“Itaca non esiste – poesie per un viaggio” di Edmondo Busani, Diabasis ed. 2015, lettura di Luigi Paraboschi.
Da molti decenni il mondo della letteratura e della poesia sono attraversati dalla figura dell’eroe omerico Ulisse, e dal suo viaggio, bongré ou malgré, verso l’isola felice della quale era stato re, e ove dimoravano la moglie ed il figlio.
Ogni viaggio letterario da Dante in avanti ha visto crescere nell’immaginario collettivo di tanti poeti la dimensione di sogno dell’isola di Itaca, ogni autore abbastanza formato su letture classicheggianti (e Busani dimostra di esserlo) non può esimersi dal celebrare le proprie traversie interiori servendosi dell’apologo di Ulisse in viaggio per oltre vent’anni verso la sua “casa“.
Ho virgolettato scientemente questo sostantivo “casa“ per evidenziare come anche nella poetica di Busani il viaggio della vita intera si tramuti in una allegoria del vivere e, prima di dare per buona l’affermazione che veramente Itaca NON ci sia, vorrei provare ad esaminare passo dopo passo i vari testi che compongono questo libro di poesie, che, lo dico fin dall’inizio, non è di facilissima lettura o interpretazione, in quanto tutto in esso è metafora ed allegoria, e queste figure poetiche non sempre sono di facile accesso al lettore.
La scrittura di Busani è una scrittura di scavo ed egli articola la sua opera in tre sezioni: I calzari d’apollo – Itaca non esiste – Date, ognuna delle quali vuole rappresentare diversi momenti dell’esistenza dell’autore, e mi sembra che, piu’ di altri pezzi in poesia, questo in prosa che trascrivo per intero ci fornisca un primo e fondamentale imprintig di una persona che ricorda la madre in un momento formativo e fondante per la sua educazione morale.
Andavamo nel giorno dei morti con i lumini e qualche
fiore a compiere il gesto pietoso della memoria; il sole
si nascondeva casto in un mare di perla…
Mi teneva la mano, mentre scendevamo un viale inter-
minabile, bordato di pioppi guardiani di campi e case
sparpagliate dai muri tappezzati di fieno…
Aveva capelli corvini che si raccoglievano sulla nuca
con infiniti bagliori. Ero un chiodo piantato su saltel-
lanti gambette, le tenevo stretta la mano.
Le castagne abbrustolite sarebbero state il suo regalo.
Non mi piacevano le caldarroste, nel foglio di giornale,
scaldino per le mani arrossate; dal carretto turchino,
spinto da un grigio omino, usciva il vapore dei ceci bolliti.
Noi due non avevamo tempo per quelle cose, doveva-
mo render visita alla dimora degli Assenti, e lì giunti,
tra ceri e fiori, si consumava il giorno di riposo dei vivi,
rassettando le stanze dei Santi.
Ho volutamente evidenziato in grassetto le righe che giudico determinanti nella costruzione interore del futuro poeta, allora bambino, ma con già una innata predisposizione per il mondo “ degli assenti “ come egli li definisce, predisposizione che lo porterà a concludere in versi a pag. 85
Non sono rabbi e neppure maestro
Ho sognato mi si chiamasse poeta… un uomo anche poeta.
Dunque l’autore ha pensato di poter diventare “rabbi“ e chiunque abbia un poco di dimestichezza con questo termine biblico avvertirà subito la grandiosità morale nascosta in questa parola, che egli mitiga con il divenire degli anni dietro il desiderio di essere chiamato poeta e ancora meglio “uomo anche poeta“.
Come anche Ulisse avrà certamente fatto, negli anni anche Busani dialoga con sé stesso, ed i “calzari di Apollo“ segna l’inizio e lo svolgersi nel tempo di questo dialogare, fatto di continui rimandi ed evocazioni di un mondo contadino, nel quale la nostalgia ha il sapore di qualche dolcetto nascosto nei vasi della cucina, come si può dedurre da questo passaggio che sottolineo
Figlie di sensibilità minori
si nascondono dolci nei loro colori
dimenticate
dormono nel cassetto
dell’intimo rifugio.
