Intervista a Roberta Lipparini, a cura di Paolo Polvani.
Ricordi quando è venuta a cercarti la poesia ? Cosa ti ha chiesto ? e tu cosa le hai chiesto ? Ricordi come era vestita ?
Ahi Paolo. Questa è già difficile… forse non devo dire queste cose
Avevo 17 anni. Ero una ragazza fragile e piuttosto sola. Non ero felice. La sera, spesso, andavo all’osteria dei Poeti, qui a Bologna. Attratta dal nome, dalla situazione di cui mi vedevo parte. Andavo sola, bevevo, scrivevo. Spesso tornavo a casa ubriaca. Adesso mi chiedo: “Ma nessuno se ne accorgeva? Perché ciò era permesso?”. Perché spesso, rientrando, vomitavo o stavo male…
Scrivevo poesie al tavolo dell’osteria. Scrivevo e strappavo i fogli. E scrivevo ancora. Mi interrogavo, supplicavo, sfogavo rabbia e disperazione.
Una sera (ecco l’incontro) mi si avvicinò un ragazzo. Aveva qualche anno più di me. Mi venne vicino e mi disse: “Non le buttare! Non buttare le tue poesie”. Era Bruno Tognolini, il poeta. Grandissimo poeta, per me. Altre volte, negli anni successivi, il mio destino di vita e di scrittura si è nascosto nelle sue tasche.
E ti so dire anche com’era vestita la poesia!
In quelle sere all’osteria, con me portavo una bambola di stoffa. La tenevo sulla panca accanto a me, o sul tavolo. Era vestita di bianco. Io le avevo fatto una macchia rossa con la tempera, all’altezza del cuore.
E so cosa mi ha chiesto: ascolto e pienezza.
E so cosa mi ha offerto in cambio: sogno. Salvezza. E rifugio.
Che rapporto esiste per te tra sogno e poesia ?
Legami strettissimi.
Sono entrambi cura e ristoro, tregua dai nostri dolori.
Sono luoghi dove la dolcezza e il desiderio possono essere posseduti a fondo, senza pagarne la colpa, senza commettere peccato, senza punizioni.
Sono i luoghi del rovesciamento del senso e della meraviglia, di rivelazioni capaci di scardinare comprensioni e prospettive.
In entrambi il tempo non ci sconfigge più. Il ritorno del passato è possibile, con una verità e un’intensità sconvolgenti.
Sono il deposito delle nostre emozioni, delle paure. La consegna di noi stessi al divino o al nulla. Sconfitta della morte. Angeli.
Leggendo le tue poesie a volte ho la sensazione che sia stata scritta per me, di essere io dentro la tua poesia. E’ un’impressione che riguarda solo me ?
Non sei solo. E’ quello che sente chi ama le mie poesie. Anche quando ami una persona vi scendi dentro, vi penetri, vi fai tana, la vesti, la senti e la vuoi “tua”, credi e desideri che sia “per te”. E’ una profonda unione tra chi legge e chi scrive. La “corrispondenza di amorosi sensi”.
Inoltre, la mia scrittura è talmente semplice che credo vi ci si affidi con fiducia. Sembra un niente, allora ti apri, ti senti tranquillo e mentre stai lì, in abbandono, se tu vuoi… entra dentro. Allora ti tocca il cuore e ti appartiene. Il terreno della mia poesia è lì, dove io e te siamo uguali. Dove ogni uomo è uguale all’altro se disarmato. Lì, ci incontriamo…nuda poesia.
La tua poesia rimanda a un rovescio, a qualcosa al di là della pagina, della parola. Ti va di parlarci di questo rovescio ?
E’ una domanda difficile. Il rovescio sono io, la mia storia, la vita. Come per tutti. Non è facile. Abbiamo tutti tanto dolore dentro. E paura, confusione, desiderio. Quello che posso risponderti e che spesso per me, la poesia è il “dritto”. Il rovescio è la vita.
Tu scrivi anche poesie per ragazzi. A livello operativo la procedura è identica o ci sono differenze ? E se si, quali?
Per me, per il mio tipo di scrittura, c’è davvero poca differenza. Accorgimenti sì, invece. Nella scelta delle parole intanto: i termini devono essere perfettamente comprensibili e mai volgari o duri. I bambini non vanno feriti. E poi, i soggetti: i temi devono riguardarli e interessarli, quindi a quelli universali affianco argomenti come la scuola, la famiglia, il gioco. Ma non sottovaluto i ragazzi. Non c’è nulla di cui non si possa parlare con loro. Un altro accorgimento è la chiusura delle poesie. Anche quando scrivo di dolore o di rabbia, la fine della poesia deve essere aperta al sollievo, al divertimento, all’aria. Mai “opere al nero” per i bambini: meritano scritture a colori. Sia consentito loro il “lieto fine”.
Chi è Roberta Lipparini e cosa fa nella vita?
Rispondo al “cosa faccio” prima. E’ più facile.
Il lavoro e la famiglia. Poi le sedute di psicoterapia. Gli incontri settimanali con il neurologo. Lo yoga. I martedì sera con il gruppo 77 da qualche mese. Il sonno, passeggiate lungo il fiume. La scrittura.
Chi sono no, non lo so dire. Non lo voglio dire. Sono lì, nelle mie poesie.
Che rapporto hai con la tua città?
Non guido e mi muovo in autobus. Almeno due ore al giorno le passo sul’autobus, da oltre trent’anni la stessa linea. Sul 27/A ascolto musica, scrivo, mi addormento. Dai finestrini vedo cambiare la città. Dentro, vedo cambiare i suoi abitanti. Esco raramente, mi perdo anche per tornare a casa. Sono fortemente astigmatica, vedo poco quello che mi circonda. Se mi guardo attorno è di solito verso l’alto, per guardare il cielo. Bologna per me è solo ricordi. Luoghi del passato e del presente, apparentemente scollegati l’uno dall’altro.
Hai progetti in corso per la poesia?
No, progetti veri e propri, già in cantiere, no. Ma desideri, tentativi, sogni, voglie, intenzioni… ne ho infiniti. Ne sono piena: su ogni millimetro della pelle, in ogni “dentro” del mio corpo, in ogni attimo dei giorni. E delle notti.
Sto lavorando ad un nuovo progetto con la Mondadori, sempre per bambini. Sto scrivendo una raccolta di poesie sulle fiabe classiche, che ne svelino gli angoli bui o nascosti. Ho in mente una raccolta che affianchi le mie poesie alle illustrazioni di una pittrice che amo tantissimo.
vera…sei VERA!
cara roberta , nelle tua poesie ci sono le ombre e i colori la luce e il buio . ti toccano ti sfiorano ti accarezzano ti sollevano ti spremono ti stringono ti spingono ti illuminano ti riposano ti cantano.
Roberta, hai una chiarezza disarmante, il cristallo della parola pura, senza tentennamenti. Meravigliosa intervista, che coniuga luce verità e semplicità, cosa davvvero rara