Inebriatevi, editoriale di Emanuela Rambaldi.
Ogni fede è necessaria.
Abbiamo fede perché non sappiamo rassegnarci a noi stessi.
Così dobbiamo trovare il modo per riempire il tempo.
Di lavoro, di sport, di sesso, di alcool, di droghe, di divinità, fuori e dentro di noi. Ognuno alla ricerca del proprio dio personalissimo ed esclusivo. Che zittisca l’angoscia.
E impedisca di sprofondare – nel proprio terribile nulla.
Ogni fede è un modo per curarci dalla malattia della vita – per consolarci.
Un soccorso, quando la magia fallisce.
Un sollievo.
Un modo per trovare riparo, un modo per dimenticarsi.
Avere fede è darsi risposte – placare il tormento – trovare un senso al dolore.
Ed essere salvi – strappati per sempre all’assenza di senso.
Nessuna lucidità che sveli la menzogna,
ogni fede deve avere gli occhi chiusi.
La domanda è: come si vive senza fede.
Vivere senza fede è vivere nell’assenza
in attesa di nessuna salvezza.
Facendo appello alla curiosità.
Lottando, comunque,
sapendo di non poter vincere.
Fatica senza miraggio di ricompensa.
Come sprofondare dentro ad un burrone senza trovare appigli per arrestare la discesa.
Eppure. Resistere.
Cercando, senza tregua, come incitava il poeta, di essere ebbri.
Inebriatevi.
Bisogna essere ebbri sempre. Tutto qui: è l’unico problema. Per non sentire l’orribile peso del Tempo che vi spezza le spalle e vi piega verso terra, bisogna che v’inebriate senza tregua.
Ma di cosa? Di vino, di poesia, o di virtù, come vi pare. Ma inebriatevi.
(Charles Baudelaire – Piccoli poemi in prosa – Lo spleen di Parigi)
bisogna, semplicemente, essere ciò che si è: ontologici
“ogni fede deve avere gli occhi chiusi”.
Ogni fede è vedere l’invisibile oltre il visibile, quindi anche – e forse meglio – ad occhi chiusi. Con un neologismo direi che è ‘esistibile’ ciò in cui si crede ma solo quando si è disposti a non tradirsi, a non rinunciare alla propria idea, convinzione o percezione. E dunque ogni fede è realizzabile nella misura in cui si ha fede in se stessi.