Il racconto del mese: Un color bordeaux sulla pelle del fiume di Raffaela Ruju

Un color bordeaux sulla pelle del fiume

racconto di Raffaela Ruju.

      

Il negozio di scarpe di zio Giorgio si trovava nel cuore della città, nei miei ricordi c’è un dedalo di viuzze arzigogolate e affollate.  Mia madre mi teneva per mano stringendola forte, forse aveva paura di perdermi tra la folla oppure voleva solo arrivare prima dallo zio. Mi fermavo spesso per guardare dentro le case. Dalle finestre aperte potevo vedere le donne intente nei loro lavori, i vecchi seduti sulle sedie, con le teste abbassate sulle ginocchia.  Mia madre tirava perché non voleva che guardassi dentro.

Muoviti, non fare la maleducata! Quella frase me la ripeteva ogni venti passi, però era più forte di me, non riuscivo a guardare dritta e la testa si girava automaticamente solo perché gli occhi volevano vedere. Da zio Giorgio mia madre doveva comprarmi le scarpe. Non avevamo molti soldi e lo zio ci vendeva la scarpe a rate. Quel giorno per la prima volta nella mia vita sentii la parola “bordeaux”. Mio zio elencava i pregi delle scarpe “appena arrivate dall’Inghilterra”. Io ascoltavo a mala pena. Sono scarpe inglesi sono comode e belle, non sono proprio scarpe da bambini, ma queste le dureranno almeno tre anni. Da quel momento odiai zio Giorgio e iniziai a trattarlo come se fosse l’ultima persona insopportabile rimasta sulla terra.

Fece finta di non vedere il mio sguardo nauseato, sapevo che alla fine mia madre avrebbe comprato quelle scarpe solo perché costavano meno delle altre. Le scarpe italiane erano molto costose ma queste proprio non le volevo. Io volevo portare le mitiche scarpe da tennis nere. Le stagioni dell’esistenza umana possono essere variabili e mia madre stava passando uno di quei periodi dell’esistenza in cui le venivano spontanee le negazioni. Non fare, non andare, non dire, non essere. Non vanno bene! Anche le scarpe da tennis non andavano bene e anche se mi sembrava un po’ confusa davanti a quelle scarpe color bordeaux erano, a suo dire, sicuramente più belle, più resistenti, più comode. Prima di pagare la prima rata mi elencò tutti i pregi che possono esistere in un semplice mocassino. Uscimmo dal negozio con un sacchetto di carta azzurra molto elegante. Ah, se si potesse descrivere la vanità della mente userei proprio quel momento. Mia madre camminava a passo spedito, dritta e orgogliosa del suo sacchetto blu. Io invece mi sentivo trascinare da una mano invisibile in mezzo a un  fiume di persone che nuotava per via Turritana. La gente mi  pareva troppo sgusciante per essere umana, sembrava che avessero tante cose in comune con le anguille del Mascari, e non solo gli occhi.  Trovavo splendida l’idea di tornare a casa. Non sono mai vissuta sotto l’influenza diretta di mia madre e, anche quel giorno, decisi che dovevo fare qualcosa per far durare il più breve tempo possibile quelle scarpe orribili che mi aveva “regalato”.  Ci sarebbe molto da raccontare del Mascari, ma ora non intendo nemmeno descriverlo. Il Mascari era il fiume delle mie scoperte. Talvolta rimanevo anche due ore intere a contemplare, in assoluto silenzio, ogni cosa.  Non mostravo a nessuno le mie emozioni e a nessuno parlavo delle mie scoperte, preferivo tenermi tutto dentro di me.

Per fortuna il pomeriggio arrivò presto. Mia madre e mia sorella si ritirarono per una piccola pennichella. Il silenzio pomeridiano discese sulla casa e io sgattaiolai fuori con le mie scarpe color bordeaux ai piedi. Dovevo correre veloce, non potevo fermarmi. Nessuno doveva vedere i miei mocassini nuovi. Arrivai sul fiume che avevo il fiatone. Attraversai il ponticello e mi fermai a giocare con le libellule. Mi sarei fermata volentieri per esprimere la mia meraviglia. Però avevo fretta. Dovevo raggiungere il punto più alto del fiume, quello dove di solito pescavano le anguille.

Quando lo raggiunsi ero sfinita. Non avevo nessuna voglia di contemplazione. Pensavo alle stagioni della vita, alle loro mutazioni negli anni. Le stagioni dell’anno invece sono quattro e io mi sarei accontentata di quattro tipi di scarpe: i sandali estivi, i mocassini autunnali, gli stivali invernali e le scarpe da tennis nere in primavera. Potevo anche sorvolare su primavera e autunno e ridurre a due stagioni i bisogni dei miei piedi. Inverno stivali e primavera scarpe da tennis! Terminai rapidamente il mio dramma quando sentii il respiro dei miei piedi. Ma nessuno può immaginare quanta gioia può esserci nel veder galleggiare in primavera un qualcosa color bordeaux. Per un attimo una tinta autunnale colorò il fiume. Non sarebbe stato facile trovare una spiegazione, non nutrivo nessun dubbio: non avrebbero capito. Presi la penna e iniziai a scrivere a mia madre. Ero molto ottimista, le avrei spiegato che era tutta colpa del calendario. Le mie scarpe vecchie erano molto invernali, ancora non sapevo che le avrei portate per un’estate intera.

                           
Branciforte, "Albero, paesaggio e 4 cassette", 2015, olio su tela - in apertura  "Paesaggio fluviale" #3, 2014, olio su tavola
Branciforte, “Albero, paesaggio e 4 cassette”, 2015, olio su tela – in apertura “Paesaggio fluviale” #3, 2014, olio su tavola

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