La poesia ai tempi dello schermo e del social network, di Claudia Zironi.
L’arte passa dall’intelletto. Sia in entrata che in uscita passa dall’intelletto.
L’intelletto è composto da sinapsi programmate istintualmente e culturalmente. La programmazione sinaptica è contestualizzata dalla razza animale d’appartenenza, dall’ambiente, dall’epoca, dagli stimoli esterni.
Tra gli stimoli ci sono i materiali e le opportunità di utilizzarli in modo innovativo.
Lo schermo è un materiale.
E parlando di schermo, per non perderci in un plasma indistinto e confuso, deve essere chiara la differenza tra hardware e software, poiché come non si può fare tutt’uno del proiettore e della pellicola – ché un film di Godard e uno di Spielberg non sono lo stesso guardare e fruire – così ciò che rende interattivo lo schermo non è minimamente assimilabile al mero mezzo di visualizzazione: se si sta scrivendo una mail o chattando in un meetic o postando su facebook o twittando o pubblicando in un blog/forum specialistico, gli spettri proiettati all’interno del mondo virtuale e aldilà del cristallo sono differenti tra loro in funzione e postura percepita, così come i ritorni d’onda.
Dello schermo non interattivo, qui non parleremo. Mi interessa analizzare solo alcune caratteristiche dello “schermo – hardware” e quelle dello “schermo – software per social network”.
Lo “schermo – hardware”, generalizzando i suoi aspetti di materiale, strumento di diffusone, maschera e lettino di psicanalista, è di stimolo per l’uscita allo scoperto di chi ha velleità artistiche ed espressive “inconfessabili”, spesso accompagnate da inadeguato retroterra culturale e assenza di strumenti appropriati: in rete prosperano dunque fotografi, scrittori e musicisti amatoriali.
Scrittori soprattutto, poiché la tastiera consente immediatezza produttiva.
Poeti amorosi e intimisti soprattutto, poiché chi non ha la fantasia per lunghi componimenti narrativi e non padroneggia sintassi e grammatica trova facile percorrere la “via dell’anima”.
Il social network, entrando nello specifico di un software abusato, offre ampie possibilità di pubblicare arrivando immediatamente in modo mirato a un pubblico adeguato al livello di produzione effettuata. Il social network è un equo dispensatore di protagonismo. Quindi è molto amato e frequentato da questi poeti amatoriali.
C’è anche da notare come le forme di comunicazione tramite schermo stiano causando uno spostamento della scrittura verso la pittografia, l’iconografia e la fonazione. Dunque è presumibile che a breve non ci sarà più alcun bisogno di glifo e alfabeto classico – se non come esercizio calligrafico artistico o come vezzo retro – e il poeta amatoriale, immerso nel medio e avulso dalle dinamiche accademiche e “professionali”, sarà quello che più facilmente virerà in modo spontaneo e completo verso la facile multimedialità del verso – che a me ricorda un poco l’origine orale, spesso giocosa e performativa, slegata da carta e penna, della poesia.
Dunque lo “schermo – hardware” e lo “schermo – software per social network” fungono al momento e al contempo da motori per una vasta produzione dal “basso” e per un ritorno al verso slegato dalla forma scritta alfabetica classica.
Guardiamoci indietro: come sono nate le canzoni popolari più famose e le filastrocche?
Da contesti aggreganti dove un clima festoso o tragico lasciava libero sfogo alla creatività di certi individui che senza grandi mezzi riuscivano comunque ad esprimere meglio di altri in maniera coinvolgente e memorabile gioia o dolore.
Io vedo un’attinenza d’atmosfera (solo d’atmosfera percepita, ovviamente) tra la festa contadina nell’aia, la raccolta delle olive, la lotta operaia e la bacheca di facebook.
Inoltre constato che il poeta facebookiano è riconosciuto nel proprio contesto culturale come poeta a tutti gli effetti.
Quindi Mariolina Dudù che anonimamente pubblica le sue poesiole amorose nell’aia del gruppo facebook “Piccole anime poetiche dell’isola dei famosi guardano il tramonto rosa del sole” si inserisce in un bisogno espressivo manifestato dal “popolo” che sta originando un potenziale e non trascurabile ampio bacino di nuova poesia popolare: quella dei tempi dello schermo, figlia della pubblicità, della réclame, della perdita di appartenenza di classe, della tragedia vissuta davanti alla televisione, di sciacquatura di coscienza tramite espressione di sdegno su social network, di appiattimento e banalizzazione culturale… ma pur sempre bisogno espressivo di massa.

ecco, sì, dici bene:la parola chiave è SCHERMO, a volte scherno, quasi mai scheletro. Si mostra cioè una maschera, esteriore ed esterna, che è un’amalgama di tutto quanto mediamente è mediaticamente rintuzzato nelle teste e negli occhi,di rado in se stessi, la parte profonda di se stessi. Si pesca nella vasca delle aragoste del ristorante e si mette a sob-bollire i crostacei…quasi mai si arriva alla polpa succulenta.