La parola e il suo contrario, editoriale di Luciana Landolfi

La parola e il suo contrario, editoriale di Luciana Landolfi.

   

   

Mi piace sentire le parole dotate di un contrario come parole speciali, ovvero che non possono manifestare appieno il loro spazio semantico, possedere neppure una cifra, uno Zero, senza specchiarsi in termini che a loro volta in esse trovano ragione d’esistenza, in un percorso circolare di fatto senza soluzione di continuità. Sono parole Magiche, accoppiate per consentirci di respirare movimento anche in un oggetto che parrebbe finito, all’interno delle sue lettere, del suo ideogramma, del suo suono come potrebbe proprio sembrare l’”Oggetto-parola“ . Sono anche parole, quelle dotate di contrari, che hanno in potenza una fortunata, raffinatissima, felice inconcludenza filosofica e maieutica; certo, non offre insonne energia la parola. Per esempio: argento o paio di occhiali; ma quando il verbo si colora di termini quali Bellezza, Pace, Piacere, Amore, si comprende bene in quale viaggio aperto a sconfinati letture e sentimenti si può addentrare la nostra capacità – nostra implacabile esigenza – di intelleggere la realtà anche attraverso le parole che la rappresentano. Sia chiaro, le parole dotate di contrario sono di fatto indefinibili; certo il vocabolario offrirà bene una descrizione etimologica e d’uso, ma non è con il Devoto Oli tra le mani che impariamo l’Amore o a separare distintamente il Bello dal Brutto. Ci vorrà qualcosa di più: ci vorranno l’esperienza, il vissuto intimo, la scelta individuale. Come nel simbolo del Tao, una parola e il suo contrario formano un Uno di fatto inseparabile, spesso indicibile e impenetrabile, o come scriverebbe René Guenon una Grande Triade in cui al centro, come sistema ed ente unificante, risiede sempre e comunque l’Uomo. Sacro e Profano non fanno di certo eccezione, ma tentarne una separazione, come se una non avesse nulla a che fare con l’altra, o come se una non fosse anche fondamento dell’altra, con la gioiosità pacifica di un certo fallimento, è aspirazione umana, più o meno cosciente, più o meno esplicita ed esplicitata, anzi “troppo umana”, umanissima. E in questo senso, chi scrive qui, non fa eccezione. La parola Sacro è antica quanto è antica l’idea di una divinità biomorfica: potremmo dire che la parola Sacro è nata per offrire una casa, un luogo alla Divinità, fosse essa simile ad un animale, reale o fantastico, o a un essere umano. Essa deriva dal termine indoeuropeo Sak, ovvero recinto e dal latino Sacer, che sta ad indicare un oggetto di proprietà degli dei, fosse esso un monte, un animale o un tempio. In sintesi è sacro ciò che contiene Dio, dove Dio dimora, e ciò che contiene l’idea di Dio: oggetti, amuleti, sarcofagi… Il suo contrario, Profano, deriva invece dal greco Pro-faino, ovvero ciò che è messo di fronte, nel senso di esterno . In questa accezione è Sacro ciò che contiene Dio e Profano tutto ciò che non ha traccia di Dio. Ben ha scritto di questa dualità Massimo Angelini, quando ricorda come, per tutte le religioni, questo Tempio in cui nessuno dovrebbe compiere atti profani è proprio il Corpo umano. E’ come se ognuno di noi si portasse appresso il luogo in cui tutte le religioni si incontrano per celebrare l’indissolubile comunione tra immagine e sostanza divina e manifestazione fisica umana, come se l’una non avesse riverbero se non nell’altra. Come se l’aggettivo sacro fosse del corpo più di qualunque altro luogo o oggetto. Come se l’aggettivo sacro identificasse indiscutibilmente il Corpo. Si pensi al saluto buddista: Namastè, ovvero ‘saluto l’energia divina che in te fisicamente dimora’, o al Vangelo di Giovanni in cui Gesù parla del proprio corpo come tempio che in tre giorni farà risorgere. Ma se sacro potrebbe addirittura divenire sinonimo di corpo, come si risolve la questione del suo opposto, partendo dalla oggettiva considerazione che il corpo non ha un contrario? E la seconda considerazione è: se il corpo è la dimora per eccellenza gradita al divino (‘E chiusi gli occhi per vedere Dio dentro di me’, Sant’Agostino), come posso concepire profano tutto ciò che ne è al di fuori? Ci rassicuri la possibilità di un sinonimo tra corpo umano e sostanza divina e si accetti la possibilità che se il corpo è sacro, profano non è tanto ciò che è posto al suo esterno, ma ciò, oggetto, azione o idea che siano, che si pone come antagonista reale al suo benessere, alla sua innocenza, alla sua dignità. In questo senso, persino il nostro Ego potrebbe “profanare“ il corpo che abita non prestandogli il dovuto ascolto, la cura, l’attenzione, non amandolo come espressione di qualcosa di più alto e lucente di uno spazio cellulare vibrante.

“Perché Se qualcosa è sacro, il corpo umano è sacro. “ • Walt Whitman

                    

Ingmar Bergman, Persona 1966
Ingmar Bergman, Persona 1966

One thought on “La parola e il suo contrario, editoriale di Luciana Landolfi”

  1. Disgiungersi

    Disgiungersi.
    Separare il sacro dal profano,
    la spiritualità dal pragmatismo
    il reale dall’irreale.
    Disgiungersi dallo spirito
    – senza soccorre il corpo
    – senza curarsi della custodia
    – senza curarsi dello stelo
    e sopravvivere di solo spirito.
    Non s’infiamma più il cuore
    non batte più, non palpita.
    Scompare il dolore, nelle sue
    origini, nelle sue somatizzazioni.
    Scompare la volontà.
    Scompaiono i limiti del corpo.
    L’infinito si quantifica, diventa casa
    non più ricerca, fine, ma dimora.
    Lo spazio-tempo diventano perpetui,
    non più fruibili.
    Saremo spazio-tempo
    contemporaneamente.
    Oh Golgota! Oh resurrezione!

    Una mia poesia sul tema. Un tema a me molto caro. Ottimo articolo.

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