Antonino Caponnetto: essere poeta, intervista di Michela Zanarella.
Note Biografiche
Antonino Caponnetto è nato a Catania, dove ha vissuto, salvo una breve pausa romana, fino al 1980. Dal 1981 vive a Mantova. Per l’Editore Campanotto ha pubblicato i due libri di poesie “Forme del mutamento” (1998) e “La colpa del re” (2002). Per le Edizioni Kolibris ha pubblicato la raccolta di versi “Miti per l’uomo solo” (2009). Suoi testi poetici sono stati radiotrasmessi e altri sono apparsi su rivista. Presso le Edizioni del Trito&Ritrito sono inoltre apparse (in limitato numero di copie destinate agli amici), quattro plaquettes: “A che serve?” (2001), “Le chiare strade” (2002), “Contromovenze” (2003) e “Petits cahiers pour la douleur du pauvre” (2005). Per la rivista “Zeta News”, dal 2002 al 2006, ha curato insieme a G. Sammito l’inserto “Atti Barbari”. Sia con altri che in proprio ha inoltre promosso e curato iniziative sulla poesia e, in particolare, sulla scrittura poetica.È presente in rete dal marzo 2012 col blog Caponnetto-Poesiaperta (http://caponnetto-poesiaperta.blogspot.it/).
D- Il tuo essere Poeta, da cosa è nato? Cos’è che ami di più nello scrivere?
R- Ero al primo anno di scuola media e, insieme ai fumetti di Tex, leggevo anche i poeti italiani, prendendo in prestito sia i fumetti che le antologie da un mio cugino più grande. Ma presi anche un’abitudine particolare: tutti i giorni, uscito da scuola, compravo almeno un libro usato ad una fornitissima e fascinosa bancarella gestita da una vecchia signora. Un giorno mi ritrovai in mano Il fiore del verso russo, tradotto e curato da Renato Poggioli per Einaudi; un’altra volta mi capitò un libro della Lerici: si trattava delle Poesie di Attila József tradotte e curate da Umberto Albini; poi vennero Lorca, Éluard, Brecht. E infine, vista l’insufficienza della bancarella, cominciai a servirmi della biblioteca comunale. Non riuscivo a smettere di leggere poesie. E un giorno mi ritrovai a scrivere un’elegia per una ragazzina à la manière de García Lorca, da quel momento e per circa tre anni non riuscii a smettere di scrivere versi… Ripresi a scrivere a sedici anni, e non interruppi neanche alla prima vera crisi sentimentale. I versi erano per me una sorta di linguaggio dell’anima, ma anche un codice segreto di cui solo io possedevo il cifrario… il mio far poesia è nato da questa insopportabile costrizione a scrivere, e a esprimermi in versi. Ci sono state anche lunghe fasi in cui non ho scritto un verso. Ma finora la Poesia è sempre tornata a me…Quel che più amo e che mi propongo nello scrivere in prosa, è la ricerca della chiarezza e della scorrevolezza nel trasporre il pensiero sulla carta. Ma se si tratta di scrivere versi, quel che amo di più è la ricerca della parola, quella parola che di volta in volta, oltre a significare, sappia contenere suoni particolari e far più chiaro il ritmo del verso, che ne sappia definire il metro o lo costringa a mutare, quella parola che sappia far tutto chiaro con la stessa luce del lampo o, all’improvviso, far cadere il buio totale, mantenendo sospeso ogni moto dell’anima per un lunghissimo istante… Quella parola, che ad ogni modo, renda tangibile la profonda sacralità del mistero di cui spesso essa è l’inevitabile portatrice…
D- “Forme del mutamento”, “La colpa del re”, “Miti per l’uomo solo”, cosa lega queste tre pubblicazioni, come hai affrontato le scelte editoriali?