Rimane il ricordo
della dolcezza sulle labbra
il piacere poltriva
dentro un vaso sull’alto scaffale
d’alluminio tappato…
… Le donne cantavano al sole nei campi
poi sfinite coglievano castagne
nell’estate dei morti…
Dormono forestiere le mentine!
Per povertà di cuore
sono ricomparse nel giorno di festa
la rinuncia è pudica offerta.
In alcuni pezzi appare la silenziosità delle orazioni serali : a pag. 19
… Ritorna l’immagine
del rosario che consumava l’attesa
fino al tocco della campana vespertina.
mentre in questa di pag. 18 c’è un’ operosità manuale della quale il nostro tempo sembra aver perduto la nozione
… Le donne cantavano al sole nei campi
poi sfinite coglievano castagne
nell’estate dei morti…
La memoria di questo autore scorre come farebbe una pellicola alla “ Amarcord” nella quale il tempo è un tapis roulant in cui il senso del trascendente appare sì, ma non invade pesantemente il lettore con alcuna imposizione moralistica, anche se l’affermazione
“ d’Emanuele il mistero portiamo “ pag. 27
potrebbe indurre a pensare il contrario, perchè se è vero che portiamo il mistero del “Dio-con-noi “,(l’Emanuele) l’autore non dimentica a pag. 22 di rivolgere l’attenzione anche al presente di allora, al fenomeno delle migrazioni fatte con valigie di cartone dal profondo nostro sud
I migranti
hanno odori usati
fili intrecciati d’ignari nocchieri
Studiata civetteria non sa
di spago e valige
per seguire un divenire
Facendo i conti con la storia e con l’anagrafe possiamo quasi con certezza affermare che quanto incluso nella parte esaminata de “i Calzari di Apollo“ riguardi l’infanzia del nostro autore fino agli anni attorno al 1965-1970, periodo chiuso il quale egli da’ inizio al viaggio verso Itaca vero e proprio, e il primo impatto letterario mi sembra si possa attribuire ad Ungaretti, come deduco da questa poesia a pag. 33
Quando Ungaretti era vivo noi…
… Noi… respiravamo aria diversa
inseguivamo il sole insidiavamo la luna
il poeta aveva capelli bianchi e occhi spiritati
la stagione era una fragile ragnatela…
… Qualcuno pretese di ricamare un fiore
l’immagine si consumò in un attimo
lasciò un formicaio di ceneri
scorie d’illuse emozioni…
… Gli sgargianti colori sfumarono
le parole si assopirono nella gola del poeta
vestali e corifei di un nuovo alfabeto
facevano salire strilli e ululati
nella notte priva di stelle…
… La maggioranza di noi aveva appeso
biciclette e magliette al chiodo
negli armadi le racchette del tennis…
… Nel suo libro cercavamo parole
per ricordare le conversazioni al caffè
le sere ai concerti
la vita passava tra il sonno e la veglia.
E’ il giovane ventenne che scopre la grandezza della poesia, e la fa sua, per ricordare, forse servendosi dell’Ungaretti intervistato da Pasolini nel 1965 , ma procedo a braccio nella mia intuizione non suffragata da alcun elemento specifico, basata anche sui miei ricordi di quegli anni nei quali ci si avviava al lavoro produttivo, e verso la società dei consumi
C’inghiottirono fabbriche o banche
nella tribolazione fuggirono i sogni.
e prosegue nella stessa poesia di pag. 34
D’intorno fiorivano cespugli sconosciuti
un’eco esortava…
.. Mangiate fino a morire!
Dovevamo mangiare… cosa?
E lo scorrere di quegli anni nell’ “amarcord” di Busani lo conduce ad una visione scoraggiata ed amara, ove il ricordo proustiano delle Fanciulle in fiore (e qui non posso fare a meno di accostare per un istante il nostro autore ad un altro grandisismo poeta parmigiano, Attilio Bertolucci, grande cultore affascinato dalla lettura di Proust.)
