La corazzata Potemkin, inediti di Nadia Agustoni

La corazzata Potemkin, inediti di Nadia Agustoni con una nota dell’autrice.

     

     

Nadia Agustoni
Nadia Agustoni

Nadia Agustoni (1964) scrive poesie e saggi. Suoi testi sono apparsi su riviste, antologie, lit-blog. Del 2017 sono I Necrologi, del 2016 è Racconto, Aragno, del 2015 Lettere della fine, Vidya e la silloge [Mittente sconosciuto], Isola Edizioni; del 2013 è il libro-poemetto Il mondo nelle cose, LietoColle. Una silloge di testi poetici è nell’almanacco di poesia Quadernario (LietoColle 2013). Nel 2011 sono usciti Il peso di pianura, ancora per LietoColle, Il giorno era luce, per i tipi del Pulcinoelefante, e la plaquette Le parole non salvano le parole, per i libri d’arte di Seregn de la memoria. Del 2009 la raccolta Taccuino nero (Le voci della luna). Altri suoi libri di poesie, usciti per Gazebo, sono: Il libro degli haiku bianchi (2007), Dettato sulla geometria degli spazi (2006), Quaderno di San Francisco (2004), Poesia di corpi e di parole (2002), Icara o dell’aria (1998), Miss blues e altre poesie (1995), Grammatica tempo (1994). Vive a Bergamo.

     

Sto lavorando da qualche tempo intorno al film La corazzata Potemkin, per cercare di dire una cosa che mi sta a cuore, ovvero che i film, anche i capolavori del cinema, si imprimono come verità a scapito della realtà storica. So ovviamente che servono per ricordare certi eventi cruciali, ma c’è sempre di mezzo una deformazione. Nelle tre poesie tocco questo nodo: il sangue vero non è il sangue dei film, ben più cruenta è la realtà e purtroppo più in stile scannatoio.
Nei vicoli e lungo il mare di Odessa, di notte, la gente venne uccisa senza nessuna estetizzazione. NA

 

     

La corazzata Potemkin

     

i

credevano radici per il tempo sulle fotografie
per le fami nell’aria per il pane preso agli uccelli
camminavano un’altra volta
e saliva nei visi stare poveri —
non c’era niente non il posto di qualcuno
ma nei gridi cascavano grandi
e nella pioggia un gonfiarsi di case
stava là per le bocche per i fiori neri
guardava l’ala dei passi
i libri ciechi i volti ciechi
venivano nel cielo nel sangue

     

ii

perdevano la luce, il nome della luce
faceva l’infinito — quelle nostalgie
di foraggio e animali o di cose vedute
accanto — il cinema prese
il loro tempo un credere le storie
che venivano vere, ma era nel fruscio
di cibo avvolto insieme
il pane buttato sull’acqua
per il nome dei gabbiani

    

iii

le mani con le barche per la sabbia degli occhi
per tutto il cielo — non più
i gradini nudi ma altre cose, un somigliare
a mangiatoie al pasto morto, così veniva
avanti il piangere del freddo
un alzarsi di braccia
nel riparo

chi li vide scomparire
non sapeva nulla
… …

il vento non ha immagini
… …

il mare ucciso
o una striscia bianca
di nubi… sono lì
per il silenzio
per ricordarsi.

*

           

Demetrio Polimeno, Visions of Johanna, st 07 2016
Demetrio Polimeno, Visions of Johanna, senza titolo 07-2016

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