La parola agli editori: Gianmario Lucini per CFR Ed.
Abbiamo contattato alcuni editori di riferimento per il mondo della poesia e abbiamo posto loro due domande fondamentali: “In base a quali criteri scegli i libri da pubblicare?” e “Cos’è la qualità in poesia?”
Gianmario Lucini titolare di CFR Ed. risponde così:
Non ci sono particolari criteri che uso nel pubblicare poesia o qualsiasi altra cose. Tranne ovviamente tre cose: a) competenza della scrittura unita a coerenza e originalità nello stile (riconoscibilità della scrittura); b) pregnanza e solidità dei temi (e delle argomentazioni, nel caso della critica letteraria); c) criticabilità, nel senso che ogni testo deve fornire la chiave per poter essere compreso e criticato (non accetto, pertanto, scritture solipsistiche e incriticabili, che hanno un significato soltanto per chi li scrive o meglio, che questo significato non sia condivisibile, almeno come orizzonte, con altri).
Purtroppo, nel caso della piccola editoria, è impensabile la pubblicazione gratuita per mille motivi che mi dilungherei troppo a descrivere (ho scritto, su questo argomento, un piccolo e peraltro non esaustivo saggio – ce ne sarebbero di cose da dire… – che si intitola “Cattivo maestro libro”).
Non mi interessano i nomi particolarmente “gridati” (nel mio catalogo non ce ne sono) ma i poeti validi (quelli che più mi piacciono, cito a memoria, nel catalogo: Benassi, de Vos, Bonsante, Frisa, Cohen, Éderle, Tanzi, Vit, Fedeli, Assiri, Ghazvinizadeh, Giugni, Panetta, Guglielmin…). Alcuni, come Giugni o Ghazvinizadeh, non li conosce nessuno, ma non è questo che mi preoccupa. Mi preoccupa il fatto che nessuno più legge poesia e che la poesia sia quasi del tutto sparita dagli scaffali delle librerie. Sopravvivono i classici, e con molta fatica anche quelli, e solo i più famosi.
La buona poesia, oltre ad avere le caratteristiche che enunciavo prima, è quella capace di accendere un mondo altro, non veduto prima della sua lettura. La poesia è rinnovare la visione del mondo, arricchirla. Così è stato, da Dante in poi. Omero, con la sua poesia, ha costruito la cultura greca. Un racconto o un romanzo narrano vicende riferite a personaggi, tutto sommato estranei, relegati alla sfera dell’immaginario, del fantastico o nella storia. La poesia, invece, parla di chi l’ha scritta e di chi la legge, oggi, domani, fra centinaia di anni. Se la poesia che leggo non mi dice nulla che mi riguardi, non mi accende una specie di luce o di riflessione, non è buona poesia. Leggendo la poesia confronto la mia visione del mondo con quella che mi si para dinnanzi attraverso la lettura e ne sono arricchito, anche se a volte lo stile è fiacco, anche se chi scrive vede un mondo opposto al mio, anche se il suo modo di scrivere, di periodare, di usare la parola e la lingua, è totalmente diverso dal mio. Non si tratta di dire “mi piace” o “non mi piace”, crocianamente, ma di trovare il poeta dentro il testo, il suo sguardo sul mondo: se c’è è buona poesia, se non c’è è cattiva poesia, anche se fosse la più perfetta scrittura al mondo. Purtroppo, oggi, i criteri dei grandi editori sono opposti a quelli che ho descritto, ma a me sta bene, perché molti bravi autori che non possono pubblicare con i grandi editori, pubblicano con i piccoli, fra i quali il sottoscritto. Non è bene, invece, per la poesia italiana. Il grande editore, ormai, cerca due criteri: a) l’autore affermato (che dà quindi affidamento per il futuro, che fa vendere con pochissime spese pubblicitarie); b) il “nome” conosciuto, che proviene magari dalla politica, dalla magistratura, dall’industria, dall’università o altro, purché sia famoso, che “abbia giro” (e magari potere) e quindi faccia vendere. Poi, ovviamente, ci sono autori validi anche nella grande editoria. Ma il nucleo buono e valido si va pian piano sgretolando (muoiono anche i poeti, purtroppo più di quanti ne nascano) e resta la pletora dei mediocri a condurre le sorti (così appare) della poesia italiana.
Oggi la poesia italiana è ancora florida, grazie anche ai piccoli editori (sempre più per merito loro). Ma se le cose non cambiano la poesia, di fatto, sparirà dalle librerie e diventerà un interesse élitario, una specie di setta, un qualche cosa che si studia a scuola ma che non “serve alla vita”, come si diceva per il Latino e l’Educazione Civica anni or sono. E quando questo accade, si parlerà di “Arte morta”, così come per il latino si parla di “Lingua morta”.
Ottime considerazioni, Gianmario, ed io le condivido in pieno. Sarà proprio la grande editoria a decretare- nel tempo- la morte della poesia. Ti esorto a continuare nel tuo impegno di serio e sensibile editore.Un saluto e tutta la mia stima. nunzia binetti