Intervista a Annalisa Ciampalini.
Benvenuta Annalisa. Siamo rimasti molto colpiti dal tuo ultimo libro “L’assenza”, Ladolfi ed. 2014, e abbiamo avuto il desiderio di porti qualche domanda.
Per cominciare, raccontaci qualcosa su di te e sulla tua poetica.
Fin da bambina ho associato la poesia a una specie di miracolo. Crescendo mi sono appassionata alla musica, alla matematica, ma sapevo che dentro me stessa una parte continuava ad essere devota alla poesia.
Parlare della mia poetica mi risulta abbastanza difficile. Inizialmente scrivevo con molto coinvolgimento ma senza un fine preciso, erano versi che assorbivano la realtà del momento, la sofferenza o l’estasi di istanti che ritenevo irripetibili e che pertanto desideravo “ingabbiare”. Credevo che la forma poetica fosse più adatta della prosa per il mio scopo. Col tempo le mie esigenze sono cambiate. Ho iniziato a leggere più seriamente poesia classica e contemporanea, cercando di rafforzare le mie conoscenze, ho cominciato a dare peso al linguaggio, a misurare la necessità di alcuni versi, il loro ritmo. Mi sono posta tante domande trovando poche risposte, questo è vero, ma continuo a farlo anche adesso, dopotutto sono consapevole di aver tanto da imparare. Quello che posso dire, e che mi consola veramente, è che adesso traggo molta gioia nella lettura dei testi altrui e lo considero un privilegio perché per me implica un modo diverso per accostarmi alla conoscenza dell’animo umano.
Negli ultimi tempi la mia poetica si sviluppa attorno a temi più precisi, non perché lo abbia programmato, ma perché il mio pensiero è meno mobile, più concentrato su nuclei che non si esauriscono in un piccolo gruppo di versi. Ad esempio sono molto occupata a sperimentare in che modo l’espressione poetica possa raggiungere e potenziare quella parte di noi che è dedita ad immaginare. Mi piace pensare all’immaginazione, vederla come un dono di cui possiamo beneficiare per recuperare un pensiero più libero, meno affaticato da una realtà che comunque resta sempre presente.
Quali sono i tuoi punti di riferimento poetici?
Niente mi ispira e mi evoca poesia come i poemi omerici. Una condizione simile si viene a creare anche con la poesia di Leopardi. Amo Montale, Ungaretti, Pavese, solo per citarne alcuni. Tra gli autori dei nostri giorni mi piace leggere Milo de Angelis, Silvia Bre, Mario Benedetti, Giovanni Parrini, ma anche Bonnefoy, Zagajewski, Ekaterina Josifova, e molti altri che ho il piacere di scoprire giorno dopo giorno, soprattutto in alcuni blog e riviste. Spesso vado in cerca del silenzio e poche volte riesco a trovarlo, forse è per questo motivo che prediligo una poesia che prende vita dal silenzio, i cui versi sono immersi in una quiete che mai riesco a raggiungere . Amo particolarmente Tranströmer : le sue parole ci raggiungono da un silenzio abissale che consente ai rumori più nascosti di emergere, di far parte della realtà percepita. Leggendo Tranströmer ho l’impressione di stare in cima al mondo, col piede appoggiato su un piccolo sostegno: mi basterebbe una mossa improvvisa per ritrovarmi dall’altra parte del pianeta. Questa sensazione di isolamento, di smarrimento di fronte a un paesaggio i cui elementi si fondono l’uno con l’altro, in cui l’uomo sembra essere scarsamente presente, mi interessa molto, trovo affascinante riprodurre mentalmente tale condizione. Non so quanto gli autori che ho citato influenzino il mio stile o il mio sguardo sul mondo, né oso paragonarmi a loro, di sicuro per me sono molto importanti, costituiscono un riferimento da un punto di vista poetico e di pensiero, ma soprattutto arricchiscono il mio mondo interiore.
Qual è il filo conduttore de “L’assenza”?
Il filo conduttore de “L’assenza” è costituito da più elementi. Essi sono: le assenze, la sofferenza che ne deriva, la ricerca di qualcosa d’altro che ci salvi da una vita vuota, senza senso.
Le poesie di questa raccolta sono state scritte nell’arco di diversi anni e tutte nascono a motivo della mancanza di una persona (che varia da poesia a poesia) e della mancanza di sentimenti forti che danno senso alla vita. Nascono anche in seguito alla constatazione che certi luoghi, spesso strettamente connessi a persone, hanno perduto la peculiarità per cui erano vivi e significativi.
