Intervista a Loredana Bogliun, a cura di Paolo Polvani.
Diamo il benvenuto a Loredana Bogliun, poeta dialettale istriana, sulle pagine di Versante Ripido e le proponiamo alcune domande. In questo stesso numero potete trovare un articolo di poesie di Loredana con introduzione di M. Sambi.
Abitare una lingua di confine cosa comporta?
Dipende dal tipo di confine. Qua stiamo parlando del confine istriano, quello politico-amministrativo creatosi tra l’Italia e l’ex Jugoslavia a meno di due anni dalla fine della seconda guerra mondiale (oggi ulteriormente diversificato tra Croazia e Slovenia). Gli italiani d’Istria sono una minoranza di costrizione creatasi quando l’Italia ha ceduto l’Istria all’ex Jugoslavia. Poi c’è stato l’esodo degli italiani perseguito dagli slavi con la strategia della pulizia etnica. Il risultato, per la cultura italiana dell’Istria, è che quella terra è stata derubata della sua coscienza e della sua lingua.
In Istria, oggi, la lingua italiana è lingua di minoranza e nella quotidianità è ampiamente diffuso il dialetto istroveneto. La lingua della mia poesia è il dialetto dignanese, una delle varianti dei dialetti istroromanzi dell’Istria meridionale. Tutto questo per spiegare che a Dignano esiste una triplice stratificazione linguistica. Il dialetto dignanese è l’espressione più arcaica, la lingua degli avi, in fase di estinzione.
Il dialetto dignanese è diventato la lingua della mia poesia a seguito di una lunga maturazione personale. Non lo considero una lingua di frontiera, così come non si può considerare una lingua di frontiera il veneto o il siciliano. L’ho interiorizzato da piccola ascoltando i miei nonni, gli anziani del paese, vivendo la mia infanzia con le atmosfere di questo dialetto. Oggi quando mi ripenso rivedo questa esperienza straordinaria: afferrare la fine di un’epoca, di una lingua, di una cultura, di un universo simbolico, per poi avere l’opportunità di ricrearlo e personalizzarlo.
Che tipo di dialetto è quello di Dignano d’Istria?
Il dignanese è un dialetto neolatino. Appartiene al gruppo di parlate romanze proprie dell’Istria sudoccidentale. Ѐ una delle varianti dell’istroromanzo (in letteratura viene usato anche il termine istrioto). I dialetti istroromanzi, come varietà neolatina, sono le più antiche parlate autoctone della penisola istriana. Nascono all’interno dei processi di romanizzazione della penisola in seguito all’aggregazione dell’Istria nella compagine statale romana.
Gli idiomi preromani esistenti sulla penisola non scomparvero all’improvviso. Il prestigio sociale del latino agì in modo tale da innestarsi sul patrimonio linguistico primitivo. Si mise in atto un processo di adattamento del substrato prelatino al sistema morfosintattico della lingua latina e nacque la nuova lingua romanza dell’Istria.
L’esistenza dell’istroromanzo fu sancita all’incirca intorno all’ottavo secolo quando, con la cosiddetta riforma carolingia, Carlo Magno ripristinò l’uso del latino più puro nel Sacro romano impero. All’epoca, l’Istria possedeva uno strato originario neolatino sviluppatosi direttamente dal latino. Si trattava di un idioma romanzo nuovo, neolatino, autoctono del territorio.
Di quali temi si alimenta la tua poetica?
La poesia arriva dal silenzio interiore. La mia poesia si nutre dell’ascolto del mio dialogo interiore che diventa ricerca dell’essere. Ho un assoluto bisogno di assecondare e trasmettere la bellezza del vivere. Appartengo ad una terra dalla storia molto complessa dove il passato fornisce elementi culturali e antropologici che si prestano benissimo al recupero memoriale di fatti, persone e nel mio caso della lingua stessa. C’è sicuramente un substrato ideologico nel mio poetare che riconduce ai nostri traumi storici, rimossi e/o repressi. I poeti sanno che quando scrivi poesia ti accorgi di essere in un luogo di verità, e allora anch’io mi addentro, come a trasformare le mie vicissitudini private in qualcosa di impersonale e universale. Nel mio mondo poetico ricreo quello che del mondo voglio dire, dall’amore al recupero di un istante minimo di vita. Di me rimane sempre qualcosa di inespresso e finché è così continuerò a cercare anche con la poesia.