Leggendo questa poesia di pag. 37 e ci rendiamo conto di quanto amarezza sia racchiusa nei versi che ho messo in grassetto
Nelle emozioni nascoste
camminiamo trasportati
da passi indolenti…
Guardo luoghi disabitati
scorci affollati
gruppi senza natura
scosciate ragazze volano leggere
Fanciulle in fiore le divinò Marcel
Aria di gelsomino
contaminata
di piscio e vomito
marca le strade
… das Konsum tötet Empathie…
recita una frase
scritta sul foglio culturale…
Frustrati egoismi
accompagnano visibili ombre
di sacerdotesse spavalde
Un solerte Jago accende
purificanti roghi
di … visibile… non essere
Il viaggio verso Itaca finisce con il condurre a conclusioni tristi, a rifugiarsi nella contemplazione rassegnata di pag. 41, ove il vinile messo sul giradischi sembra quasi ironizzare sulla sorte di colui “che aveva sognato di essere chiamato poeta”, come ho messo in evidenza in apertura, e si ritrova afflitto dai dolori della terribile cervicale, e a ciabbatare in giardino sotto la pioggia.
Nei giorni malsani mi rifugio confuso
tra fiori di valeriana
capsule bianche per il mio giardino.
Un filo piovano gocciola
un motore ronza tra salite e discese
un’emozione sfiata dal frusto vinile
mi guarda un fragile cristallo a forma di fiore.
L’Immaginato strozza la gola
una corda pende dal cuore
la cervicale è una frusta
segna il collo lo irrigidisce
È salito dallo stomaco alla testa
all’ultimo gradino della scala
per abbracciare la dura madre.
Lungo la strada
lasciato lo sgomento
ciabatto le scarpe nell’acqua piovana
Fine fine scende dal cielo di perla
un chiaro lamento…
Vissi l’arte vissi l’amore…
La conclusione del viaggio verso Itaca si fa sempre più amara, quasi l’autore, come il Bloom di Joice, si sia reso conto che veramente questa isola NON esista se non dentro la memoria di coloro che la vogliono inseguire per tutta la vita, immaginandola un approdo felice, lontano dalla tempeste, ma nella parte finale intitolata DATE, non vi sono ricorrenze da celebrare.
Anche se Busani memorizza nei titoli alcuni periodi dell’anno liturgico, non mi sembra che queste date siano altro che spunti per consolidare un’ amarezza interiore che prescinde dal valore religioso di queste ricorrenze, e diventa considerazione etica attorno al senso del nostro vissuto, e il pensiero, che si rivolge affettuosamente a colei (penso la moglie) che ha condiviso gli anni e lo induce a scrivere in questo tenerissimo inserto in prosa a pag. 64
La malinconia delle ore mi svuota l’animo, quando
ti vedo, ape indifesa, che continui a curare la nostra
casa…
Il cuore è un muscolo che, alla fine della corsa, dormirà
per sempre: nessuno ricorderà la sostanza dopo l’ulti-
mo colpo di pala...
Il poeta ha scelto di essere ANCHE uomo, e questo contribuisce al riscatto di coloro che si sono prefissi di esercitarsi con i versi, perchè “il cuore dormirà per sempre“ accompagnato dal ricordo di coloro che lo hanno preceduto nel sonno della Shoà
Pellegrina aveva riparo
in villaggi perduti nel nulla
il sonno la sorprendeva
all’ombra di tetti spioventi
sulle strade di fango
nelle frange di Lublino e Vitebsk
Venezia e Livorno…
…
Sono ampi e densi di significato i lavori di questa ultima parte del libro di Busani, ma servono per comprendere la ragione per la quale egli abbia scelto quel titolo così in negativo.
No, sembra egli dire, Itaca non c’è, ce la siamo inventata noi per aggrapparci ad un sogno di speranza, ma lungo la navigazione per raggiungerla ci siamo resi conto della assurdità della nostra speranza.
Itaca, se c’è, la abitano solamente i Proci rivestiti da maschere grottesche, e forse noi, quasi da coetanei poco più anziani dell’autore, non ci sentiamo di potergli dare torto.
Chi sono i pastori che custodiscono le greggi?
… Hanno i volti splendenti d’umane passioni: una
perenne generazione perversa lontana da Dio, dagli
uomini senza pietà o compassione…
Un gregge, in transumanza, segue ciuffi d’erba, affa-
mato e indolente tra steppe e pietraie.