Il sistema poetico di Idea Vilariño: retrospettiva di Martha L. Canfield – 2^

Il sistema poetico di Idea Vilariño: retrospettiva di Martha L. Canfield – 2^ puntata.

    

    

Il trittico cosmogonico

La poesia di Idea Vilariño non si esaurisce col tempo. Il lettore può tornare ad essa molte volte, lasciar passare qualche anno, ma sempre troverà la potenza della sua rivelazione. Spoglia di ornamenti, la sua parola sprigiona un’energia sempre nuova, forse perché la direzione di questa parola è verticale, viaggia in profondità, e da lì, come ogni parola profetica, parla senza sosta a chi sa ascoltarla.
La sua tematica si riduce a pochi motivi (all’ossessione di pochi motivi), che sono di tutti i tempi e, in particolar modo, del nostro tempo: la caduta o espulsione dal paradiso, la ricerca della purezza perduta, la notte, il silenzio, l’amore; la vita come tentazione, la morte come destino e come unico assoluto. Si potrebbe tentare l’ipotesi che il nucleo concettuale della sua poesia appare in tre componimenti di un libro giovanile ma già pienamente maturo: Por aire sucio (1951). Queste poesie formano (non dichiaratamente) una specie di trittico cosmogonico che serve da base alla visione dell’universo sviluppata in tutto il resto della sua opera. Si tratta di Trabajar para la muerte che parla del sole (più tardi verrà infatti intitolata El sol nell’antologia di Arca del 1970), Por aire sucio che parla della luna e Los cielos che parla del mondo.
Tutte e tre le poesie iniziano con una figura di ripetizione (epizeusi nella prima e anafora nella seconda e nella terza), che indica immediatamente, rimarcandolo ritmicamente, il motivo centrale: “Il sole il sole il suo lume[1]; “Luna che esce sì luna che esce[2], “Cade dagli alberi / cade la lo autunno[3].
Da notare che in quest’ultima poesia si parla del mondo nel senso di “terra”, di “mondo creato”, ma anche di “umanità”, dal punto di vista della “caduta” immodificabile. Il peccato del primo uomo e il tradimento dell’angelo si assomigliano e così i temi della caduta e della cacciata si sovrappongono.
Il componimento Trabajar para la muerte è diviso in tre parti. Nella prima irrompe il sole, incarnazione dell’archetipo maschile in tutte le mitologie e, in generale, nell’immaginazione onirica. Ad esso si attribuisce l’origine della vita e sono sue prerogative il calore e la luce, in senso lato e in senso metaforico, vale a dire: l’amore, la passione, l’affetto, da una parte, e la lucidità, la ragione, la conoscenza, dall’altra. Nella simbologia onirica il sole è generalmente la proiezione della figura del padre o dell’amante. Come agente di calore, più che di luce, e in senso metaforico come amante primordiale, non lucido e razionale, ma al contrario, ebbro di passione, “ardente”, “accesso”, “accecato[4], si presenta nella poesia di Idea, con:

il suo odore caldo
[…] cadendo arrampicandosi nel buio del cielo
d’oro e barcollando
come un puro ubriaco[5] 

La sua ebbrezza è quella stessa della vita, che germina per opera del calore che esso emana.

Nella seconda parte della poesia si scende sulla terra, tra gli uomini, e il soggetto, mascherato in un pronome impersonale che incarna l’io poetante, è l’uomo in senso antropologico che oppone, alla festa dorata dell’ebbrezza solare, la povertà, l’assurdo, il non senso della vita: “per vivere così per morire[6]. La cosa più assurda della vita è, appunto, che si vive per morire. Però dato che non si accetta il destino mortale, si genera un altro paradosso: si rimane affettivamente legati a quelli che sono morti anche se per vivere sarebbe indispensabile cancellarli. L’oblio, lungi dall’essere positivo, risulta così causa di mutilazione e di disintegrazione della propria identità. “Fra tutte le disgrazie, la più biasimevole”, lo considerava Eschilo attraverso il Coro dell’Agamennone.
Sulla vergognosa capacità di oblio degli uomini, una contemporanea di Idea, Marguerite Duras, costruisce la sua elegia di Hiroshima (Hiroshima mon amour, 1960), citata da Idea in una commovente poesia dei Poemas de amor[7]. Per Idea l’oblio come principio di sopravvivenza si dimostra il primo atto della serie di viltà e corruzioni delle quali l’esistenza è piena; dice nella seconda parte di Trabajar para la muerte:

Los muertos tironeando del corazón.
La vida rechazando
dándoles fuerte con el pie
por favor por favor
dándoles duro.
Todo perdido
todo
todo crucificado y corrompido
y podrido hasta el tuétano
todo desvencijado impuro y a pedazos
definitivamente fenecido
esperando ya qué
días de días.

