Io sono la casa, poesie di Lucia Marilena Ingranata.
Sono la casa con le finestre sorde, i vetri brinano però sto bene, mi conforta il pressappoco, la dolcezza dell’imprecisione e considerando il luogo e il parlottio delle ghiandaie, ho deciso la rinuncia ad ogni bendiddio.
Si è arreso anche il vento alla mancanza di fessure ma fuori impazza, piega gli alberi e le fronde, sradica i gazebo, fa volare le oche.
Io non mi muovo, non è stagione, custodisco scatole serrate e inammissibili.
Parlo del mio trapasso e lo passo attraverso un collo di bottiglia, messaggio calibrato, poco esposto, in confusione di tempo, di modo, d’affetto.
Per attinenza
Dici bene, ho una bontà che si misura a spanne
tutta tirata dentro casa e faccio barriera
annodo i miei punti cardinali
non avresti immaginato (vero?)
un’ammissione così chiara
d’insufficienza
eppure provo benevolenza per la primavera
per il ritorno di rondini e formiche
intreccio i discorsi con le oche e le difendo
per la conservazione della specie
Nel loro esistere trovo attinenza.
Sono la casa con la porta socchiusa e una terrazza nuova, ho la lavatrice, un figlio che parla con i gatti ed una “cana” che arriva da lontano, aspetta che mi cadano carezze.
In giardino ho qualche tomba, nessuna croce, sono senza memoria per le feste comandate.
Io amo poco ed in quel poco mi ripiego, parlate pure di me che ho crepe lungo tutti i muri ed ho lasciato indietro le domande come mutande sfatte, che mi taglio le dita (solamente) con i coltelli e che dentro porto ancora i capelli neri.
Qualcuno si ricorda
Qualcuno si ricorda della mia magrezza
scapole alate sotto il grembiule nero
ho fatto a pezzi decine di vestiti nell’attesa
cambiando idea e connotati
non ho volato e se chiedete dove sono stata
posso dire che ho viaggiato soltanto con il cuore
ma ho il cortile pieno di case e sono tutti qui
i vostri passeri sfrattati.
Sono la casa divisa in tre porzioni di cuore, qualche buco sul tetto, il sole dimenticato in
cantina. Occorrono trentadue passi per attraversarmi, quattordici gradini ed altri passi, con tutto questo spazio posso trattenere anche gli abiti ri-usati.
Faccio da mangiare come se avessi una famiglia, non aspetto notizie, ho sentito che ci salveremo soltanto coi limoni.
Che domeniche ho avuto e come sono stata sola, è così che ho perso tutta la mia poesia.
Senza preghiere
Non esco senza un filo di mascara
negli occhi nudi vedresti la mancanza
di preghiere ma la sola liturgia che riconosco
si accosta a te, alla cura di siepi e rosmarini
al cammino di mucche in processione.
Io guardo in terra e unisco le mani
per bere alle fontane o per premura
di piccoli animali da salvare poi le divido
– per sostenere – mentre si abbattono sui muri
le poesie che scrivo.
Meravigliose Marilena.
Meravigliosa Marilena.
Grazie
grazie Tito, sei tu un meraviglioso ragazzo!!!
ho sempre sostenuto che sei immensamente brava, amica mia, ed ancora una volta so di avere ragione sul tuo talento che tu spesso ignori.
Luigi caro, grazie!
Sì, Marilena, è un ottimo lavoro! Grazie…
Grazie Anna, un abbraccio.
Splendore
Massimiliano, non sai quanto mi riempia il cuore ritrovarti qui. Un abbraccio forte.
Essere qui è come tornare a casa, da qui sono partita e qui torno sempre con tanto affetto e riconoscenza.
Grazie Versante Ripido 🙂
Splendida Marilena!
Una costruzione pulsante, umana e poetica. Tre case e l’ultima divisa in tre, tre pezzi di cuore. Sono case di carne, fiati, ascolti, rapide occhiate. Sono spazi larghi di intimità, come se il corpo avesse bevuto una pozione carrolliana e si fosse immurato, infinestrato e i capelli neri tegole rosse. Un corpo diventato dimora che all’abitazione ha ceduto la sua fragilità, la sua instabilità. I bambini sanno questo gioco: disegnano case viventi e poi si nascondono in soffitta e negli armadi, sotto i letti e in cantina e nel tempo che passano a trattenere il respiro è come fossero diventati pezzi di legno, scatole, polvere, ragnatele.
La prima è la casa dell’isolamento, la seconda è quella dell’intraprendenza che si lascia dietro le domande come “mutande sfatte”, la terza, anche se più piccola – in questo spiazzamento sentimentale delle dimensioni – è l’accorpamento delle altre due. Qualche traccia di usura trova conferma in abitudini senza ragione e in notizie infondate acchiappate al volo. Ma la poesia non è persa.
In ogni casa è acceso un focolare o una piastra ad induzione dove ribollono i versi come ceci o come qualche altra mistura più alla moda, con l’alga kombu. Nell’ebollizione si confondono passato e presente, interno ed esterno: oche, la ragazzina col grembiule nero, “passeri sfrattati”, la donna col mascara, mucche, “piccoli animali da salvare”. I versi si abbattono sui muri non per uccidere mosche, semmai per liberarle e il botto forte richiama dentro familiari trascorsi e nuovi abitanti.