Quarantenni a confronto: intervista a Alessio Alessandrini a cura di Paolo Polvani e alcune poesie

Quarantenni a confronto: intervista a Alessio Alessandrini a cura di Paolo Polvani e alcune poesie.

    

    

VERSANTE RIPIDO - LA FOTOAlessio Alessandrini, nato ad Ascoli Piceno nel 1974, è insegnante. La sua prima silloge La Vasca (Lietocolle, 2008) è risultata vincitrice del  XXII  Premio Letterario Camaiore  Opera Prima. Del 2014, per l’editore Italic-Pequod, è uscita la raccolta “Somiglia più all’urlo di un animale“. Recentemente la silloge inedita “I congiurati del bosco” è risultata segnalata al Premio Dislivelli, promosso da Bologna in Lettere. Collabora come redattore al progetto editoriale Arcipelago-Itaca Edizioni.

Vi proponiamo l’intervista che gli ha rivolto Paolo Polvani e alcune sue poesie.

     

Come è nata la raccolta La madre (poesie fuori dalla vasca)?

La madre (poesie fuori dalla vasca) è la sezione più longeva de L’urlo, (come affettuosamente chiamo sintetizzandolo Somiglia più all’urlo di un animale). In verità rappresenta una cerniera, una testa di ponte, tra la mia raccolta passata, La Vasca, edita nel 2008, e la nuova. I dieci testi de La madre furono esclusi per esigenze editoriali, avevano un tema comune che era quello della fecondazione, della geminazione, della gestazione. Erano nate come omaggio alla donna e come suggestione riguardo alla placenta. Insomma avevano un richiamo smaccatamente psicanalitico e per questo avevo deciso di eliminarle al momento della pubblicazione de La Vasca. Ora L’urlo le recuperava e, in qualche maniera; risarciva quell’esclusione. Nella raccolta edita da Italic, questa sezione ha un valore intermedio che conduce dai disastri dell’Animale guasto ai trionfi dell’Animale giusto, dalla morte alla congiunzione e poi alla nascita che sono i temi dell’ultima parte dell’opera. D’altronde Somiglia più all’urlo di un animale è un libro con una macrotestualità importante e, alla fine, anche queste dieci poesie, apparentemente distanti dalle altre, si integrano bene; il fatto che tu le abbia apprezzate conferma la bontà di questa scelta. Ammetto che questi testi sono nati da suggestioni legate alla frequentazione di una piscina, ma essa è stato un semplice pretesto. La piscina si è trasformata fin da subito in un contesto metaforico e magico, in un non-luogo dove era possibile immaginare una nuova palingenesi. Piscina come utero materno, certo, anche se questa dimensione psicanalitica non è stato tanto il punto di partenza quanto l’arrivo della speculazione poetica. <<Quella Vasca è, dunque, un simbolo implicito della poesia?>>,mi hanno chiesto in più di un’occasione. Ebbene sì, certamente. Ma è anche il vaso di Pandora di tante ossessioni: il rapporto con l’errore, la relativizzazione del giudizio estetico, la distanza tra i generi umani, il desiderio del sacro, il significato del corpo etc. etc.

      

Quando e come è nata in te l’urgenza della poesia?

La mia formazione iniziale è scientifica, sono un diplomato liceale che ha tradito le aspettative di famiglia, (volevo diventare uno scienziato), per frequentare Lettere Moderne. Il merito è stato di un’appassionante insegnante del biennio, grazie a lei ho scoperto Foscolo e la bellezza della letteratura. E’ stato un amore tardivo, ma una passione accecante. Dall’età di sedici anni non manca mai un libro di poesie sul mio comò. Sono nato come un famelico lettore del contemporaneo ma poi ho scoperto che la poesia poteva dare forma ai miei pensieri nascosti, alle mie idiosincrasie, ai miei tormenti e così è diventata davvero un’urgenza, un fuoco che quando arde non lascia spazio ad altro, mi costringe ad afferrare una penna e a lasciare tracce su un foglio. Ma prima di tutto per me la poesia è lo strumento privilegiato per entrare in relazione con il mondo, con le cose, con le persone. Poesia come comunione, come agtpe. Insomma un legame che si è rinsaldato così tanto da non lasciare più la possibilità di essere spezzato.

        

Scrive il filosofo G. Agamben: “Scrivere significa contemplare la lingua, e chi non vede e ama la sua lingua, chi non sa compitarne la tenue elegia né percepirne l’inno sommesso, non è uno scrittore…” Ora i tuoi versi appaiono come una celebrazione, una festa della lingua, hai sempre indirizzato la tua scrittura in questa direzione?

