La morta d’ Batì, poesie di Michele Bellazzini (Lunigiana)

La morta d’ Batì, poesie di Michele Bellazzini (Lunigiana).

    

    

bellam_200Michele Bellazzini nasce a Santa Margherita Ligure nel 1966, in una famiglia originaria della Lunigiana. Vive a Bologna dove esercita la professione di ricercatore presso l’Istituto Nazionale di Astro Fisica (INAF). Le sue poesie sono raccolte nelle antologie poetiche Parole Sante edite da Kurumuny, e ha partecipato con i suoi testi alla drammaturgia di alcuni spettacoli di danza.

Le poesie qui proposte sono scritte nel dialetto tosco-emiliano della Lunigiana:

     

     

     

     

La morta d’ Batì

I dixn ch’a l’ultim ora
i ninin dl’paes
j’ern asstati zitti
fora d’ l’usc.
E quand j gh’han domandat’
un po’ a la brutta
Voaltri cos gh’ feo chi?
J’an dit: Aspttiano.
A vojan saper com’i sta Batì.     

    

La morte di Batì
Dicono che nelle ultime ore / i bimbi del paese / stavano seduti zitti / fuori dalla porta. / E quando gli hanno chiesto / a brutto muso / Voi cosa ci fate qui? / hanno detto: aspettiamo. / Vogliamo sapere come sta Batì.

*

L’ sal

E ‘nsomma dl’ quarantatrè
a san armasti senza sal.
Quarchdun n’ha dit ch’a Reggio gh’ n’er
e che gh’ mancheo l’olio.
J’omi boni j’ern ’n guera
o appiattati
alora j’en andà do vecchi
e l’ Agustina.
J’an travrsat l’ fronte
avanti e ndré
a pé, col so carrett
e j’en arvnuti col sal.

Gh’e vussut che l’ coragg’ d’l’Agustina
ch’ l’er na ragazza d’ vint anni
ma la valeo come do omi.
N’cà. N’ti campi.
Da pr’ tutt’.

    

Il sale
E insomma nel quarantatrè / siamo rimasti senza sale. / Qualcuno ci disse che a Reggio ce n’era / e che gli mancava l’olio. / Gli uomini buoni erano in guerra / o nascosti / allora sono andati due vecchi / e l’Agostina. / Hanno attraversato il fronte / avanti e indietro / a piedi, col loro carretto / e sono tornati col sale. // C’è voluto il coraggio dell’Agostina / che era una ragazza di vent’anni / ma valeva quanto due uomini. / In casa. Nei campi. / Dappertutto.

    

Da “Parole Sante / ùmide ampate t’aria”, Kurumuny Ed., 2017

*

Cos’ t’hoi da dir

Cos’ t’hoi da dir?
D’i mivi gh’n’è pu d’morti che d’vivi
e me ho da far a muxinarm.
J’è passat l’temp
d’robar l’ua alla Gorpara!

Quel ch’j’è nut dop’
l’è la me vita.
L’è stata mej
ma n’m’ven d’dirla.

D’arcontar
gh’è sempr me bà
la me sorela
l’me miccin
l’mal
la fama
la risa da ragazza
la paura d’gnicò.

       

Che devo dirti
Che devo dirti? / Dei miei ce n’è più morti che vivi / e io faccio fatica a muovermi. / È passato il tempo / di rubare l’uva alla Volpaia!. // Quel ch’e’ venuto dopo / è la mia vita. / È stata meglio / ma non mi viene da dirla. // Da raccontare / c’è sempre mio papà / le mie sorelle / il mio asinello / il male / la fame / le risate da ragazze / la paura di tutto.

    

Da “Parole Sante / ùmide ampate t’aria”, Kurumuny Ed., 2017

*

         

Artur Dove, "Sicomoro", 1935 - in apertura "Sfera d'argento, Barcone e Alberi", 1930, Metropolitan Museum New York
Arthur Dove, “Sicomoro”, 1935 – in apertura “Sfera d’argento, Barcone e Alberi”, 1930, Metropolitan Museum New York

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