Che importanza riveste il paesaggio?
Ѐ parte dell’insieme. La poesia ha bisogno del senso della bellezza puro e io ho avuto la fortuna di vivere posti e luoghi ancora incontaminati fatti di pietra, terra e vento; di sole, mare e spazi infiniti pieni di luce, di suoni, di ritmi scanditi dal passare delle stagioni. L’armonia, insomma, alla quale ci si deve arrendere se vuoi andare serenamente incontro alla vita.
Per inciso, l’ Istria ha qualcosa in comune con la tua terra, la Puglia. Esiste sicuramente un antico legame tra le nostre due regioni. Sembra che in Istria siano stati inviati i veterani dell’esercito romano provenienti dalla Puglia e dall’Abruzzo che vi si insediarono in pianta stabile. Quando sono stata in Puglia ho notato molte somiglianze. Da noi ci sono molte persone con fattezze tipicamente meridionali. Mia nonna paterna faceva Ostoni di cognome ed è ipotizzabile qualche nesso con il comune di Ostuni. Però, ovviamente, non è detto… qua non sono passati solo secoli, ma millenni. Abbiamo sicuramente in comune quelle costruzioni circolari in pietra, edificate dai contadini istriani e disseminate per le campagne che servivano per ripararsi dal vento e dalla pioggia, e per riporre gli attrezzi. Noi le chiamiamo ca∫ite, da voi sono i trulli.
Qual’ è stato il tuo percorso poetico?
Ho scritto la prima poesia a otto anni e l’ultima qualche mese fa.
Di cosa ti sei occupata e ti occupi nella tua vita?
Studio, famiglia, lavoro, studi etnici, saggistica inerente alla realtà socio-culturale degli italiani dell’istroquarnerino, ho insegnato psicologia e sociologia all’Università degli studi di Pola, politica, sono stata vicepresidente della Regione Istria per due mandati, traduzione letteraria, poesia, redattrice della rivista culturale la battana. Ora sono membro del comitato editoriale della rivista Diverse lingue che ripartirà quest’anno.
Dal punto di vista dell’editoria, scrivere in dialetto presenta difficoltà maggiori?
Sì, indubbiamente. Noto un certo fermento nell’ambito della poesia neo-dialettale italiana, un filone che si va sempre più affermando. Questo indica anche una maggiore apertura e disponibilità da parte dell’editoria. Il mio primo libro di poesia in dialetto è rimasto nel cassetto per una quindicina d’anni. Spero che quello di oggi ancora inedito, Sfisse/fessure spiragli, non vada incontro alla stessa sorte!
Un grazie a Marco Polvani per la bella intervista. Ho avuto il piacere di conoscere Loredana Bugliun. Probabilmente è, come è stato già scritto da altri critici, la più importante voce istrana. Spero di avere modo di occuparmene quanto prima, e, in futuro, di inserirla in spazi che merita ampiamente. Purtroppo, e lo ripeto spesso, la situazione della poesia nel suo complesso è talmente ramificata e parcellizzata che diventa impossibile seguire tutto, e spesso si perdono di vista autori, situazioni, aree interessanti e non necessariamente marginali dal punto di vista dei risultati o culturale. Un caro saluto da m.c.
Paolo Polvani, of course!
Di certo una bella intervista da dove si evince la naturalezza della poetessa anche nelle risposte, ma più intensamente e profondamente si conosce l’anima e la semplicità della stessa dalle sue poesie; dove appaiono come per incanto ricordi della sua città, dei suoi genitori e dell’amore per i suoi ricordi di natura e di gioventù