     

I morti danno strattoni al cuore.
La vita li rifiuta
li picchia forte con il piede
per favore per favore
li picchia duramente.
Tutto perso
tutto
tutto crocifisso e corrotto
e marcio fino alle midolla
tutto pericolante impuro e a pezzi
definitivamente defunto
aspettando ormai cosa
giorni e giorni.

La terza parte del componimento si focalizza nuovamente sul sole: “Y el sol el sol su vuelo” (trad. it: “E il sole il sole il suo volo”). La differenza tra l’ostinazione vitale del sole, come elemento primordiale e come archetipo, e l’ostinazione umana è la stessa che c’è tra il livello divino e quello umano, tra il livello dell’assoluto e quello del relativo, tra il puro e il corrotto.
Il sole, questo sole di Idea – più Dioniso che Apollo –, in realtà è un “ardente ubriaco”, o come dice prima un “puro ubriaco”, che annega ma “nel puro del cielo”. È un morto: tutti lo siamo, tutta la vita è inizio della morte. Ma per un paradosso che solo l’efficace ossimoro può esprimere, il sole è un morto che genera sempre vita, ovvero una fonte di vita che al tempo stesso genera sempre morte, ovvero, nella concisa immagine di Idea, “un morto acceso”. Il titolo Trabajar para morte, cioè Lavorare per la morte, si riferisce tanto al sole (prima e terza parte del componimento), quanto all’uomo (seconda parte), al povero uomo che riceve il falso dono della vita per cominciare il cammino della morte.
La luce che questo testo getta sul resto dell’opera di Idea è enorme. Qui sono in gestazione non solo la sua misantropia, il suo sguardo disgustato e nauseato del mondo e tuttavia non privo di pietà, in chiave con Schopenhauer, come abbiamo visto, ma anche la sua visione o “immagine interiore” dell’amante, il quale acquisterà corpo nei Poemas de amor come un essere dai poteri infiniti che soggioga e sottomette con la sua “passione interminabile”, proprio come il sole in questa poesia.

Le poesie d’amore di Idea si potrebbero leggere nel contesto più generale della tematica dell’amante soprannaturale o celeste[8], linea stilnovista-petrarchista che ha pochi e contati continuatori nella poesia ispanoamericana del Novecento.
L’amante poderoso e insostituibile seduce e abbandona, lasciando colui che ha avuto la fortuna-disgrazia di conoscerlo in balia della propria solitudine. Si allontana indifferente, come gli elementi naturali o gli dèi, per compiere il suo ciclo in un altro emisfero.
La Carta II (Lettera II) inizia cosí: “Estás lejos y al sur” (trad. it: “Sei lontano nel sud”), mentre l’io poetante si trova nell’emisfero nord e il disamore dell’uomo si trasmette attraverso il verbo-simbolo ponerse, che in spagnolo significa incominciare (te pones a ser = incominci a essere), ma anche tramontare (ponerse el sol):

y entonces tu recuerdo
qué digo
mi deseo de verte
que me mires
tu presencia de hombre que me falta en la vida
se pondrán como ahora
te pones en la tarde
que ya es la noche
a ser
la sola única cosa
que me importa en el mundo.

   

e allora il tuo ricordo
che dico
il mio desiderio di vederti
che tu mi guardi
la tua presenza d’uomo che mi manca nella vita
incominceranno come ora
incominci nella sera
che ormai è notte
a essere
l’unica sola cosa
che m’importa nel mondo.

Chi ha conosciuto la vita non si rassegna alla morte. Chi ha conosciuto l’amore non si rassegna all’oblio. La nostalgia del sole-amante rimane nella lunga notte dell’abbandono e può confinare solo con la morte:

te estoy llamando
[…] como si fueras aire
y yo me ahogara
como si fueras luz
y me muriera.
Desde una noche ciega
desde olvido
desde horas cerradas
en lo solo
sin lágrimas ni amor
te estoy llamando
como a la muerte
amor
como a la muerte

    

ti sto chiamando
[…] come se tu fossi aria
e io affogassi
come se tu fossi luce
e io morissi.
Da una cieca notte
da oblio
da ore chiuse
in solitudine
senza lacrime né amore
ti sto chiamando
come la morte
amore
come la morte.[9]

