La poesia, l’immaginario e l’evoluzione sociale, editoriale di Daniele Barbieri.
C’era una volta la poesia. Va bene: non è proprio così; la poesia c’è ancora. Ma una volta c’era un ruolo sociale della poesia che da molto tempo non esiste più; del quale per lungo tempo è rimasto solo lo spettro, sinché è scomparso pure quello, e quello che resta oggi ne è forse lo spettro dello spettro.
Le parole di Omero e degli aedi che come lui recitavano a memoria dei versi epici lungo le strade della Grecia antica, spesso semi-inventandoli ogni volta, non servivano solo a divertire gli animi, anzi spesso non divertivano affatto. Quando Ulisse, alla corte di Antinoo, sente il racconto dell’aedo, si mette a piangere, coprendosi il volto col mantello. Certo in questo caso lo fa perché si accorge che si sta raccontando di lui stesso; ma evidentemente tra i greci non doveva essere un fatto così singolare che il racconto in versi di un aedo suscitasse commozione.
L’importanza sociale che i Greci attribuivano ai versi omerici era tale che essi adottarono i segni dei fenici per non correre il rischio di perderli. Il punto è che quello che quei versi cantavano non erano solo le imprese degli eroi, ma il senso stesso della civiltà greca, la quale – comunque – delle imprese degli eroi del mito era impregnata. I versi dei poeti costruivano l’immaginario della popolazione greca, e l’immaginario è ciò su cui si fonda il desiderio che dirige le nostre azioni. Il che non vuol dire che i Greci desiderassero comunque ripetere le gesta di Ulisse, ma che c’era in quel modo di agire e di vivere qualcosa che non poteva essere perduto, e che comunque influenzava l’azione dei singoli, e l’evoluzione della società. Per questo l’adozione della scrittura venne sentita come un evento cruciale, che permetteva ai Greci di mettere maggiormente al sicuro la propria identità futura, la propria specifica differenza rispetto ai barbari.
Proprio perché Augusto era consapevole di questo potere mitopoietico della poesia, chiese al massimo poeta della sua epoca, Virgilio, di scrivere un poema che glorificasse le ascendenze di Roma dando in questo modo un supporto mitologico al proprio impero. Nell’immagine di Roma costruita dall’immaginario dell’Eneide, un duce saggio e illuminato come Augusto diventa certamente più desiderabile delle litigiosità del Senato, che avevano condotto a quasi un secolo di lotte intestine e guerre civili.
Il potere mitopoietico della poesia, potere quindi di influenzare l’evoluzione della società, continua a lungo, e diminuisce progressivamente a mano a mano che aumenta il rilievo di altri strumenti di costruzione dell’immaginario: il teatro in prosa, il racconto in prosa, la pittura narrativa, la predicazione ecclesiastica, e poi l’informazione prima occasionale e poi regolare, quotidiana…
Nel diciannovesimo secolo il potere di costruzione del mito da parte della poesia è già ridotto a un fantasma, perché troppi altri e troppo più forti sono gli strumenti per controllare l’immaginario. Il lettore dell’Ottocento costruisce il proprio immaginario con una grande quantità di differenti strumenti, non ultimo il Melodramma, una forma di poesia per musica in cui noi, oggi, vediamo sostanzialmente la musica e il racconto teatrale, ma ben difficilmente ci ricordiamo e riteniamo pertinente il fatto che i testi siano in versi!
Certo, alla poesia resta comunque un enorme prestigio, che le proviene da un passato in cui il suo ruolo mitopoietico era cruciale, un passato non lontano nel tempo e occasionalmente ancora presente qua e là nel territorio, a volte riscopribile in tradizioni popolari seminascoste. Questo prestigio, pur diminuito, continua a esistere nel Novecento, quando la nascita di nuovi strumenti mitopoietici (primo tra tutti il cinema) gli restringono ulteriormente il campo, riducendolo ad assere il fantasma di quello che ancora era nell’Ottocento: il fantasma di un fantasma, insomma.
Ora, io sono profondamente convinto che l’inseme degli strumenti mitopoietici (informazione televisiva e cinema in testa a tutti) costruisca il nostro immaginario e da questo conseguano le direzioni del nostro desiderio, che sono quelle che dirigono l’evoluzione della società, sviluppo scientifico-tecnico compreso. Il problema, semmai, è come i temi cruciali si inseriscano, appaiano, prendano rilievo nelle varie forme di mezzi di comunicazione. In una certa misura questi temi sono presumibilmente controllati da chi ha il potere di farlo; in una misura probabilmente maggiore non fanno che riflettere lo status quo, promuovendo un’inerzia che assicura una certa stabilità sociale, anche in una prospettiva dinamica di progresso tecnologico; e poi? E poi ci sono le invenzioni vere, non necessariamente consapevoli, non necessariamente destinate al successo, che nascono e si impongono perché, evidentemente, interpretano originalmente delle tendenze – e sono queste che conducono davvero la trasformazione, l’evoluzione sociale. A leggere i libri di Foucault si vede bene come si avvicendino nei secoli queste idee, e come agiscano al fondo delle trasformazioni sociali.
Cosa ne è della poesia, oggi, in questo contesto? Il suo ruolo mitopoietico è ridotto, socialmente, al lumicino – attivo ed efficace solamente nel minuscolo mondo in cui la poesia viene letta e prodotta. Al di fuori di questo mondo si legge solo poesia del passato, soprattutto a scuola, con funzione conservatrice, e la si legge e impara soprattutto come portatrice di Grandi Valori: ben difficilmente nelle antologie scolastiche troveranno posto i sonetti licenziosi di Rustico Filippi o di Pietro Aretino!
Da parte sua, la poesia contemporanea è abbastanza consapevole che il suo farsi portatrice oggi di grandi valori apparirebbe un po’ ridicolo: la voce di un profeta che grida nel deserto, o la voce di un nano che crede di potersi fare ascoltare tra i giganti. Meglio allora rifugiarsi su valori più piccoli, o addirittura nello scetticismo, nel dubbio sistematico. Magari così, sostenendo i valori del dubbio, la poesia potrebbe trovarsi davvero in sintonia con quella minoranza sociale cui i valori del dubbio sono sempre stati ristretti – e avere un ruolo mitopoietico, locale ma efficace, senza cadere nel ridicolo.
Non so. Resto incerto. Di sicuro il ruolo della poesia oggi non è facile. Facile è cadere nella banalità, riproducendo schemi che hanno avuto davvero, storicamente, un senso, quando il ruolo mitopoietico della poesia non era ancora ridotto a uno spettro; ma che oggi non hanno più valore, se non quello di riportarci a un passato glorioso, di grande prestigio sociale, che non esiste più.
Validissime riflessioni che condivido in pieno. Bell’articolo ! Bravo !