La matriarca, poesie di Rosanna Gambarara

La matriarca, poesie di Rosanna Gambarara. Con una nota dell’autrice.

    

    

Rosanna Gambarara è nata ad Urbino. Qui si è laureata in Lettere Classiche e ha insegnato alcuni anni. Si è poi trasferita a Roma, dove ha continuato l’attività di insegnamento nei Licei. Scrive poesie in lingua e in dialetto urbinate. Sue poesie compaiono su varie riviste e antologie cartacee e in rete. Ha pubblicato “Hysteron Proteron”, Pagine, Roma, 2016; “Dedlà”, Bertoni, Perugia, 2019.

    

LA  MADRE

Le poesie sono state scritte in momenti diversi, nell’arco di una ventina di anni, quindi diverse sono le prospettive e diverso il tono secondo cui il tema della madre è declinato. La n.2 e n.3 sono in dialetto di Urbino + traduzione. Le ultime fanno parte di una raccolta ancora inedita intitolata “Piccole storie senza storia”. Hanno un carattere “narrativo”, ma sono nate da uno spunto lirico (dalla suggestione di antichi racconti di mio padre, affascinante narratore), percepibile, credo, solo dalla  lettura dell’intera raccolta. Unica scritta per essere inserita in questa piccola silloge è la n.1. RG

    

1

Nel fluido mare del tuo grembo
stanotte anch’io ero essere perfetto
immobile nel tempo
o madre
innocuo innocente
esente ormai da mutazione
come l’insetto che dorme
nel grano d’ambra
trasparente.

*

2 – Mater dolorosa

Era l’ora ch’felpat com ‘n asasin
el sprovingol s’agira tla risacca
di sogn. Me se’ comparsa tel scalin
del temp dedlà, le scarp bombat la giacca

grigia i capei sudati  le forcin
d’oss i occhie ner cerchiat le guanc’ de biacca.
Piagnevi anscimand fort. Dicevi: “El vin
s’è infortitt la canella perd cla pacca

d’maial s’è iverminitta. Sa ch’ho fatt
perché succ’dessa quest, dimmle por fiol,
fiol dle mi visscer fiol piò bell del sol!

Vria arnascia per scaldatt tun st’fond d’invern
e vria armurì cent volt fiol mia disfatt
per potét tirè fora da st’infern”.

     

2 – Mater dolorosa

Era l’ora che felpato come un assassino
lo sprovingol si aggira nella risacca dei sogni.
Mi sei comparsa
sullo scalino del tempo di là
le scarpe bombate la giacca grigia
i capelli sudati le forcine d’osso
gli occhi neri cerchiati le guance di biacca.
Piangevi ansimando forte.
Dicevi:
” Il vino si è infortito la cannella perde
quella  pacca  di maiale si è inverminita.
Cosa ho fatto perché succedesse questo,
dimmelo
povero figlio,
figlio delle mie viscere,
figlio più bello del sole!
Vorrei rinascere per scaldarti in questo fondo di inverno.
E vorrei morire ancora cento volte,
figlio mio disfatto,
per poterti tirar fuori da questo inferno.

*

3 – In memoriam 2

S’estenua tel quadrant l’ora ch’infesta
de fantasmi la ment. Com t’na prigion
nascost arposa sord el tu abandon
de dietra sta paret de cartapesta,

e la tu voc’ de piant sensa protesta,
la tu bontà, la tu rasegnasion,
sensa rimors e sensa asolusion
insoferent me fa voltè la testa.

Ma la memoria ignava pcin, modest
come tel ciel dla luna artrova el gest
pallid dle tu man ch’lisc’ne el coprilett,

la tvaia rossa el giorne de natal,
la gonna a fior pla festa d’carneval
com per fè tutt  el mond lisc’ e perfett.

       

3 – In memoriam 2

Si estenua nel quadrante
l’ora che infesta di fantasmi la mente.
Nascosto come in una prigione
riposa sordo il tuo abbandono
dietro questa parete di cartapesta,
e la tua voce di pianto senza protesta,
la tua bontà,
la tua rassegnazione,
senza rimorso senza assoluzione
insofferente
mi fa voltare la testa. 

Ma la memoria ignava
piccino modesto
come nel cielo della Luna
ritrova il gesto pallido
delle tue mani
che lisciano il copriletto,
la tovaglia rossa il giorno di Natale,
la gonna a fiori per la festa di carnevale
come per fare tutto il mondo
liscio e perfetto.

*

4 – Carmelano

Meno di una virgola pallida
su una pagina antica
meno di un graffio nell’aria.

In un tempo senza tempo
solo lo strazio gridato
da una voce senza volto
di mater dolorosa.
– Carmelano!
  Carmelano!

Ed il fluire lento
della tua voce lontana
senza età
che racconta…
– Si chiamava Carlo…
ma lei lo chiamava così…
perché chissà…-

5 – La matriarca

Secca
come di legno antico prosciugato
la matriarca
piccola
una bambina vecchia
dentro la cotonina impolverata
la faccia appuntita
scavata di solchi
gli stinchi nudi duri tra le stoppie
piccola tirannica regina
dentro il piccolo cerchio.
Richiama gli uomini dal campo
col grido

che acuto taglia l’aria
e rimbalza di là dal fosso.
Loro siedono a tavola obbedienti
mangiano silenziosi.

Oggi la matriarca stride furiosa:
Silvio s’è imposto
è andato col pulmino di don Ghio
a Benevento
alla fiera delle mogli.
 a trovarsi la sposa.

*

       

Opera di Paolo Figar

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