Alcune domande a Martina Campi, e una poesia, intervista di Paolo Polvani.
Martina Campi nasce a Verona nel 1978. Dal 1997 vive a Bologna, dove si laurea in Scienze della Comunicazione. La sua raccolta di poesie Estensioni del tempo, pubblicata dalle edizioni Le voci della luna, ha vinto il premio Renato Giorgi 2012.
Con te n te zza/e
Forse era d’estate
lo ascolto ancora e ancora
e finalmente abbiamo finito
di ridipingere tutto
per i libri, entrambi
tutto quello che c’è intorno
e bisognerebbe invece
lasciarlo fuori, forse, dov’è già
rendendoci d’amore trasparente
chissà
davvero, così a bruciapelo
lo faresti?
Con lo specchio
da capogiri sempre
onirici omaggi
a “quel” Tarkovsky
o
smettere di preoccuparsi
inquieti per non sentirci
“definiti” –
ci siamo, in questo
è chiaro, chiaro come
il nostro pensiero cangiante!
Ti basta? A me mai. Ma a volte,
saperlo, mi sente.
Poi ci sono le persone
E ci sono i movimenti
E se ti raccontassi
Del voler bene?
INTERVISTA PER VERSANTE RIPIDO
1) Perché il titolo Estensioni del tempo?
Prima che mi si delineasse chiaramente la struttura della raccolta, uno dei miei intenti coscienti era quello di espandere il sentire, espandermi dentro un sentire, fare il primo passo verso un ascolto più silenzioso, lento, spazioso. Ad una recente presentazione del libro, Alessandro Dall’Olio ha accostato questo gesto al gesto dell’accogliere, che è, se vogliamo, un gesto d’amore. L’intento era un allenarmi quasi (a quell’amore) attraverso le parole e la forma, alla trasformazione dell’esperienza sensibile. Volevo sperimentare un orientamento più comodo, meno doloroso e più esteso di quello a cui, da un certo momento in poi della nostra storia, abbiamo deciso di abituarci. Per farlo serve necessariamente una presa di coscienza. Uno dei miei bisogni era trasferire un concetto astratto dalla mente a qualche parte del corpo. Forse lo stomaco, forse il sangue, o il suo scorrere. Come poteva accadermi di sentire che “il tempo non esiste”, se non tentando almeno di estenderlo? Mi sono, ad un certo punto, accorta che era questo che avevo fatto fin dall’inizio, ed era questo che accomunava gli scritti raccolti.
In tal modo è avvenuto, come dice Enzo Campi (ah, colgo l’occasione per dire che non siamo parenti!) nella postfazione, che si sia creato anche uno spazio.
Uno spazio in cui rarefarsi per sentirsi, mi verrebbe da dire. In cui lasciarsi accadere.
La postfazione si intitola “Della dilatazione e della frattura”: potrebbe essere un sottotitolo del libro, o anche un titolo alternativo. Perché è proprio così, come se Enzo Campi avesse colto i retroscena dei diversi movimenti, come se avesse assistito all’intero processo di stesura del libro.
Questo tentativo di dilatazione porta inevitabilmente con sé le tracce anche della frattura conseguente o, chissà, forse originaria. (È chiaro che, in tali condizioni di tempo esteso, il rapporto causa-effetto per come lo conosciamo, si sfalda. Tutto è simultaneo e presente).
In questa prospettiva, anche la memoria a cui mi riferisco e attingo in cinque delle undici sezioni del libro, è qualcosa che va oltre il ricordo cosciente.
Loredana Magazzeni, nella prefazione, dice “ritorna con costanza la parola memoria, trascinandosi dietro le parole che sono esse stesse memoria e culla del mondo naturale”. Questo tipo di memoria l’ho inteso infatti come simile a una “memoria cellulare”. Una sorta di “registrazione” che si genera e si costituisce, quasi a mia insaputa, e tuttavia contribuisce a formarmi.
Credo che Estensioni del tempo fosse un titolo consono rispetto a queste dinamiche e premure. E, in particolare, al loro carattere contemporaneamente personale e cosmologico.
2) In quale aspetto senti che la tua poesia costituisca una novità, porti in sé il germe del nuovo ?