In Trabajar para la muerte c’è ancora un altro elemento che risulta emblematico di tutta la poesia di Idea ed è l’elemento cromatico. In questo componimento ci sono due colori: un indefinito “oscuro”, spesso tradotto “buio” e comunque avvicinabile al nero, e l’”amarillo”, cioè il “giallo”.
Questi sono gli unici due colori – con rarissime eccezioni – che si registrano in tutto il macrotesto ed entrambi condensano un complesso contenuto simbolico. Scuro, in realtà, fa parte dell’isotopia nero / notte e puro / purezza, termini che per Idea Vilariño si corrispondono, si complementano e si equivalgono. Nella poesia che ci occupa, “oscuro” appare in un verso della prima parte che si ripeterà, con qualche variante ma con identico significato, nella terza parte dove sarà sostituito da “puro”:

cayéndose trepando por lo oscuro del cielo

cadendo arrampicandosi nel buio del cielo

e

cayendo y anegándose por lo puro del cielo

cadendo e anegando nel puro del cielo

Il “pazzo accecato” (“loco cegado”) dell’ultimo verso della poesia, d’altra parte, non può essere altro che il sole privato della sua luce, accecato nello sprofondare della notte.
Il nero, colore della notte, è anche il colore della purezza, perché questa riprende vigore solamente nell’assoluto della morte e della notte. Per esempio, in La luz, dove “La notte fa una casa / nera pura e di tutti[10], questa notte nera e pura è indubbiamente un altro segno della morte. Lo stesso significato ha in Cielo cielo (“questa notte spetta a tutti noi[11]) e in generale ambedue i termini sono strettamente collegati in tutto il macrotesto. La purezza della notte, il suo essere non contaminata, in opposizione al giorno, così come l’acqua in opposizione all’aria (e la morte in opposizione alla vita) sono motivi instancabilmente ripetuti:

La notte che è eterna
che ignora il sole e il barbaro
simulacro del giorno
che permane illibata.[12]

Nero è l’angelo della morte (Ven[13]), nera è l’ala dell’arcangelo che disprezza la vita (El desdén[14]) e nero è il vestito che indossa l’amante abbandonata come segno d’identificazione con la notte – vestizione rituale della notte – dopo che l’amante-sole se n’è andato, si è occultato, “se ha puesto” (Carta II[15]).
Il colore giallo, che appare in Trabajar para la muerte come aggettivo dello sguardo solare (“il suo sguardo giallo”), propone una prospettiva degradata rispetto al dorato che in genere si attribuisce al sole o alla luce del giorno. Nel verso successivo vediamo che questo “sguardo giallo” appare in opposizione semantica a “il puro del cielo” che era, allo stesso tempo, lo “scuro” o il “nero” del cielo. Dopo altre due similitudini degradanti, l’ultimo verso nega il valore dello stesso sguardo, attribuendolo a “un pazzo accecato alla metà del giorno”.
Il giallo è pertanto il colore del degrado e della corruzione e si associa a “giorno”, così come il nero è il colore della purezza e si associa a “notte”.
La simbologia risulta trasparente in un componimento un po’ posteriore a questo, il già citato La luz (nella antologia di Arca le due poesie appaiono rispettivamente datate 1949 e 1950). Il ritornello di questo componimento, “È giallo fuori / oddio / è giallo”, non sembra riferito alla luce del titolo, che è di genere femminile. Dal contesto si deduce che giallo è il giorno, ma di conseguenza anche la luce del giorno, così come è giallo il sole e tutto quello che incita ad abbandonare il grande utero dell’incontaminato per entrare nell’ “aria sporca” di tutto ciò che alita. La notte, istanza femminile, a volte morte ma anche madre, protegge e ripara. Il giorno, istanza maschile, come la luce e il sole che lo definiscono, ferisce, corrompe, devia. La luce sarà “un fascio di spade” in uno dei più celebri Nocturnos[16]; qui il giorno “che ferisce / o che si affila i denti” è anche “come una spina come uno spillo d’oro / di ghiaccio[17]. In uno dei Poemas de amor, la prova dell’abbandono, quel “fazzoletto con sangue sperma lacrime” sarà anche, o nel tempo trascorso sarà diventato giallo[18].

