Intervista e poesie della prima classificata al concorso poetico “COMUNItariSMO – pensare è oltrepassare”: Lucia Cupertino, a cura di Paolo Polvani.
Ai primi tre classificati del concorso “COMUNItariSMO – pensare è oltrepassare” dedichiamo uno spazio personale in cui rispondere ad alcune domande per i nostri lettori e in cui proporci alcune loro poesie. La prima classificata è Lucia Cupertino.
LUCIA CUPERTINO (1986, Putignano). Antropologa culturale, poetessa e traduttrice. Scrive in italiano e spagnolo e suoi lavori sono apparsi in riviste italiane e internazionali quali Nuovi Argomenti, Fili d’aquilone, Irisnews, Versante ripido, Sagarana, La otra, Círculo de poesía, Bitácora pública, Vallejo and company, La Jornada.
Mar di Tasman (Collana Isole, Bologna, 2014) è il suo primo volumetto di poesia. A breve è in uscita Non ha tetto la mia casa in edizione bilingue, pubblicata dalla casa editrice del Festival Internazionale di poesia del Costa Rica e il volume I 43 poeti per Ayotzinapa (curatela e traduzioni).
Cofondatrice del contenitore di scritture dal mondo La macchina sognante. Collabora con Fili d’Aquilone, Nuovi Argomenti, Carmillaonline nonché con periodici d’informazione Frontierenews e Pressenza.
Ha curato l’edizione italiana del pluripremiato documentario brasiliano Fiore brillante e le cicatrici della pietra sugli indigeni Guarani-Kaiowà. In Italia, Argentina, Messico, Spagna, Germania e Australia ha svolto ricerche universitarie e antropologiche incentrate su mondo indigeno, educazione e transizione sociale. Attualmente vive immersa nella biodiversità della Colombia.
Com’è nata la poesia sulle tre sorelle?
Quella poesia è nata tra le montagne di Cali, in Colombia. Era mattina e stavo camminando vicino al declivio in cui, assieme a degli amici, abbiamo seminato in modo congiunto mais, fagioli e zucca. Questa è una tecnica agricola molto antica, tramandata oralmente dalle popolazioni mesoamericane e giunta fino a noi. Il mais era già bello robusto e la pianta del fagiolo vi si avviluppava, a mo’ di spirale. Mancava la zucca, che solitamente spunta un po’ più tardi. Mancava la terza sorella, incominciai a dire e di questo si chiaccherava a tavola quel giorno. Quello delle tre sorelle è un antico mito americano che narra le vicende di queste tre piante che venivano coltivate assieme perchè collaboravano l’una con l’altra e si irrobustivano e prosperavano proprio in virtù di questa loro alleanza. Infatti il mais permette al fagiolo di arrampicarsi, il fagiolo fertilizza la terra fissando il nitrogeno, mentre la zucca impedisce alle erbacce di crescere e con le sue spine è un pesticida naturale. Queste tre colture, inoltre, sono la base di una sana alimentazione, apportando carboidrati, proteine e vitamine. È nata così la poesia. Sono molto incuriosita dal fatto che l’uomo abbia serbato per tanto tempo queste conoscenze in forma di storia orale e anche dal pensare a quanto, oggi, l’intelligenza collaborativa delle tre sorelle potrebbe darci un segnale di ciò di cui abbiamo urgenza.
Ultimamente hai partecipato al Festival Internazionale di Poesia del Costa Rica. Quali sono le sue particolarità?