Penso che per andare oltre il “già visto” sia necessario non sentirsi impauriti dalla propria unicità o a disagio (ma forse, se mai, coscienti). Né lasciarsi sedurre dal timore di poter “sembrare” banali… E quindi spesso per me la soluzione è quella apparentemente più scontata: riconoscere e ricollegarsi intimamente alla propria essenza (che è anche quella che, guarda caso, ci contraddistingue da ogni altro essere vivente e vissuto). Penso che quanto più riuscirò a muovermi liberamente dentro questa relazione e quanto più resterò collegata alla mia essenza intrinseca –quella che è davvero unica nello spazio e nel tempo, il mio vero Sé– tanto più avrò una voce mia altrettanto libera, che per me significa anche onesta, genuina. Questo almeno per quello che riguarda la necessità, l’urgenza dello scrivere che muove da dentro e la ricerca formale e stilistica che ne consegue.
Credo che questo incarni inevitabilmente un processo di costituzione di novità.
Le forme nuove nascono, secondo me, da questa ricerca che è prima di tutto interiore, perché risponde ad un bisogno, una necessità che sono interiori d’origine. E che poi, per esprimersi, utilizza gli strumenti più adatti che, lungo il cammino (che come sappiamo non comporta solo entusiasmo ed euforia, ma anche pazienza, dolore, vuoto, stasi e così via) ha ricercato e trovato, usato e osato, sperimentato e fatto propri, come un certo tipo di forma, di scansione, di linguaggio, di rapporto con lo spazio…
È una ricerca che non ha una fine, né un obbligo (la pena sarebbe: perdere la genuinità, una corrosiva ripetizione di se stessa, cercare di auto sorprendersi senza più ascoltarsi, e così via…). Tende sempre a scoprire, tentare, forzare e superare i propri limiti (strutturali, emotivi, sociali…) proprio in quanto forma espressiva anche di conoscenza.
3) La rarefazione lessicale nella tua poesia attiva campi magnetici di forte intensità, gorghi che aprono all’attenzione e all’ascolto, per esempio:
nell’abbraccio
ci si stratifica, si prende
il volo
Propensione istintuale o scelta operativa?
Quando, una decina d’anni fa, scrissi la mia prima raccolta, Definito dalla luce, (poi rivista e rielaborata e divenuta Resti dalla luce), sapevo di avere questa tendenza alla rarefazione e la agivo lasciandola libera di “manovrarmi” e di portarmi anche, in un certo senso, la mano.
La maggior parte delle volte era puro istinto e la scelta operativa avveniva se mai a posteriori. In seguito a quella raccolta ebbi un periodo esattamente opposto, le mie composizioni erano diventate molto lunghe, articolate, anche molto più razionalizzanti (La disgregazione dei deserti, Le metamorfosi della gioia, La saggezza dei corpi). Arrivata ad un certo punto non potevo che cercare una sintesi, un equilibrio tra queste due tendenze. Volevo librarmi dalle sovrastrutture e sciogliere le parole, parlare per spazi, per respiri. In Estensioni del tempo ho voluto essere il più rarefatta possibile e desideravo che le parole fossero come dei tratti per costruzioni aperte, entro le quali muoversi a proprio piacimento, per sorpresa, contemplazione, come dice anche Lorenzo Mari, e –appunto– estensione. Lorenzo Mari parla anche di “contesto sinestetizzante” e forse è stato tra i pochi a coglierlo, è chiaro che si tratta di affidarsi ad un’esperienza che, se non avviene durante la lettura, probabilmente penalizza tutta la predisposizione, a causa dei vuoti che sono presenti e che possono anche creare un fastidio in chi legge. A volte capita che questa rarefazione venga percepita non come quel campo magnetico che hai vissuto tu, o anche altri, bensì come carenza strutturale, o come un qualcosa di inconsistente che scivola via, devo prenderne atto. Perciò sono consapevole che questa scelta mi porta grossi rischi, che comunque per il momento continuerò a correre.
4) Come si è manifestato in te il richiamo della poesia ?
Per me la poesia è ed è sempre stata ovunque. Nei gesti, nelle cose. Credo appartenga allo sguardo, al senso di meraviglia. È solo per essere letta che la poesia ha bisogno d’essere scritta.