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[1]El sol el sol su lumbre”: primo verso di Trabajar para la muerte; trad. it: p. 67 di La sudicia luce del giorno, a cura di M. Canfield, QuattroVenti, Urbino, 1989, che d’ora in poi sarà citata con la sigla SLG. Tutte le traduzioni della Vilariño e di altri poeti citati, se non diversamente specificato, sono mie.
[2]Luna que sale sí luna que sale”: primo verso di Por aire sucio; trad. it: SLG, p. 65.
[3] “Se cae de los árboles / se cae la el otoño”: primi due versi di Los cielos; trad. it: SLG, p. 71.
[4]Y el sol […] / cayendo y anegándose en lo puro del cielo / como un borracho ardiente / como un muerto encendido / como un loco cegado en la mitad del día”: Trabajar para la muerte, parte III (grassetti miei); trad. it: “E il sole […] / che cade e che annega nel puro del cielo / come un ubriaco ardente / come un morto acceso / come un pazzo accecato alla metà del giorno” (grassetti miei), SLG, p. 69.
[5]su olor caliente / […] / cayéndose trepando por lo oscuro del cielo / tambaleándose y de oro / como un borracho puro”: Trabajar para la muerte, parte I; trad. it.: SLG, p. 67.
[6]para vivir así para morise”: il pronome riflessivo impersonale se si perde nella traduzione, ma l’io poetante collettivo, anonimo e plurale è presente in tutto il componimento.
[7] Puede ser, in Poemas de amor, parte da un riferimento preciso al film di Alain Resnais, Hiroshima mon amour, con sceneggiatura di Marguerite Duras.
[8] Cfr. Elémire Zolla, L’amante invisibile: l’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, Marsilio, Venezia (1986), 2003.
[9] Te estoy llamando, in Poemas de amor (1957-1965); trad. it: Ti sto chiamando, SLG, pp.101-103.
[10]La noche hace una casa / negra pura y de todos. / La noche hace una casa”: è la penúltima strofa completa di La luz, in Por aire sucio (1951); trad. it: La luce, SLG, p. 57.
[11] “esta noche que nos toca a todos”: ultimo verso del componimento Cielo cielo, in Cielo cielo (1947).
[12]La noche que es eterna / que ignora el sol y el bárbaro / simulacro del día / que perdura intocada”: La noche, in Nocturnos (1955); trad. it: La notte, SLG, p. 83.
[13]Si fuera un ángel negro / […] / estaría clamando / rompiendo el aire el techo el cielo / con mi voz / ven muerte ven / que espero”: Ven, in Nocturnos (1963-1976); trad. it.: “Se fosse un angelo nero / […] / me ne starei a chiamare / rompendo l’aria il tetto il cielo / con la mia voce / vieni morte vieni / che aspetto”: Vieni, SLG, p. 157.
[14]Arcángel de ala negra / de ala cerrada que / […] / arrastrado / sin luz / partido en dos / arcángel”: El desdén, in Nocturnos; trad. it.: “Arcangelo di ala nera / di ala chiusa che / […] / trascinato / senza luce / spaccato in due / arcangelo”: L’indifferenza; SLG, p. 61.
[15]Cuando la luz se acabe / sabré que son las nueve / estiraré la colcha / me pondré el traje negro […]”: Carta II, in Poemas de amor (1957-1965); trad.it.: “Quando mancherà la luce / saprò che son le nove / stirerò il copriletto / m’infilerò il vestito nero/ […]”: Lettera II, SLG, p. 97.
[16][si] la luz ya no fuera un haz de espadas”: Si muriera esta noche, in Nocturnos (1955); trad. it.: “[se] la luce non fosse più un fascio di spade”: Se morissi sta notte, SLG, p. 77.
[17][…] el día que lastima / o se afila los dientes. / […] / como una púa como / como una aguja de oro / de hielo. Es amarillo. / Y adentro es amarillo”: La luz, in Por aire sucio (1951); trad. it.: “[…] il giorno che ferisce / o che si affila i denti. / […] / come una spina come / come uno spillo d’oro / di ghiaccio. È giallo. / E dentro è giallo”: La luce, SLG, p. 57.
[18]Hoy el único rastro es un pañuelo / que alguien guarda olvidado / un pañuelo con sangre semen lágrimas / que se ha vuelto amarillo”: El amor (Amor amor jamás), in Poemas de amor (1957-1965); trad. it.: “Oggi l’unica traccia è un fazzoletto / che qualcuno possiede e l’ha scordato / un fazzoletto con sangue seme lacrime / che è diventato giallo”: L’amore (Amore amore mai più), SLG., p.109.

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