Jucci di Franco Buffoni, nota di lettura di Luciana Moretto

Jucci di Franco Buffoni, Lo specchio Mondadori ed. 2014, nota di lettura di Luciana Moretto.

   

   

Donna sensibilissima e sapiente, Jucci è  il nome ( o forse il soprannome ) che dà il titolo alla raccolta di F. Buffoni, la narrazione in versi di una vicenda amorosa evocata attraverso situazioni, circostanze, suggestioni che hanno lasciato memorabile traccia nella vita del poeta.
Come l’aria sulla quarta corda vibra nella silloge questa figura femminile che si impone all’attenzione del lettore per la grazia e gentilezza del suo stare nel mondo, lei  che intrattenne, tanti anni fa, una appassionata relazione con il giovanissimo poeta e che ora ritorna più viva che mai, come trasfigurata, nella memoria e dunque nei versi della raccolta.
In effetti è la memoria ad avere rilasciato nel corso degli anni i suoi effetti più profondi e duraturi rendendo il poeta pienamente consapevole dello stigma lasciato da Jucci attraverso gesti e parole che ne hanno fatto il simbolo di assoluta ispiratrice.

Quello che viene narrato nel canzoniere in tono commosso ma senza il benchè minimo accento melodrammatico o retorico,   è un rapporto amoroso vissuto da entrambi i protagonisti in modo incompleto e sofferto eppure denso di risvolti emotivi strettamente fusi all’interesse per la cultura nella sua più vasta accezione, in ultima analisi un legame intessuto di affinità elettive, al di là del sesso –con tutta evidenza il nodo inestricabile della relazione – un rapporto tra ‘ persone’ unite da una spiccata sensibilità.

Il fatto che Jucci fosse maggiore per età, con profonde conoscenze in campo etnologico e antropologico – dieci anni la differenza con il poeta allora appena ventenne – la dice lunga sull’interazione maestra-allievo, nel senso di guida affettuosa che allora condusse il Buffoni giovane sulle vie del sapere, dell’arte, della natura condividendo con lui libri, vacanze, viaggi e avventure: ‘ una lampada ai miei piedi ‘ così il poeta la definisce.

Il paesaggio lombardo, le località di montagna, le cime, i picchi delle Alpi fanno da sfondo alla esplorazione di luoghi e al contempo al disvelamento di quegli slanci emotivi che segnarono per dieci anni la vita dei due protagonisti, fino alla morte prematura di lei.
In qualche modo la sciagura di Jucci, se di sciagura si può parlare quando si ama non ricambiati o ricambiati con riserva come in questo caso, fu quella di amare contro ogni criterio di ragionevolezza e di opportunità un ‘ lui ‘ a tal punto narciso da apparire quasi inconsapevole   della profondità di un tale sentimento: ‘ Io ti amo più della mia vita./ E adesso lasciami perdere’ uno dei versi più toccanti della raccolta; inconsapevolezza che si è tramutata, nel corso di quattro decenni, in rimpianto per quello che poteva essere e non è stato, in compassione per lei e in definitiva anche per se stesso.
La raccolta ‘ Jucci ‘ appare dunque come un tentativo – del resto assai ben riuscito sotto il profilo poetico – di risarcimento, di gratitudine verso una donna che fu allora determinante per la formazione intellettuale e – perché no – poetica di F. Buffoni.
In realtà i quattro decenni tra la storia d’amore e la traduzione in versi di cui stiamo parlando sono solo apparenti: come il poeta ha più volte ribadito, il nome di Jucci e la vicenda amorosa hanno fatto capolino già in precedenza in altre opere quali ‘ I tre desideri ‘ del 1984 .
La presente ne è soltanto l’ organico, doloroso resoconto.

Tema scivoloso, come sappiamo bene,  il racconto di una storia d’amore, seppure in poesia, il pericolo sempre imminente della emotività fine a se stessa, della retorica, dello struggente, deleterio abbandono al sentimentalismo: nulla di tutto questo in ‘ Jucci ‘ .
Il poeta guarda con lucidità al suo passato e le due voci che si intrecciano nell’ultima sezione del libro appaiono come suggerite dalla necessità e dal senso profondo di un chiarimento soprattutto di fronte a se stessi.

Come un fiume carsico le acque sotterranee di questa vicenda umana raccontata magistralmente da F. Buffoni, riaffiorano in superficie dando origine a una poesia densa di affondi emotivi e di pacata sincerità.

    

Anatomia in cera

Massí, massí, sono convinto anch’io
Che se non fossi la strega lesbica che sono,
Qui dove un tempo gorgogliavano balene
E oggi cerco le conchiglie fossili,
Sigillandoti le orecchie col mio silenzio bianco
Ti saprei dare tanto amore semplice,
Invece del consueto complice armistizio:
Con potenziamento della muscolatura
E maggior turgore delle vene.
Per diventare il mio scorticato in bronzo?
No, il tuo spellato in legno, anatomia in cera.

immagine d'apertura: Branciforte, "Veduta in azzurro", 2008, olio su tela
immagine d’apertura: Branciforte, “Veduta in azzurro”, 2008, olio su tela

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