Per arrivare a percepire la mia necessità di scrivere poesia, invece che stare soltanto a contemplarla, credo ci sia stato un richiamo costante nel tempo, di non aver assistito ad un suo particolare momento specifico di manifestazione. Se, per cercare di risponderti, mi avventuro tra i ricordi, incontro una piccola Martina dai capelli neri che parla poco e se ne sta a leggere, nella camera che divide con la sorella. Oppure, periodo scuole elementari, gira per la stanza avanti e indietro con il quaderno aperto tra le mani, ripetendo e ripetendo, a voce alta, fino alla fine e poi daccapo, per impararla a memoria, una di quelle poesie che piacciono tanto alle maestre. La pioggia nel pineto, o Il cinque maggio. E questa Martina, per niente intimorita dalla lunghezza del testo da imparare, pronuncia le parole con estrema lentezza, assaporandone il gusto, con quella sensazione in bocca per cui se le fa girare per un po’, prima di passare alle successive. Se poi vado avanti col ricordo, la vedo il giorno dell’interrogazione accanto alla cattedra, che recita la poesia dondolando, come fanno molti bambini per tenere il ritmo, per stare nel tempo. E mi viene in mente che il dondolio, seppure di tipo diverso, è una di quelle cose che mi sono rimaste ancora oggi, durante le mie performance dal vivo con Memorie dal SottoSuono. Mi piace lasciarmi entrare dentro il tempo della musica e della poesia, sciogliendone il ritmo con il corpo, dando vita appunto a questa specie di dondolio. Comunque poi, ricordo che alle medie ho iniziato a creare dei collages di versi, usando le poesie contenute nell’antologia di scuola: univo le parole per me più significative e inerenti al mio sentire del momento, prendendole da chi l’aveva già reso immortale. Così, forse romanticamente, io univo Leopardi e Dante con Foscolo e Pascoli. Facevo insomma del bricolage. Fino a che ho preso il coraggio di emettere i miei primi vagiti poetici in autonomia. Senza un particolare motivo (consapevole) le mie prime esplorazioni in libreria sono partite da Eliot, Rimbaud e Baudelaire, che, insieme a Montale e Ungaretti, ho sempre considerato i miei padri formatori, perché era proprio quel periodo tra i dodici e i quindici anni. Da lì in avanti ho sempre cercato voci che parlassero per me, anche femminili, e che potessi sentire sempre più vicine sia interiormente, sia nel tempo e anche in un certo senso amavo perdermi dentro voci che sentivo completamente estranee, per quel fascino della scoperta e dell’ampliamento di un’esperienza che per me è, anche tutt’ora, legato alla magia. Ho sempre letto tantissimo, non solo poesia però, molta prosa anche, e mi sono affidata ad altre forme d’arte, come la musica, il cinema e il fumetto. Ecco, credo il tutto si sia mosso e continui a muoversi così. Come dicevo prima, non c’è una fine a questo tipo di ricerca che poi, se vogliamo, è anche un modo di vivere.
5) Ci sono poeti con i quali avverti una particolare affinità ?
Se parliamo di affinità di stile (più o meno evidente), forme, osmosi poetica, percorsi e movimenti, anche stilistici e affinità di un certo tipo, come dire spirituale– a volte – e, se dovessi per forza farti dei nomi precisi, posso dirti che mi ritrovo molto nei lavori di Giampaolo De Pietro, Dorinda Di Prossimo, Francesco Balsamo. Poi come sai, ci sono tantissimi tipi di affinità naturalmente, che sono comunque anche certi tipi di affezione e di reciproco scambio umano e stimoli poetici, pur nella diversità delle forme o degli intenti. (E qui mi riferisco ai lavori magari di Greta Rosso, Valerio Grutt, Roberta Sireno, Francesca Serragnoli, Alessandro Dall’Olio, Alessandro Ansuini…) Leggendosi, frequentandosi, andando alle serate di presentazione, alle letture o alle performance, nascono collaborazioni, scambi, talvolta persino amicizie, in cui la stima reciproca è sincera e ci si nutre di ogni diversità, ci si diverte anche. Diviene come una fonte inesauribile di conoscenza e di crescita artistica reciproca. Mi riferisco in particolare a tutto ciò che è nato, anche forse in modo collaterale, col progetto Letteratura Necessaria ideato e curato da Enzo Campi, il cui scopo è la libera circolazione del materiale letterario e delle risorse umane, andando ben oltre la comoda nicchia di poeti che si assomigliano (e quindi ti parlo di Enzo Campi stesso, Francesca Del Moro, Valentina Gaglione, Lella De Marchi, Jacopo Ninni, Davide Valecchi, Silvia Molesini, Patrizia Dughero, Mariangela Guatteri, Rita Galbucci Loreana Magazzeni e molti altri… –come vedi è un elenco anche incompleto e vastissimo di scritture eterogenee– con alcuni dei quali ci sono state dalle semplici condivisioni di momenti dedicati alla poesia, a collaborazioni spontanee, fino alla nascita –come dicevo– di vere e proprie amicizie e frequentazioni). Ci sono anche affinità misteriose perché appena appena nascenti, come Stefano Severi e Antonio Bux, che mi spiacerebbe lasciare fuori solo per la loro neonatalità. Ah, poi volevo dirti che, naturalmente, io parlo per me, non è detto che tutti i tipi di affinità che ti ho citato siano corrisposti!!!
