La metà del letto di Matteo Bianchi, nota di lettura di Miriam Bruni

La metà del letto di Matteo Bianchi, Barbera ed. 2015, nota di lettura di Miriam Bruni.

    

    

Ho atteso giornate di splendore dal punto di vista climatico per accingermi a scrivere qualcosa sul corposo libro poetico di Matteo Bianchi. Volevo sintonizzarmi con la dedica iniziale:

che cioè la fiducia si basa su niente, / è leggerezza.

E‘ infatti nelle mattine in cui la luce solare avvolge con dolce impeto primaverile ogni realtà fisica e contemporaneamente un’aria leggera e morbida ne scava via il bagliore o calore eccessivi che i nostri passi – interiori e non – acquistano improvvisamente e gratuitamente una leggerezza beata, una fiducia misteriosa, e troviamo più naturale affezionarci accoratamente alla vita, nostra e del mondo, e più comprensibile, sebbene illogico forse, riuscire a dedicare ai nostri cari persino ciò che non possediamo:

Ti dedico questa neve non mia
(p.17)

Sono mattine in cui l’Ombra della vita non ci sgomenta, anzi, ci appare la metà del Tutto. O per dirla con Bianchi, l’ombra è gravità della luce (p.104). Luce che cade sugli oggetti e ne proietta l’ombra, riparandoci dalla monotonia, dal deserto di certi paesaggi brulli fino alla desolazione.
Può capitare allora di riuscire nell’impresa di onorare persino il dolore, smettendo di considerarlo solamente un „difetto di vita“, o una vita inferiore (cfr. p.82), e guardandolo invece come una spoliazione che ci riavvicina alla nostra volontà profonda, alla nostra essenza vorrei dire: quella che si delinea in ciò che vorremmo essere (p.104).

Il dolore che l‘autore affronta in questa sua raccolta è perlopiù il dolore della perdita, di quel trapassare altrove di parenti o amici o amori che ci sbatte in faccia la consapevolezza di non essere immortali (p.80): e che è come una bufera che si abbatte su di noi e che non intendiamo certo smentire, (cfr. p.27) anzi, è un evento che ci lascia soli, con il cuore abitato da una asprezza crudele e i vuoti di troppi pozzi (p.87)
Qualcosa di noi cambia, muta, la mente si spinge fino a quel bagnasciuga tra i due mondi che troviamo citato a pagina 103 e rincarato dal breve testo che trascrivo

Spengo sigarette a metà
nel posacenere sul terrazzo:
che siano i miei defunti
a riaccenderle.
(p.105)

Quello che resta nei nostri occhi è una pausa dolorosa, una sorta di sbigottimento con cui si comincia a fare i conti giorno per giorno:

Il cecchino mi attende / ogni mattina, nebbia pioggia o sole / giù in cortile
(p.63)

Tutto l’umano è sottoposto a usura, / alla riparazione del Nulla, anche le case.
(p.80)

Ed anche un diverso andare avanti, un diverso procedere: Ditegli che senza di lui fatico… (p.83)

Qualcosa di noi però resta inalterato, ed è proprio un episodio legato alla neve che Matteo usa per parlarci di memoria e identità: sono invariati gli occhi che sperimentano la caduta dei fiocchi dal cielo (cfr p.23) come a dire che nella ciclicità e meravigliosa fedeltà della Natura alle sue leggi anche l’uomo partecipa del suo permanere attraverso il tempo – a dispetto delle stagioni della vita che gravano sulla coscienza o delle circostanze vissute che ne mutano spesso profondamente il „volto“ e la „visione“ fino a farci vivere primavere che quasi non paiono tali : primavere colme di non detti, di rare gemme, e scarsi cambiamenti. (cfr. p. 163)
Termino appropriandomi forse impropriamente di due testi che il poeta sembra dedicare a se stesso e che io faccio indossare alla Poesia per dirne/darne la mia testimonianza: essa per me è fioritura dei narcisi ovunque, è una bellezza che non puoi tenere in piccoli vasi (cfr. p.119) né chiudere in un cassetto o darle una destinazione troppo razionale (cfr. p.86)

Saluto e ringrazio Matteo per il dono del suo libro evidenziando a chi vorrà leggere questa mia piccola Nota un ammonimento che trovo estremamente prezioso: Non scambiate il fuoco per il suo nome (p.75), a dire che l’esperienza brucia, consuma davvero, e che l’esistenza umana è intrisa di contrasti e passioni che a volte ci riducono a nulla (p.26).
La passione e l’annichilirsi, difatti, è un binomio di opposti che ben rappresenta lo stile ricco di antitesi e a volte paradossi che ho notato appartenere a Bianchi, e che avevo già percepito ad una primissima lettura in quella poesia di dickinsoniana eco (L’acqua, la insegna la sete. La terra, gli oceani trascorsi..Eccetera) che trovate a pagina 21e che mi auguro possiate apprezzarla quanto me.

Il buio insegna il bianco.
Soltanto nel buio di un riposo
che non si rassegna
sento l’abbacinarsi della neve.

cover_bianchi
in apertura Ragazza seduta e ragazzo appoggiato al tavolo, Autore sconosciuto, 1860, Met Museum.

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