R- In questi tre libri c’è una linea di ricerca comune, e delle radici motivazionali che tuttavia vanno diversificandosi lungo il percorso che conduce dal primo al secondo, e da questo al terzo. Il tratto costante è l’esplorazione della forma chiusa, che nei suoi vari aspetti contiene una certa varietà di metri almeno formalmente canonici e “istituzionali”. Anche un certo lirismo mi pare sia costantemente presente e una musicalità chiaramente mediterranea. Ciò non toglie che, secondo Mario Artioli, non ci sia all’interno dei versi qualcosa “che torce il collo al sublime lirico del Novecento”, cioè una attualità e una modernità visibilissime pur all’interno di metri “istituzionali”. Secondo me, però, tale asserita attualità e modernità, muovendosi sui metri classici, proprio per questo, è facilmente liquidabile oggi, soprattutto da parte di certe avanguardie, tanto che a volte resta inconosciuta Ma, per me, questo non costituisce affatto un problema… Fra le radici motivazionali che hanno condotto a “Forme del mutamento” devo riconoscere la necessità che avevo in quel periodo di liberarmi di ciò che, delle mie esperienze passate e non, veniva in me continuamente voltato e rivoltato, ma non ancora gettato alle spalle. Il primo libro ha avuto quindi una motivazione e una funzione esplicitamente e quasi esclusivamente liberatoria. “La colpa del re” è stato invece un libro in cui l’architettura semantica e plurilinguistica voleva essere rappresentativa della Babele di un’epoca e di un periodo. “Miti per l’uomo solo” ha rappresentato invece l’approfondimento a volte doloroso di esperienze e sentimenti cristallizzati nella coscienza e tuttavia da esplicitare col maggior coraggio possibile, lasciando tuttavia al lettore una libertà interpretativa di fatti e situazioni comunque permeati da una buona dose di mistero; perché un libro di poesie non è né può essere un diario in pubblico, né tantomeno una pubblica confessione. Su questo, però, Gianni Scalia affermò una volta, e proprio in pubblico, ripetendolo anche più volte, che “Caponnetto non ha il senso di colpa”. Non ho mai chiesto a Gianni di spiegarmi più chiaramente che cosa intendesse dire…
Per ciò che riguarda le scelte, c’è da dire che, verso la fine degli anni ’90 del secolo andato, L’Editore Campanotto di Udine rappresentava, fra le piccole case editrici, una garanzia di grande serietà, competenza e selettività (qualità, queste, che permangono tuttora), con un’ottima capacità di distribuzione a livello nazionale. È stato il mio primo e unico approccio editoriale per “Forme del mutamento”, libro che Carlo Marcello Conti ha immediatamente ritenuto di accogliere e pubblicare, dotandolo di una sua assai bella prefazione. Con Carlo Marcello facemmo poi insieme alcune cose importanti e divertenti sulla Poesia in un rapporto di vicendevole stima e amicizia. Fare insieme anche “La colpa del re”, quattro anni dopo, fu una conseguenza logica di questo ottimo rapporto. Per quanto riguarda invece “Miti per l’uomo solo”, il “traditore” sono stato io. C’era ormai una crisi che pesava sulle piccole case editrici, molte delle quali dovevano rinunciare ad avere un distributore. Ma il motivo che mi spinse a scegliere Kolibris Edizioni di Chiara De Luca, a Bologna, fu soprattutto il fatto che avrei potuto mantenere miei i diritti d’autore e che avrei potuto, volendo, perfino ripubblicare il libro con altri… Per quanto riguarda il possibile seguito editoriale, la situazione è ormai molto cambiata, e la sua continua evoluzione attraverso gli E-Book e la rete lascia spazi diversi ma molteplici.
D-Nel tuo blog “Caponnetto-Poesiaperta” dài spazio e voce a molti poeti italiani e stranieri. Com’è nata l’idea del blog? Pensi che internet sia un mezzo indispensabile per la diffusione della poesia?
