolleranno la sua vita. Non dimenticherà mai le persone importanti, non trascurerà mai nessun amore. Vivrà raccogliendo per strada tutte le occasioni che il mondo gli regalerà e le trasformerà in musica.
Quando il secondo principe smise di parlare, magicamente un pianoforte si mise a suonare assieme alla batteria. Le note si susseguirono in accordi, la melodia si sciolse arrampicandosi su scale di crescendo aggressivi e marziali, per poi discendere in “pianissimo” commoventi e delicati. Ogni nota arricchiva e completava la sua vicina, tutte assieme creavano una lieve e poderosa sinfonia. Ed il sangue del bimbo incominciò a nutrire di ossigeno indistintamente tutti i suoi arti.
Il terzo principe si fece avanti e disse:

– Io sono il principe del terzo regno, il regno della tristezza e del gelo. Dono al bimbo non nato l“amaro”. Purtroppo gli umani non posso diventare adulti senza amaro. E’ la loro natura. Solo soffrire un po’ fa crescere. E senza amaro non si capisce la felicità. Ma al bimbo non nato regalerò solo una trascurabile goccia di amaro, quella minima quantità necessaria che farà di lui un uomo.
Quando il terzo principe smise di parlare, magicamente, una rombante e sgradevole tromba si mise a suonare assieme al pianoforte e alla batteria. Il suono tonante e gracchiante della tromba si fuse con gli altri strumenti creando il dolce e l’amaro, il piacevole ed il dissonante, la luce ed il buio. E si formarono i sensi del bimbo.
Il quarto principe si fece avanti e disse:

– Io sono il principe del quarto regno, il regno della passione e dell’eccesso. Dono al bimbo la “follia”. Si innamorerà pazzamente mille volte di persone e di cose. Avrà attimi di follia intensa da dedicare a chi gli sta accanto. Canterà, viaggerà, esplorerà la sua e la vita degli altri e tutto assolutamente senza un buon motivo, senza la ragione! Sarà guidato dal cuore e dall’istinto!
Quando il quarto principe smise di parlare, magicamente un sensuale e profondo sassofono si mise a suonare, assieme al pianoforte, la batteria e la tromba. Il sassofono cominciò ad articolare velocissime ed assurde scale cromatiche. I suoni passavano da tonalità bassissime a tonanti ed energetici acuti. Tutti i suoni si fusero assieme: l’armonia, con la follia, la regolarità e l’imprevedibile, il dolce e l’amaro, il ritmo folle con la tranquillità ripetitiva. E si formarono le emozioni ed i sentimenti del bimbo.
Il quinto ed ultimo principe si fece avanti e disse:

– Io sono il principe del quinto regno, la stanza giallo amaranto dove fluttuano le anime dei bimbi non nati. Il regalo che faccio al bimbo è la capacità di accettare tutto quello che non potrà mai cambiare. E di trovare sempre la propria pace, anche in mezzo alla tempesta.
Quando il quinto principe smise di parlare, magicamente un paziente e regolare contrabbasso si mise a suonare. I suoni semplici e leggeri trascinavano umilmente gli altri strumenti verso la costruzione armonica dell’intero arrangiamento. Tutti i suoni finalmente diventarono uno solo. Fu la musica!
Il bimbo per la prima volta respirò.
L’imperatore-vento sorrise perché aveva accettato i doni dei principi. Accolse delicatamente il bimbo e lo porto nel mondo di là verso il mare ed i sole.
L’acqua del mare lo avrebbe generato, e fu sua madre.

Il sole avrebbe avuto per sempre cura di lui, e fu suo padre.

pompeicalchi

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