Io ho una convinzione personale che credo possa essere condivisibile: non c’è scrittura se non c’è ricerca nella scrittura. Sarebbe troppo semplice e bello scrivere all’impronta. Se fossimo una fontana di pensieri cristallina basterebbe poco per riuscire a lasciare tracce. Invece credo che la composizione di testi poetici non può prescindere da una cura per la parola e un attenzione per i legami che si intrecciano tra più parole. Credo di avere, con il tempo, elaborato un modus scribendi propriamente mio: il gioco allitterativo, il richiamo anaforico, la geminazione di suoni ritornano spesso; non sono un amante della metrica tout court ma senza un ritmo sommerso non riesco a pensare alla poesia. Il debito è sicuramente pascoliano. Attenzione però, il rischio è di cadere nel puro suono, in un barocco tintinnio del niente; ecco di questo ho molta paura, e per questo, forse, molto di quello che ho scritto è riposto in un cassetto.

    

Ci sono autori che sono tuoi punti di riferimento?

Amo tutta la poesia contemporanea, Mario Luzi, Milo De Angelis e Valerio Marelli sono gli autori che ho frequentato in lungo e largo da giovanissimo. Ma ora che ci penso anche Saba, Penna, Giudici, Damiani, oltre ai maestri indiscussi come Montale e Ungaretti. Ma invidio moltissimo le scrittrici e il loro verseggiare leonino e icastico: Paola Malavasi, Antonella Anedda, tra tante. Degli stranieri amo molto i francesi: Bonnefoy, Jaccottet (anche se è svizzero). Ma anche Derek Walcott, Seamus Heaney, Thomas Tranströmer e gli americani – Billy Collins e Charles Wright su tutti. Tra i giovanissimi Valentino Ronchi e Anna Ruotolo. Ma anche autori del “sottobosco” che meriterebbero un maggior visibilità, un nome tra i molti? Antonio Alleva.

      

Fai l’insegnante, quali sono i motivi per cui la scuola non riesce ad appassionare gli studenti alla poesia?

Io non so se sia sempre vero. Ti faccio due esempi che credo possono essere aneddotici in senso negativo e positivo, per farti capire che, a mio paree,molto dipende da chi propina poesia e di come la promuove. Mio figlio ha cinque anni, per la festa del papà ha dovuto imparare a memoria una filastrocca lunghissima, bellissima ma lunghissima. Se gli chiedi se ama la poesia, io credo che tra qualche tempo dirà di no. Poesia di Pasqua, Poesia di Natale, Poesia per i nonni, poesia per la primavera …. insomma quando arriverà ad avere quindici anni non ne potrà più di poesia. Un paio di settimane fa ho spiegato ai miei alunni George Gray, lirica tratta dall’Antologia di Spoon River; io mi sono limitato a leggerla ad alta voce, a suggerire qualche chiave interpretativa, non ho imposto assolutamente la memorizzazione, rifiuto di farne fare la parafrasi – che senso ha tradurre l’intraducibile !’ -, ho chiesto solo che, a casa, ognuno la rilegga in silenzio e ci rifletta un po’su, pensi a cosa gli ha insegnato se gli ha insegnato qualcosa, dica a sé se piace e perché. Valentina, tredici anni, indolente e ribelle, sembra non aver partecipato alla lezione, eppure ritorna, il giorno dopo, chiede se può ripetere la poesia a memoria, ne fa un’analisi impeccabile. Ti chiedi cosa sia accaduto, quale incantesimo. Lei ti dice, con una semplicità disarmante,e che vale molto più di tante parole: “Professo’, è una poesia bellissima”. Ecco, i ragazzi, i bambini, hanno occhi e orecchi per la bellezza ma spesso noi adulti glieli abbiamo ottundi, li abbiamo rimbambiti di nozioni, critiche, paroloni; quando un insegnante fa parlare la poesia, la lascia traspirare (trasparire, andrebbe bene ugualmente),, la poesia come un morbo virale – ma quanto vitale -si inocula nell’anima di chi ascolta, se invece ci si incaponisce a volerne fare materia per indottrinare, bene, a quel punto si creerà un disamore che raramente si riuscirà a curare. Non so se mi sono fatto capire? Per insegnare poesia, occorre esserne innamorati e appassionati. Appassionati e innamorati della vita, ovviamente. Altrimenti i nostri alunni la crederanno sempre anacronistica e lontana dalla loro realtà.

    

Hai progetti in corso di realizzazione?