R- Un paio d’anni fa ho cominciato a pensare che fosse il caso di dare alla Poesia un ulteriore luogo virtuale che tuttavia servisse anche, attraverso i poeti che avrei proposto, ciascuno con la sua vicenda umana, a permettermi di esprimere il mio modo di intendere il Poeta e la Poesia. In effetti la realizzazione del blog è stata preceduta da una lunga meditazione, in parte anche preconscia. Inoltre sono rimasto a lungo incerto fra un sito tutto mio e un blog gratuito e manualmente facile da gestire, anche se vincolato a delle regole piuttosto “americane”. Pensavo da tempo alle grandi potenzialità della rete, in particolare alla capacità che la rete ha di raccogliere entro un piccolo spazio virtuale un gran numero di Poeti e di appassionati di Poesia, e non solo nel Paese, ma nel mondo. Si tratta quindi di un progetto la cui portata non sono del tutto capace di prevedere, e il cui avvio è stato solo in apparenza improvviso. Credo che tale progetto ne possa e ne debba portare altri che vorrei ne costituissero un continuo arricchimento e una naturale trasformazione. Ma i modi sono tutti da verificare lungo il tragitto. È però certo che il blog continuerà a ospitare Poeti, giovani o no, la cui voce sia anche espressione della società attuale, coi suoi vasti e diffusi fenomeni migratori, col suo bisogno e la sua sete di giustizia, con la sua necessità di ritrovare per tutti noi una dignità umana vera, sia in senso individuale che collettivo.
D- Cos’è per te la Poesia? Una tua riflessione.
R- la parola “Poesia” ha significati molteplici. Essa identifica discorsi, ragionamenti, modi di comunicare in cui predominano quei ritmi, quelle cadenze, quelle reiterazioni, quelle immagini la cui compresenza modifica e rende più ampi i significati linguistici immediati e – nel contempo fornisce a questi un insieme di significati aggiuntivi ricchi, peraltro, di variegate sfumature. “Fare poesia” vuol dire innanzitutto servirsi del linguaggio e della lingua in modo traslato, differenziato, amplificato, reiterato o taciuto (come negli spazi bianchi che sono presenti in un testo poetico). “Fare poesia” significa fare un uso altro e diverso del cosiddetto linguaggio comune per accostarsi invece a un linguaggio che la tradizione ha fornito di princìpi, canoni, regole, e perfino talvolta di grammatiche, termine questo da virgolettare ampiamente. Ma le regole vanno sempre e comunque messe in questione, i canoni vanno sempre reinventati, le grammatiche poetiche non vanno mai prese troppo sul serio. Peraltro la Poesia, che sempre si muove in quello spazio a dimensione variabilissima che sta fra significante e significato, io la definisco come “grande significante situazionale aperto”, aperto a innumerevoli letture, interpretazioni, significati. Ma la poesia è anche un gioco, ed è il vizio assurdo del gioco… Ecco: tutto questo è per me la Poesia, purché si aggiunga un ulteriore concetto, da me più volte e in varie forme espresso. Il fatto è che io credo “che il cammino della Poesia debba avere il medesimo itinerario vitale del poeta che ne è il portatore, e che il destino della Poesia non possa che essere il medesimo che il suo poeta si dà, in quanto essere umano che sceglie se stesso. Questo significa che io credo non solo nell’identità fra la Poesia e il suo poeta, ma anche nel fatto che, nell’uomo che si sceglie come poeta, l’Ars Poetica e la vita debbano in un certo qual modo coincidere”. La mia ultima affermazione è posta doverosamente tra virgolette, perché è la citazione di qualcosa che ho già detto, e che appare già su un importante blog della rete.
D- Qual è secondo te il poeta che ha segnato la storia della Poesia?
R- Ho due risposte per questa domanda. La prima attiene alla potenza, alla grandiosità, al senso del mistero che solo il Mito è capace di contenere e sostenere. Dico questo perché intendo riferirmi a Omero, cantore cieco e onniveggente, il cui mito abita da qualche millennio il nostro inconscio collettivo: il segno lasciato da Omero nella storia della Poesia mi pare quello più profondo, quello destinato a rimanere eterno. Per quanto la sua figura possa essere originata dal Mito, le due immense opere attribuite ad essa fanno parte della storia del mondo e della Poesia. La figura del cantore cieco è il cardine, il varco fra la tradizione orale e quella scritta… Il punto di transizione fondamentale nella storia della Poesia e del mondo è per me rappresentato da Iliade e Odissea, che – pur differenziate fortemente – considero un unicum al quale la Poesia stessa deve i suoi maggiori elementi di fascino misterico oltre che documentario e, quindi, storico e storiografico… Dopo Omero, cederei il passo a Virgilio, duce dantesco e punto di riferimento alla coscienza poetica dello stesso Dante. E proprio a quest’ultimo dedicherei la mia seconda risposta, se la domanda dovesse implicitamente riferirsi a un Poeta “italiano”. Dante e inevitabilmente Dante, alla cui Commedia si deve, oltre che il fondamento principe di una tradizione poetica riconoscibile e canonizzabile, anche il fatto che proprio io, qui e ora, parli una lingua italica derivante da quella toscana del Trecento…
D- “Dolceamara città sempre non mia, / del mio sonno compagna (…)”, sono versi tratti dalla tua poesia “Dolceamara città”. Quanto le tue origini hanno influito sulla tua poetica?