Le poesie della raccolta non riguardano direttamente me, non tutte. È un libro che nasce dall’introspezione ma pure dall’esperienza, dall’empatia che deriva dal vivere accanto a tante persone. La fine di un amore, un lutto, l’affievolirsi di certi legami affettivi sono storie che riguardano la maggior parte di noi, la sofferenza che ne deriva ci è nota. Ho visto molte persone angosciarsi per esperienze simili, ho visto e “sentito “ sguardi vuoti, ho vissuto la preoccupazione di fronte a giorni che sembrano solamente una sequenza assurda di ore che devono finire. Ho constatato, e non è certo una novità, che la sofferenza dell’uomo spesso è legata alla mancanza di qualcuno o di qualcosa. Le poesie de “L’assenza” non vivono grazie ad astrazioni, a sensazioni neutre che poi vengono valorizzate dallo sguardo personale del poeta, esse nascono dalla spinta potente della sofferenza. In diverse poesie mi sentivo nella condizione di dover dare alla luce qualcosa di concreto da contrapporre ad un’assenza totale, qualcosa con una forma tangibile che incarnasse la sofferenza. Ecco perché spesso nei versi emergono atomi e particelle subatomiche. Mi sentivo nelle vesti di chi chiama queste particelle, costituenti tanto gli essere viventi quanto gli oggetti, a dare fattezze concrete ed evidenti a quello che non ce la fa ad esistere.
Più che gli atomi, forse, ho invocato la grazia della poesia.
Quale Presenza contrapponi all’Assenza?
Un’assenza totale va riempita. Le poesie di questa raccolta si nutrono solo in parte della sofferenza che deriva da una perdita, per una buona parte esse traggono linfa vitale nella ricerca di una sostituzione per l’assenza. L’atto stesso di scrivere, a volte, può compensare la realtà di un mondo che percepiamo vuoto. La presenza di una persona, di legami affettivi significativi, costituiscono la contrapposizione più netta ai momenti di vuoto assoluto, all’assenza di vita. Tuttavia, nel mondo concreto, con il quale dobbiamo fare i conti, non è semplice trovare un rimedio immediato per i nostri lutti, e di sicuro non possiamo pensare di sostituire una persona che non c’è più con un’altra che arriva. Non solo: spesso non c’è proprio nessuno che si presenti. Allora, in mancanza di questo, sarebbe significativo per la nostra esperienza di vita cercare qualcosa che possa alleviare la penuria di certe giornate. La creatività, l’immaginazione, usate secondo le nostre inclinazioni, possono aiutarci a colmare le perdite che abbiamo subito, a ritrovare un senso che si insinui piano piano nei giorni che ci è dato di vivere.
Gli infiniti incontri avvengono solo nel mondo onirico?
Rispondo volentieri a questa domanda perché costituisce uno spunto di riflessione anche per me.
Supponiamo di desiderare un incontro e di non riuscire mai a realizzarlo. Se il desiderio che abbiamo non si esaurisce la nostra mente può innescare un processo di immaginazione senza sosta che ci porta a vivere l’incontro molte e molte volte. Chiaramente tale esperienza avviene al di fuori della realtà condivisa, più precisamente in uno spazio che non risente dell’imponderabilità, in uno spazio gestito solo dalle nostre pulsioni e volontà in cui possiamo vivere tutti i momenti che ci sono negati, magari fingendo anche stupore. Certo bisogna lasciarsi trasportare, potenziare la nostra immaginazione in modo che riesca davvero a sorprenderci. A volte un incontro reale, soprattutto quando è stato ricercato a lungo, può essere deludente, portarsi appresso la pesantezza di una realtà che distrae, che ci è ostile e non ci fa godere appieno quello che ci sta accadendo. L’immaginazione, invece, se usata nel giusto modo, ci protegge da una realtà difficile lasciandoci comunque un margine di spazio per gioie, sicuramente transitorie e inconsistenti, ma pur sempre gioie.
Lontana da me l’idea di affermare che gli eventi immaginati sono più appaganti di quelli reali. Ma se la realtà ci nega ogni possibilità allora ben venga l’immaginazione a soccorrerci. Si tratta di stati mentali che vengono attivati in condizioni d’emergenza, come spesso avviene ne “L’assenza”.
Quale futuro pensi per la poesia italiana?
Volendo essere ottimista, il futuro che penso per la poesia italiana coincide con il futuro che spero.
Spesso viene detto che in Italia sono più numerosi gli autori di poesia rispetto ai lettori. Questo aspetto, se fosse vero, non è certo positivo, ma non deve spaventare poiché nel nostro paese vi sono molti bravi poeti, davvero bravi, e stanno facendo tanto per la nostra poesia. Spero che tutti questi autori talentuosi non si stanchino di appassionarsi alla loro arte, proseguano con una ricerca attenta, con la produzione di opere di valore.
Quello che mi auguro è invece un futuro diverso per quanto riguarda la diffusione della poesia contemporanea e il modo in cui viene letta. La poesia non può mai essere letta superficialmente, esige una particolare concentrazione, una certa dimestichezza con un linguaggio che al primo impatto può rivelarsi oscuro, di ostacolo per la comprensione del testo. Non semplice risulta anche il doversi accostare alla complessità dei temi trattati dagli autori. Alcuni lettori si fermano al primo tentativo di lettura di una poesia e spesso se ne allontanano dicendo di non comprendere. Forse se nelle scuole fosse dedicata qualche ora all’introduzione della poesia contemporanea le cose andrebbero in modo diverso. Sebbene la poesia abbia una vita propria, indipendente da quanti la leggono, sono convinta che potrà acquisire un nuovo vigore solo grazie a coloro che si appassioneranno a leggerla, a trovare ricchezza di significati in un arte così antica eppure così capace di cogliere la realtà attuale.