Come dicevo poc’anzi, ho molto materiale racchiuso nei cassetti: vecchie liriche a cui sono legato affettivamente ma proprio per questo da non pubblicare, una raccolta di haiku frutto di una sperimentazione durata una stagione; e poi due raccolte in fieri, I congiurati del bosco , il cui tema principale è la resistenza, e Nel biancore, titolo provvisorio, dove cerco di sondare in liriche brevi, lunghe quanto un twitte, l’abulico sonnambulismo della società contemporanea e il desiderio, sempre più evidente in molti, di fuggire da essa. Saranno libri? Lo scopriremo solo vivendo, come cantava il mitico Lucio Battisti.

      

Di che altro ti occupi nella vita quotidiana, che interessi coltivi?

La scuola occupa gran parte della mia vita, anche per alcuni ruoli dirigenziali che rivesto; poi c’è la famiglia a cui sono legatissimo e a cui voglio dedicare tutto il tempo possibile. Collaboro con una radio locale (Radio Ascoli) e, un caro amico poeta, Danilo Mandolini, mi ha coinvolto nel suo progetto editoriale e son contentissimo di aiutarlo. Vorrei e forse potrei fare tant’altro ma i poeti, si sa, sono degli incorreggibili oziosi. Amo leggere anche romanzi, saggi e la storia dell’arte. Amo guardare il mondo da dietro una finestra, e a volte, ci si riesce a stancare per quante cose si riescono a scoprire. Fanno male gli occhi, ma si si accendono le parole.

       

Alcuni testi di Alessio Alessandrini: 

I corpi eloquenti
nella loro liquida
santità.

Si vanno ricomponendo
e le molecole riscoprono
il loro senso piene.

Abbiamo lucciole elettriche
sulle nostre pelli, le voglie
da baciare sul bianco
slavato delle Madri.

E le bocche affamate
brillano come perle nel buio
delle nostre case bianche
nel bianco delle lenzuola
trapuntate.

*

Le madri sembrano possedere una cieca fiducia
nell’acqua come per una competenza organica.
Vi si amalgamano scivolando nella traiettoria
regale, raffinata, francese.

Non c’è accademia nella loro andatura
numinosa, ma è un trascolorare
limpido, esistenziale.

Accettano di farsi amare
coniugando gambe e braccia
le fanno roteare intimamente
con pudica desistenza.

Offrono ai nostri occhi virili
la cultura dell’abbraccio cedevole,
la dolce costanza della carezza pneumatica.

Sono diventate lusinghe azzurre
nell’azzurro imploso della vasca:
meduse trasparenti che bruciano
le epidermidi dei figli escoriati,
incartapecoriti per la barbara
accozzaglia di schizzi e rabbia.

*

Da dove questa lievità panica
della bracciata che si leva
e si abbatte regale
metrica di una lirica
epiteliale, simpatica.
Abbiamo avuto da sempre
l’istinto di scrivere
con inchiostro indelebile
lungo la lunga processione
delle vostre bianche braccia.
Ma è un’aspettativa che va delusa,
o Madri, se la vostra natura oscura
è liquida, fuggevole, semantica.

*

Sono soffici e brune
come pane appena tostato
le gambe che anguillano
soffiate nella superficie della vasca
le gambe della ragazza nella quarta
corsia da destra, la quinta
se si ribalta la prospettiva;
mollica dorata nel suo tesoro d’allegria
mentre scivola via leggera,
immacolata, pneumatica calligrafia.

La moltiplicazione avviene negli occhi
inebetiti e allarmati degli altri
natanti, stanchi, affascinati
da tanto semplice ardore
delle braccia.

Tutta la vasca è un ergastolo
di femminile felicità,
ci saponiamo di lei, in tanta
specola di luce, profumo
di pane e limpida acqua.

*

Allinearsi al corpo cetaceo della Madre,
al suo ventre piatto levigato
nell’estensione epiteliale
mentre muove parallela il braccio
nel verso che somiglia alla rana;
concepire la clemenza dell’acqua
nel respiro alterno in sincronia
tirare via lungo un orizzonte
panico e nel fondo in apnea
tingere di rosso la mano
all’altra mano, fino a compiere
la lenta e infaticabile geometria
delle membra affusolate, legate
nella forma sinusoidale dell’amore
fino a combaciare pelle a pelle
a percepire il calore liquido
solidale, pneumatico, indenne.

Madre che confondi il tuo andare
con quello del figlio e lo orienti
dentro te, nel grembo,
rigenera l’umano.
Fatto eterno.
Sano.

*

         

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opera di Maurizio Caruso

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