Il Festival Internacional de Poesía de Costa Rica dura una decina di giorni ed inonda il Costa Rica di poesia. È uno dei pochi a pubblicare un’opera ad ogni poeta invitato, crea una rassegna densa di incontri nella capitale e nelle diverse regioni del Paese, così da permettere il contatto dei poeti con la comunitá locale e i paesaggi mozzafiato dell’America centrale. Ero l’unica poetessa italiana, assieme ad altri provenienti da diversi Paesi, come ad esempio Cina, Spagna, Palestina, Chile. Ogni poeta viene accolto in una sede regionale per quattro giorni, io ho avuto l’onore d’essere in quella di San Carlos, nel nord del Paese, assieme alla poetessa Ming Di. Eravamo nei pressi del Vulcano Arenal, un’area ricca di riserve naturali, acque termali e fiumi; ci è capitato di vederci la strada tagliata da un’iguana lunga più di un metro e di attraversare zone dedite alla coltivazione di yuca e banano. Il programma era serrato, abbiamo visitato molteplici scuole, dalle primarie ai licei e anche l’Universidad Técnica Nacional di Ciudad Quesada. Siamo stati costantemente con bambini e giovani, le presentazioni erano molto dinamiche e loro erano molto curiosi di sapere dell’Italia e della Cina, allo stesso tempo intervenivano molto, con loro idee sul nostro tempo e sulla poesia. L’organizzatore della sede regionale, César Angulo, ci ha portati anche in scuole rurali con alta densità di studenti provenienti dal vicino Nicaragua; il nostro arrivo è stato accolto con un calore genuino, che rimane impresso nel mio cuore. Altro momento denso è stato quello delle letture presso due carceri, non solo da parte di noi poeti ma anche da parte dei detenuti, che prendono parte a laboratori settimanali offerti durante l’anno dai membri del Festival. Questo ha creato un clima di scambio e la possibilità di tuffarci nel loro vissuto. In definitiva è un Festival che non isola la poesia dalla realtà ma cerca di renderla parte di essa. Inoltre lascia un mutuo arricchimento culturale e umano e io sono andata via molto contenta.
In Costa Rica hanno pubblicato il tuo secondo libro, Non ha tetto la mia casa. Ce ne parli?
Non ha tetto la mia casa è un’antologia che raccoglie mie poesie dal 2010 al 2016. Il Festival del Costa Rica mi ha chiesto di riunire la mia produzione in italiano per renderla accessibile ad un pubblico ispanofono. Sono stata io stessa a curare la traduzione spagnola, gesto che, almeno in parte, restituisce ai lettori il mio bilinguismo letterario, tenendo presente che quando invece scrivo in spagnolo lo faccio direttamente, senza passare per la mia lingua madre. L’antologia è divisa in due parti, a segnare anche una transizione nella mia scrittura in movimento. Nella prima parte si ritrovano poesie tratte da Mar di Tasman (2014) e Suite del transito, silloge apparsa su Fili d’Aquilone, e siamo immersi in paesaggi australiani e riflessioni che costruiscono dall’interno la necessità di essere raccoglitrice di storie del vento. È quello che prendo a fare nella seconda parte, in cui riporto in versi le testimonianze e le storie di vita radunate in mie diverse esperienze, dal volontariato nell’isola di Kos alla permanenza nel sud della Colombia, tra le sue montagne e le dense storie di violenza ma anche di una nuova umanità che non si arrende e, con progetti di ecovillaggi e sostenibilità o attraverso la denuncia dei mali inferti al nostro pianeta, reclama la sua esistenza. Per dirla con le parole di Margaret Randall, il mio atteggiamento è stato quello della canna di bambù, la cui concavità lascia passare liberamente il suono del vento, così non ci si impone sulla materia ma la si abbraccia. Così in quella voce poetica si ritrovano tante vite, tanti sogni, tanti aneliti, tanti abbandoni, tante storie irrisolte, in sospeso o concluse. Nella nota critica introduttiva de Una viola, una pigna, un’ombra, Elena Cesari scrive qualcosa che può sintetizzare egregiamente il tentativo e il processo di Non ha tetto la mia casa: “Più che un fare dunque, poesia è infine un ascoltare (con orecchie recondite), uno stare all’erta, un raccogliere (e un raccogliersi) su un foglio le tracce concrete del mondo che il mondo trascura. Secondo questa concezione è centrale in poesia non solo l’esperienza di vita, ma anche il luogo (o i luoghi) nel quale si è e dal quale e del quale si raccolgono le tracce.”
Hai anche curato un’antologia sui desaparecidos del Messico, com’è nata questa antologia?