6) Chi è Martina e di cosa si occupa nella vita quotidiana ?
Credo di essere una forma gatta.
Nel mio libro, all’apertura della sezione Questi fogli senza nome, ad un certo punto c’è scritto:
Mi dicono che sono moglie
sono figlia e sono sorella
sono amica e sono custode
sono allieva
e mi dicono che ho
il tempo per tutto
e che il tutto
è a pancia all’aria
come un gatto
Questa forse è la sintesi migliore che abbia trovato per tentare almeno ad iniziare e definirmi. Dare una definizione di sé credo sia concettualmente impossibile, tentare invece di dirsi è sicuramente utile, anche a se stessi. E quindi io ci ho provato così (era anche un suggerimento ricevuto, come si può capire leggendo). E quindi sì è tutto vero, con la pancia all’aria. Con Mario (sono moglie) che oltre a lavorare come ingegnere è un compositore e musicista polistrumentista, porto avanti una ricerca di relazione tra parola poetica e musica. Il nostro progetto si chiama Memorie dal SottoSuono ed è una cosa che riguarda molta parte del chi è e del di cosa si occupa della tua domanda. Ho inoltre un passato da comunicatrice (mi sono laureata a Bologna in Comunicazione), come responsabile della comunicazione aziendale e delle relazioni pubbliche di un centro olistico di Consulenza e Formazione di Milano. Il centro si chiama Arde Consulenza e Formazione di Isabella Tavilla ed è lo stesso centro presso cui ho conseguito il diploma di counselor, lavoro per il quale ho lasciato la comunicazione. Sempre in Arde ho imparato diverse tecniche di massaggio e discipline per il benessere e la vitalità, che hanno notevolmente cambiato i miei stili di vita. Ho conosciuto insegnanti che hanno lasciato un segno in costante movimento nella mia storia, come Isabella, appunto, Lorenzo Ostuni, Giovanna Tolio, Gaston Saint-Pierre, Gianni Bassi e Rossana Zamburlin, Enrico M. Restagno (sono allieva).
Credo nel valore profondo della formazione continua, in qualunque campo si scelga di operare. Credo in uno stile di vita naturale (per quanto possibile, certo) e che rispetti tutti gli esseri viventi. A partire dalle singole scelte individuali e quotidiane. Credo di essere la somma di tutti gli incontri e gli avvenimenti avvenuti nella mia storia e anche qualcosa in più di questa somma. Credo che della mia essenza faccia parte un gioco d’equilibrio delicato tra solitudine e condivisione profonda dell’ intimità con gli altri esseri umani, soprattutto con le persone che amo. Così come l’armonia della quale posso sentirmi parte come forma nel mondo che vive.
7) Quali progetti hai per la poesia ?
Posso solo dirti alcuni tra i progetti che ho per la mia poesia…
Estensioni del tempo, e le altre raccolte ancora, per il momento, inedite.
Alcuni progetti di prosa e prosa poetica ancora in lavorazione.
Il progetto live Memorie dal SottoSuono (con Mario Sboarina), che è, come accennavo sopra, un progetto di ricerca in campo poetico e musicale, in cui musica e poesia diventano inscindibili: come tonalità di una stessa voce dalle innumerevoli sorprese e sfaccettature.
La compilation LeitMotiv 13 prodotta da FuZZ registrazione e missaggio a cui partecipano tredici progetti di artisti indipendenti e che va dal cantautorato alla sperimentazione poetica e performativa, dai suoni classici rivisitati e riproposti in chiave contemporanea, all’elettronica. (Tra l’altro comprende performance poetiche di Valentina Gaglione e di Francesca Del Moro).
Le collaborazioni, che sono stimolo e crescita, esplorando anche territori a me poco familiari e quindi, oltrepassando quei limiti di cui si diceva prima.
