Caro aberrante fiore di Gilberto Isella, recensione di Adele Desideri

Caro aberrante fiore di Gilberto Isella, Edizioni Opera Nuova, 2013, recensione di Adele Desideri e due poesie.

   

  

Gilberto Isella è poeta, critico, traduttore, promotore nel 1979 –  e ora membro di redazione – della rivista Bloc notes. Vice-presidente del Pen Club, centro della Svizzera Italiana, vive a Lugano e collabora con il Giornale del Popolo.

Caro aberrante fiore è il suo più recente poema in versi e prosa: in armonia con il precedente – Mappe in Controluce (Premio Giuseppe Dessì 2012) – si mostra, a un primo avviso, estremamente criptico.
In realtà, da un incedere solo in apparenza algido e altero, emergono arcaiche emozioni, grida, grumi di dolore. Un sentire complesso e pudico che affiora dalle torsioni della memoria, e narra l’evolversi della vita dell’uomo, a partire dalla nascita nella famiglia, luogo d’amore, ma anche luogo, spesso, di tormenti affettivi; l’esito è un poema, appunto, indiviso tanto nella cifra stilistica quanto nella sostanza dei temi affrontati.
Isella non avrebbe potuto scegliere, infatti, un codice linguistico più consono e rigoroso per esprimere l’ambivalenza dello stare nel mondo senza in parte comprendere, dell’amare senza in parte conoscere, del gioire e patire, comunque, le incongruenze del universale quotidiano: “Lo zoom involve e la sua serpe/ per tornanti e volute/ in collane di fate o coboldi/ più non sale alla mente/ al primo apprendimento di carezze/ nel cerchio argentino/ della mano che è voce// Suo decorso è adesso la ferita/ che stelo dietro stelo striscia/ insieme a questi cari aberranti/ fiori del niente//”.
E si rivolge a Dio, Isella, con i toni di un’ermetica preghiera – scrutando tra le maglie del creato, nei misteri irrisolti della scienza – il senso ultimo di un’esistenza che gli sembra oscura e nodosa, ferita da infidi spilli di irrazionali disegni e da insidiosi aghi di aspre sofferenze: “quale ascosa danza o verità/ nell’incenerente transitare// (e dove/ dove un grumuscolo Tuo/ toccare?)//”.

Rosa Pierno, nella prefazione, sottolinea le molteplici tensioni presenti nel testo. Un coagulo di opposte forze centripete e centrifughe che segmentano il verso e l’animo dell’autore, di empatie – e di frequenti dis-empatie – narcotizzanti la ragione; mentre la ragione stessa reprime le percezioni primordiali, le quali, segnano, altresì, ogni moto della psiche adulta: “D’un tratto nuda/ poi vestita e nuda/ nuovamente/ di vecchie scatole agghindata/ e ardentemente arditamente/ compressa alzata e ricomposta/ lei,/ tanto mamma/ per durare/ solo il diavolo l’accosta/ sotto i peli abbrunati/ del silenzio:/ nube ramata e fessura/ fiore di zolfo nella gonna/ cespo d’assenzio//”.

9788896992104Non è facile scorrere queste pagine dello scrittore luganese, non è semplice districarsi nel suo antilirismo trafitto da neologismi, termini estrapolati dal discorso scientifico, sinestesie impervie, versi e strofe in antitesi intrecciati e in sintesi opposti, immersi in un oceano di significati accennati, ripresi e deviati; e canzonette metalliche, fiabe quasi, d’improvviso cantilenanti e insieme taglienti, agghiaccianti: “l’interna realtà ama tormentarsi col non dicibile/ così come freme e nel chiaro fuori si devolve// sorgiva stoffa verbale per bocca appena mossa/ da genesi che alla sua prima pausa ancora invita// a ideare qui chiuse essenze là ordinate espansioni/ dove inclina uno sciame di mondi su freschissimi// soffi e il tempo pare sospeso a una piuma nell’ansa/ di cielo che libera foglie e fa cantare rami// se giunte a riverberi in noi siderali per quella/ ventata improvvisa d’universo nascono fiabe//”.

Ma ecco, l’ultima sezione svela i nessi, le profonde riflessioni aggrovigliate con perizia nel libro. In Preludio e corrente per Antoni, infatti, l’artista Antoni Gaudì e l’artista Gilberto Isella a una sola voce asseriscono, in uno sconcertante lamento: “Non terminerò la Sagrada Familia. Muoverò pietre tra le lacrime del Signore per difendermi dall’ombra. (…) Spingerò lo spazio oltre i giorni. Entrerò nell’ora immobile. (…) Ma non terminerò l’opera”.
E se l’opera architettonica s’impone pietrosa nella non terminata, non finita misura, l’opera della famiglia, è anch’essa lì, possente e grave, mai del tutto intuita, mai del tutto vissuta, mai del tutto veramente compiuta.
Si può pensare, allora, che Isella proponga un finale unicamente tragico per questo suo aberrante, caro fiore. Così propriamente non è, perché lo spirito inquieto del poeta non dispera di essere annoverato, in futuro, nel prezioso “libro dei profeti disarmati”.
Intanto, egli resta come “un inquilino nel ventre dell’Altissimo”: il suo corpo “aggredito” “con le trivelle della preghiera” e poi “appeso come un tarocco a un architrave” della Sagrada Família.
Quella Família, in origine “Vogliosa di colore” che – non nell’infanzia, forse; piuttosto solo nel sogno – almeno “per un istante ha vibrato”, però, quale “fiordo di luce nella terra dell’anima”.

***

Catena e alare nel caminetto
le polveri rodono i ferri
vanno in cerchio le braci

Il fantasma che tracima dal soffietto
prende forma di cuore
                                    ma con soglie sideranti
nell’esibirsi, mentre ascendono
in sottile consistenza
                                     seno e collo di matrona
verso il nido del fumo che è fiaba
la stessa impietosa d’allora
qui nel mouchoir senza contorni
una ghianda squarciata
lo stridìo di un fonema

“La strega inghiottiva la ramazza
e un quarto di vino rosso”

***

Lo zoom involve e la sua serpe
                       per tornanti e volute
in collane di fate o coboldi
                       più non sale alla mente
al primo apprendimento di carezze
                       nel cerchio argentino
della mano che è voce

Suo decorso è adesso la ferita
che stelo dietro stelo striscia
insieme a questi cari aberranti
                     fiori del niente

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