Intervista a Marco Ribani, a cura di Paolo Polvani.
In questo numero dedicheremo un articolo al tuo “Canto Generale”, Marco. Prima però ti invitiamo a rispondere a qualche domanda per i nostri lettori.
La coralità è stata sempre presente nella tua poesia?
Avevo scritto qualche tempo fa che le forme della poesia italiana mi stavano strette,Cosi’ sono partito per un viaggio virtuale alla ricerca delle forme perdute. Sono tornato a visitare le poesie americane, sono partito per il il medio oriente e li ho incontrato il grande Adonis che mi ha indirizzato verso la poesia Sufi, di qui sono arrivato alle Upanisad Vediche. Nella memoria ho pero’ la costruzione poetica di Edmon Jabès che in alcuni suoi poemi fa parlare la voce principale con domande rivolte a vari Rabbi che gli forniscono risposte diverse e tutte a loro volta interroganti.
La coralità è quindi una scoperta recentissima.
Tu scrivi – non c’è più ego, narcisismo, volontà di potenza se ci si sente parte di un grande coro universale – non dovrebbe essere esattamente questo l’approdo di ogni buon poeta?
E’ una domanda che implica una risposta assai scomoda. Dovrebbe, ma non è cosi’. Anzi se si guarda alla poesia sul web, si vede bene che nella quasi totalità si va nella direzione opposta.
Si scrive molto guardando letteralmente al proprio ombelico, si aspira attraverso la scrittura a qualche cosa d’altro, lo si vede benissimo da quanti e quante su FB fanno seguire al proprio nome e cognome dalla qualifica di poeta o scrittore. Da quanti vedono la pubblicazione di un libro come una consacrazione. Un passaggio di status. Ma come tutte le cose anche il Web ha una doppia faccia, se da una parte serve da vetrina alla poesia da salotto, spesso anche da camera, dall’altra offre anche un’opportunità nuova che è appunto la comprensione di essere una voce tra le tante e che insieme si puo’ creare un canto generale, che non è solo un insieme di singole voci, ma di voci che parlano del mondo e delle visioni del mondo incontrandosi e sposandosi. Cantare insieme, come nel caso dei cori è fortemente educativo, perchè ci dice che si puo’ partecipare alla bellezza, si puo’ creare bellezza insieme con altri.
C’è anche un altro elemento. Osservando il web si puo’ vedere come la gran parte della poesia prodotta venga dalle città e le città sono oggi il luogo che origina un pensiero malato. Cio’ è dovuto
principalmente al fatto che la cultura, il pensiero e anche la percezione sono ormai anni luce distanti dal luogo naturale degli uomini che è appunto la natura. Non solo gli uomini, forse non tutti sanno ad esempio che nei palazzi adiacenti all’incrocio di via Indipendenza e via Rizzoli a Bologna, gli uccelli costruiscono i nidi con le cannucce che servono a bere la Coca – Cola. Per me è una immagine simbolica devastante. Come non vedere allora che anche la poesia è ammalata, piena di tic, di ipocondrie, di apparenze, di ipocrisie, di distanze siderali fra cio’ che si dice e cio’ che si è. Per la moltitudine, gli alberi, i cieli, non sono che attrezzi del mestiere poetico, quasi mai esperienze. Gli alberi sono muti, inodori, senza rughe, gli uccelli volano, ma raramente cantano e mai hanno un ombra.. La poesia cittadina è come gli individui che la producono, non ha piu’ un odore, coperta com’è di profumi e deodoranti.
L’idea del coro è resa dalla prosodia metrica, con quei richiami ad ogni verso, come è nata quest’idea?
In modo assolutamente casuale, siccome, come tu hai notato, ho scritto versi lunghissimi, accadeva che la riga venisse spezzata automaticamente dal programma di scrittura, cosi’ mi sono accorto che le parole della riga sottostante apparivano come delle riflessioni, delle sottolineature al verso. Se poi, come io faccio abitualmente, leggevo ad alta voce il verso, dando alla ripetizione un tono sommesso e riflessivo, veniva fuori una sorta di controcanto.
Che rapporto hai con la musica?
Non sono stato educato alla musica. Non ho una cultura musicale e perdippiù sono iper- negato all’uso di qualsiasi strumento musicale, compreso il triangolo. Quel poco di conoscenza che ho lo debbo al web poiché fortunatamente vi sono blog di poesia che pubblicano musiche di grande qualità. Una citazione per tutte: Natalia Castaldi su Poetarum Silva. Credo pero’ che nonostante queste limitazioni la musica sia presente nella mia scrittura. E’ come se la natura avesse voluto compensarmi dotandomi della capacità di suonare con le parole.
Comunque nella parte iniziale del mio percorso poetico ho scritto ascoltando Astor Piazzolla e Tom Waits, poi mi sono innamorato del violoncello (che per me è la sublimazione della voce umana) e con lui mi sono inoltrato nella musica classica, fino ad oggi in cui scrivendo ascolto Jordi Savall e le sue rielaborazioni, in particolare “le follie.”
Non sa che il vento reca in sé il fiato della folla dei morti e che il cielo é una densità di cenere e miele E’ un verso bellissimo ed anche lunghissimo
Mi fa molto piacere che tu abbia scelto questo verso perchè mi dà l’occasione per spiegare come ho lavorato in questo canto generale: Il verso è frutto dell’unione di due versi che ho prelevato da due poesie alterandone significativamente il senso nel primo caso e modificando la composizione del cielo nel secondo; un po’ come se io avessi ascoltato il loro canto e poi mi fossi messo a cantare la mia versione unendomi a loro.