La bellezza di parole e immagini del Foglio d’aria – L’albero delle Migrazioni (progetto di auto diffusione di cose belle con Giampaolo De Pietro e Alessandra Roccasalva)
Continuare insomma nella mia ricerca poetica, crescere in radici e foglie.
ho voluto attendere qualche tempo prima di commentare questa belle intervista, sperando che ci fosse qualcuno più bravo di me a dire qualcosa attorno alle affermazioni cos’ interessanti che ho ri-letto volentieri, e tra queste mi ha colpito molto questa parte :
“……Penso che per andare oltre il “già visto” sia necessario non sentirsi impauriti dalla propria unicità o a disagio (ma forse, se mai, coscienti). Né lasciarsi sedurre dal timore di poter “sembrare” banali… ”
Credo che la poetessa abbia ragione : anch’io penso che spesso chi scrive debba superare la paura di dire cose solite e di rischiare di essere banale, ma non è della banalità del sentire che si deve aver paura, quanto si deve temere la banalità del modo di esprimere il sentire.
Ecco, questi versi, per me, dicono di lei molto di quanto mi affascina
o
smettere di preoccuparsi
inquieti per non sentirci
“definiti” –
.
………
………
Poi ci sono le persone
E ci sono i movimenti
E se ti raccontassi
Del voler bene?
Credo che gli ultimi due versi siano il senso del far poesia, ma la mia è la semplice opinione di qualcuno in avanti negli anni.
Chiedo scusa.
grazie
Gentile Luigi38, mi scuso per il ritardo di questa risposta. La ringrazio molto per le sue parole sensibili e gentili. Ha colto in modo così diretto una delle tematiche che mi stanno più a cuore, e approfondito il pensiero che avevo lasciato nell’aria un po’ a metà :o)
La ringrazio anche per la sua “semplice opinione” che è il cuore dei miei intendimenti e tentativi poetici.
Martina
Un’artista che si definisce ” forma Gatta “, bé , già in questo vi è qualcosa di veramente grande ed originale!! In questa ” lezione ” più che una semplice intervista, Martina mostra di sé la parte più profonda, quella tipica di chi è ” inquieto ” ricercatore delle Luci e delle Ombre dell’esistenza umana… le sue sono Estensioni dell’Anima che poi si allargano nel Tempo… per Martina scrivere è entrare in una dimensione spazio-temporale nel quale Cuore e Mente cercano di riunirsi per creare una sorta di equilibrio così da risistemare l’entropia dell’Anima, che solo un’Artista, con l’A maiuscola, sa di avere!!! La fragilità e quindi la forza della sua poetica risiedono proprio nella sua volontà di continuo mutamento interiore… e allora come una gatta ” attende, scruta, aspetta, elabora, studia ” e poi ” colpisce “, crea!!! Attendiamo, quindi, altre forme artistiche della poetessa Campi, altri suoi ” campi ” da esplorare per poter così colpire altre ” prede ” nelle loro Anime… che il viaggio nelle Estensioni continui e che i bagagli siano pieni di originalità, spiritualità, creatività, curiosità… follia e Amore!
Un poetico miaooo, Enrico M. R. e Patrizia C.
al poetico miaooo di Enrico M. R. e Patrizia C.
grazie!
Leggere le vostre parole è stato come compiere un viaggio junghiano nelle mie.
Vi mando queste cartoline firmate da Jung stesso: “La nostra psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo, e ciò che accade nel macrocosmo accade egualmente negli infinitesimi e più soggettivi recessi dell’anima”. E: “In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto” Ultima:”
L’amore è un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito”.
Credo che questi scambi siano già estensioni di altre estensioni, che si muovono e depositano “qualcosa” in varie forme, in quella gatta sicuramente :o)
Vorrei ringraziare Versante Ripido e Paolo Polvani per l’attenzione verso Estensioni del tempo e per avermi dato l’opportunità di alcune riflessioni emerse nell’intervista.
Ringrazio tutte le persone che hanno letto e condiviso questa pagina e le persone che hanno lasciato un segno del proprio passaggio. E’ sempre una meraviglia, per me, quando, anche attraverso le pagine di un blog, avviene un incontro (di questo tipo).
Martina
La famiglia Restagno Scimone ha apprezzato molto il testo di Martina…la sua sensibilità è davvero straordinaria; una poetica alternativa ed originale che scalda il cuore e nutre la mente! Leggendo le sue poesie ci ” si avvicina ” al Cielo… Aspettiamo allora nuove sue ispirazioni e creazioni. Annamaria Scimone Restagno
Annamaria, ringrazio te e la famiglia Restagno Scimone per la vostra lettura attenta e anche di cuore delle mie parole (soprattutto quel “ci si avvicina al cielo”!, che scalda e, al contempo, rigenera). Grazie per aver condiviso. Martina
Grazie a te per scaldare i cuori….