Il progetto 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecidos, edito da Arcoiris e di cui sono curatrice e traduttrice, è nato all’incirca un anno fa. Le vicende dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa nella notte fra il 26 e 27 settembre 2014 mi avevano lasciato di stucco e avevo quindi preso parte ad alcune iniziative tedesche della carovana per Ayotzinapa. Lì ho compreso più chiaramente che, accanto alla connivenza del governo messicano coi poteri forti e la criminalità, non mancava anche la nostra compartecipazione “globale”, vuoi per la possibilità di esigere giustizia al Messico, vuoi perchè molte delle armi che giungono lì vengono fabbricate, ad esempio, in Germania. Allo stesso tempo ho sentito proprio il ribollire dal basso della società, sia in Messico che nel Mondo, perchè Ayotzinapa è solo uno dei tanti episodi di desaparición, si pensi alle numerosissime legate ai femminicidi, ma ha rappresentato uno iato per la voglia delle famiglie delle vittime e di tutta la società di non chinare la testa bensì reclamare rispetto per il diritto alla vita e alla diversità. Dico così perchè la scuola Normale, da cui i 43 studenti provenivano, è stata ed è una fucina di cambiamento per il Messico. Questo lo raccontano molto bene Fabrizio Lorusso e Francesca Gargallo all’interno dei due contributi presenti nell’antologia; loro sono due voci preziosissime di italiani che vivono in Messico e che, attraverso le loro professioni e la loro sensibilità, sono al fianco della gente e per le strade di Città del Messico a sondare l’evolversi delle vicende. L’antologia vuole rendere disponibile per il pubblico italiano un volume curato da Ana Matías Rendón in Messico, col proposito di sensibilizzare attraverso la poesia. Riunisce 43 voci poetiche, poeti di spicco del panorama messicano, latinoamericano, spagnolo e include voci in lingue indigene. Il ricavato dell’antologia 43 poeti per Ayotzinapa. Voci per il Messico e i suoi desaparecido è volto a sostenere l’associazione delle famiglie delle vittime.
Raccontaci anche dell’antologia uscita in questi giorni, edita da Terra d’ulivi, intitolata Muovimenti.
Quest’antologia è un lavoro al plurale, non solo perchè siamo quattro i curatori (Bartolomeo Bellanova, Pina Piccolo, Gassid Mohammed ed io) ma perchè, pagina dopo pagina, si compone una mappa inedita dell’essere in movimento, del transitare e del vivere su questa terra; tantissime sono le voci da ogni angolo del globo, dalla Siria, dal Guatemala, dall’Eritrea, dall’Italia, dalla Palestina, dall’Albania, dal Costa d’Avorio… Come sostiene la ricercatrice ed educatrice Clelia Bartoli in un’intervista apparsa ne La macchina sognante, sono anch’io convinta che in questo momento la parola migrante stia diventando un termine-bomba, cristallizzato e proiettato da certi settori in un presente assoluto e assolutizzante, troppo in pasto alle stritolature del potere politico-economico e pertanto più capace di creare divisioni, mancanza di rispecchiamento tra la sorte altrui e quella di ognuno, che di rendere in modo ampio, storico e multiforme la dimensione reale delle migrazioni mondiali. L’antologia Muovimenti. Segnali da un mondo viandante nasce dall’esigenza di scuotere le nostre menti su questo tema e include varie prospettive: autori e attivisti che da tempo si occupano di migrazione, dense testimonianze dirette e anche le riflessioni di giovani studenti italiani. Il progetto ha preso corpo unendo le sensibilità di alcuni membri de La macchina sognante e dell’associazione Amal For Education. Sana Darghmouni è stata a Kilis, sul confine turco-siriana e ha condiviso il suo tempo coi bambini che scappano dalle atrocità della lunga guerra siriana. Abbiamo dunque pensato a questo libro, non solo per informare e divulgare in Italia, ma anche per dare il nostro contributo tangibile per l’educazione dei bambini siriani attraverso i fondi ricavati con le vendite. Presto ci saranno varie presentazioni in Italia, la prima è quella del 16 dicembre a Casa di Khaoula, Bologna, alle ore 17.
Sei tra le fondatrici della rivista La macchina sognante. Qual’è l’obiettivo di questa rivista?