R- In tutti e tre i libri che hai citato sono presenti delle poesie che parlano della mia città d’origine. Credo che esse mostrino chiaramente – nel loro insieme – sia l’intensità che la problematicità del rapporto fra me e le mie radici non solo geografiche. Per quanto io preferisca esprimermi e pensare in questa lingua ricchissima di possibilità esplicative ed espressive che è l’italiano, la folta presenza –nei pochi libri che ho pubblicato – di riferimenti alla mia città e alla mia terra madre può dare già un’indicazione di come per me questo essere siciliano e catanese abbia costituito e costituisca la parte fondamentale, anzi fondante del mio far poesia. Ciò non toglie che, in quanto uomo e poeta, io senta fortemente come mia patria il mondo, e anche questo è elemento essenziale della mia poesia. Ma il mio gusto estetico, per quanto possa essersi affinato e abituano a molta parte dell’ampia cultura internazionale, a varie geografie, a vari habitat, ad altre lingue, il mio gusto estetico, dicevo, ritorna sempre alle sue origini profonde. Non posso rimuovere dalla mia memoria i versi di Meli, di Tempio, i canti popolari o di lavoro, e – andando indietro entro la mia lingua originaria – le ninnenanne materne, e forse, inconsciamente, le prime lallazioni. Anche il mio sangue è misto: greco, latino, arabo, normanno, ispanico, e il mio amore per questi popoli, per le loro culture e storie è curiosamente viscerale. Sinceramente non so proprio come potrebbe, tutto questo, non influire sul mio far poesia.
D- Progetti e ambizioni per il futuro.
R- Di progetti prestabiliti e precisi non posso parlarti. In fondo nella mia vita ho soprattutto scelto cosa non fare. Fortunatamente ho incontrato situazioni e persone con le quali è valsa la pena confrontarsi e condividere esperienze molto importanti, quasi sempre determinanti e vitali. Tuttavia alcune cose, seppure in gran parte condivise, non sono mai davvero e totalmente condivisibili. L’esempio è per me il far poesia, la scrittura, la riflessione, delle quali, durante il “fare”, solo una minima parte è comunicabile, condivisibile e accomunabile. Faccio salvo, in questo, il risultato ultimo, cioè l’opera che da questo “fare” può essere generata (un poemetto, una raccolta di pensieri, un saggio di poetica o altro): questa sì, è condivisibile, comunicabile, accomunabile.
I miei progetti dipendono da quanta voglia di scrivere avrò ancora, da quanto la mia cosiddetta vena poetica riuscirà a mantenersi viva e vitale. Se la voglia di scrivere e la capacità di far poesia ci saranno ancora per qualche tempo, allora tanto i miei progetti quanto le mie aspirazioni per il futuro consisteranno nel riuscire a pubblicare ancora qualche libro: uno contenente alcune (o tante) riflessioni non solo riguardo alla Poesia, e uno o due altri libri contenenti i miei versi forse ultimi e definitivi. Ma prima durante e dopo questo ci sarà sempre, nelle forme che potrà via via assumere, il mio lavoro in rete, che seguiterà a riguardare la Poesia e tutti quelli che seriamente la fanno e la faranno.
Un’intervista davvero bella e ad ampio raggio nelle risposte, favorevole alla miglior conoscenza del Poeta in primis e anche della Persona che lo abita, poichè a mio parere da questa lettura emerge quanto Antonino sia e viva la sua poesia e la poesia anche di chi lo ha “incontrato”. Grazie di cuore, quindi, all’Autore di cui si è detto e all’autrice dell’intervista per il suo lodevole lavoro.