Sulla lunghezza del verso, debbo dire che amo moltissimo la poesia della beat generation e in particolare quella di Allen Ginberg. Ogni tanto mi rileggo “Kaddish” e piango senza alcun ritegno perchè mi sento avvolto da una lacerante bellezza e questa bellezza ha un ritmo che col tempo è diventato il mio ritmo. Alcuni amici ai quali ho fatto leggere questo lavoro in anteprima, hanno sottolineato la difficoltà di rendere armonico il verso lungo; hanno contato le sillabe, hanno rilevato le dissonanze, ma io debbo confessare che per me non è affatto difficoltoso, seguo il mio ritmo, non conto nulla e in genere va bene fin dalla prima stesura.
Nel tuo Canto Generale che Funzione ha la luna e a quale suggerimento risponde?
Anche qui una spiegazione che ci porta dentro al mio lavoro in queste poesie. Questo canto non sarebbe esistito se non avessi incontrato sul web una poesia di Jorie Graham dal titolo “Questo”, sono rimasto profondamente colpito dalla sua bellezza e dalla struttura. Per cui l’ ho presa ed è divenuta la pagina su cui scrivere: ho scritto sulla sua poesia e le poesie sono diventate dieci:
Il primo verso di quella poesia è questo:
Luna piena, & i rami spogli dell’albero – mi correggo – i rami
Cosi’ questo verso che nella poesia della Graham non è più ripetuto, è diventato il primo verso di ogni poesia del Canto generale. Perchè? E anche qui una spiegazione del mio procedimento creativo:
perchè leggendo mi è venuto in mente che negli scritti e nelle poesie dei prigionieri, questi parlano molto spesso con la luna, diciamo che una anticipazione mentale della comunicazione satellitare moderna; Il prigioniero e per estensione l’umano in solitudine parla con la luna per avere una risposta a una domanda, ma le parla anche per fare sapere ad altri il suo pensiero. La luna non solo suscita visioni, ma è un ponte verso gli altri. Cosi’ ho visto gli umani come puntini sulla terra che mandavano segnali alla luna ed ella , nelle varie forme immaginate o rispondeva oppure trasmetteva il messaggio.
Un altro verso dice – perchè è il tuo canto che ti nutre e ti rende senza morte – la poesia ha ancora una forte vocazione sociale?
Vedi c’è chi è convinto come il grande Adonis che solo la poesia e per estensione la visione artistica del mondo puo’ salvare l’uomo portandolo su altri piani dal cosiddetto scontro di civiltà. Io, nel mio piccolo, sono d’accordo con lui. Vedi, io ho un passato da militante politico, sono indignato dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze sociali, ma è pur vero che sfruttati e sfruttatori di un sistema si scontrano a testa bassa ed occhi chiusi contro sfruttati e sfruttatori di un altro sistema. Io non credo piu’ nella rivoluzione proletaria, perchè i proletari rivendicano di avere di più da un determinato sistema, ma non pensano ad un altro sistema perchè il sistema informativo e quindi formativo li ha resi schiavi di un idea del progresso che propugna l’avere e non l’essere. I poveri hanno poveri sogni è questa la tremenda verità. Ma c’è un’altra questione fondamentale che Adonis si pone ed è quella che si chiede se la funzione della poesia non sia appunto quella di fare domande, la poesia come interrogazione, e tutti sanno che bisogna fare le domande giuste per risolvere i problemi. Adonis ha anche affermato che la poesia mediterranea si divide in quella che nasce dal deserto e quella che nasce dalla selva oscura (con ovvia citazione dantesca) ecco io credo che si fa un passo avanti tutti se si lavora per un incontro fra le due sponde .
Perchè hai scelto un titolo che esisteva già?
Ho scelto Canto Generale perchè appunto volevo sottolineare la visione di una umanità che canta attraverso moltissime voci, che nel cammino si confondono, si arricchiscono e diventano di tutti.
Nel Canto Generale di Neruda, che è stupendo, c’è tuttavia un autore che canta da solo la sua visione del mondo, lo fa con un libro, con un editore, con un copyright. Io invece inauguro un luogo dove più soggetti diversi si incontrano e scrivono insieme scambiandosi le parole senza nessuna proprietà, un po’ come i landays, che una volta detti sono proprietà di tutti, ma il loro vero valore è che insieme danno conto di un universo che altrimenti rimarrebbe segreto;
Tuttavia rendendomi conto di un’ambiguità non desiderata penso che lo sostituiro’ con:
“Voci dal Canto Generale”
Chi è Marco Ribani?
Marco Ribani é uno dei cento miliardi di uomini che pare si siano succeduti sulla terra.
La sua caratteristica principale è quella di essere fortemente in ritardo su tutto. Cosi accade talvolta, per la ciclicità del ricorso degli eventi, che sia lui, sia pur fugacemene, avanti agli altri, mentre tutta la sua vita non è altro che un faticosissimo inseguimento.
Di che cosa si è occupato e si occupa nella vita?
Ha fatto l’operaio, il sindacalista, l’oste, l’organizzatore di serate di poesia all’Osteria del Montesino, ha frequentato l’Università dell’autobiografia di Anghiari e poi come docente ha condotto diversi laboratori di scrittura autobiografica. Ha iniziato a scrivere poesie a 50 anni frequentando un corso dell’Università Primo Levi. Attualmente vive in Francia, ospite della medium Patricia Darrè, che lo ha scelto come poeta residente e lo ha iniziato alla conoscenza di altre dimensioni, influenzando fortemente sia il suo pensiero che la poesia.