La macchina sognante si pone in linea di continuità col progetto di Sagarana del caro Julio Monteiro Martins, a cui dedichiamo in ogni numero uno spazio non solo di commemorazione, ma soprattutto di memoria dei punti fermi che condividiamo della sua visione del panorama culturale, direi anche più in generale antropologico, in cui siamo immersi. Allo stesso tempo, la confluenza di saperi, interessi ed esperienze multiformi dei fondatori di www.lamacchinasognante.com la rendono un progetto in espansione, con l’obiettivo di sondare i drammi e i disastri così come il cambiamento sociale e le zone di resilienza. Cerchiamo di offrire delle proposte che ci sono e vengono continuamente date nel Mondo per informare, associare arte e umanità, aprire varchi laddove ci si fa credere non ce ne siano. Sono voci il più possibile dirette, decolonizzate, decentrate, messe a tacere, vicine agli accadimenti, ai giovani, alla gente. Mi pare che, in questo senso, le sezioni Saggi, Interviste e recensioni diano un contributo notevole a livello di idee per pensare il mondo con un altro chip, permettetemi l’espressione, senza dimenticare il contatto diretto con le opere nelle altre sezioni e in Sconfinanti che vuole dar voce ad un mondo altro e possibile senza frontiere. Un altro tratto significativo de La macchina sognante, che pure ha solo un anno di vita, è stato quello di creare iniziative che appoggiano cause molto importanti, come quella di Ashraf Fayadh, la guerra in Siria, Berta Cáceres e Ayotzinapa, fra le tante. L’idea è essere, come ci siamo definiti, un contenitore di scritture dal Mondo, equilibristi dentro e fuori la scrittura.
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LA TERZA SORELLA
DICONO che il PIL misuri la ricchezza di un Paese,
lo dicono uomini di finanza in giacca e cravatta
bisognerà crederli, loro sanno quel che dicono:
sarà per questo che bisogna fare ciò che dettano
che il posto fisso è la pandemia del secolo
che meglio una mazzetta che proteggere il bosco
che ai guardiani dei fiumi li crivellano
che i bambini non sanno come si semina un pomodoro
che la foresta grida le ferite del disboscamento
che la razionalità contempla sgomberi
che il saiga (1) piange la sua solitudine in Kazakistan.
Al chiarore del sole ne parlo con un melarosa,
non porta la cravatta ma un esultare di fiori
lei mi ascolta paziente, mi accarezza coi suoi petali
gli occhi in estasi per i tanti boccioli e rosa diversi.
La bellezza, Lucia, è la ricchezza del cosmo.
*
QUESTA TERRA è gonfia di sangue
la sua pancia tumefatta alberga
un pezzo di ognuno di voi
che non avete mai pace,
c’è forse la testa di una zia del vicino
ad alimentare il mais che sta crescendo,
così senza saperlo siamo cannibali
di una storia che una folata di vento
non cancella bensì riverbera
e a forza di non contrastarla
quella radice di violenza
s’inocula e perpetua.
Non crediamo a questa barbarità,
raduniamoci attorno al fuoco
prepariamo una semplice arepa,
diciamoci il male che ha fatto
dover sospettare perfino del fratello,
si potrà far pace con questa terra
coi fratelli morti coi fratelli vivi
coi fratelli che ancora non conosciamo
e accorreranno nel corso della vita,
si potrà piantare dell’altro mais
e non morti con la prossima luna nuova.
*
QUESTA MATTINA il cielo irriga la terra
possiamo riposare coperti da un albero
far crescere un ramo di pazienza
lavare la tunica di pensieri
logora che c’ingombrava
smacchiare le distanze
bere anche qualche goccia
rigenerare il serbatoio dei sogni
poi abbandonare il riparo sicuro
indagare curiosi se la terza sorella. (2)
è germogliata sul dorso del declivio.
È tempo di sostare
osservare le nubi transitare
sorpassarci e correre ad altre vallate
smettere di ripetere i naufragi dell’inerzia
lievitare come il cielo nuovi parti.
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(1) Antilope in forte pericolo di estinzione a causa dello sfruttamento di pelle e corno.
(2) Antica tecnica agricola del Nord e Centro America, prevede la coltivazione congiunta di mais, fagioli e zucche. Le tre piante si sviluppano collaborando in modo positivo tra di loro e sono la base di una dieta sufficientemente completa.
Bellissimi i testi di tutte e tre le poesie, incidono, ciascuna con una carica emotiva diversa dipingendo davanti ai nostri occhi il mondo che abbiamo de-generato in fantocci di persone tutte ben vestite ma vuote di senso, mostra come la natura e le sue regole ELEMENTALI riesce a superarci in un progresso che lei matura da millenni a favore della vita mentre noi ci mettiamo in distruzione colpendo lei senza pensare che è noi che distruggiamo.
Grazie per questa partecipazione condivisa a quella condizione umana che ci rende consapevoli del fatto che siamo ospiti di questa terra
fernanda f.