La poesia di “genere” (il diritto del’uomo) di Paolo Santarone

La poesia di “genere” (il diritto dell’uomo) di Paolo Santarone con versi di Palmo Di Grazia.


Considerazioni sull’origine del mondo.

Che differenza c’è tra un “figone” e un “cazzone”? e tra una “figata” e una “cazzata”?

Insomma, si potrebbe continuare con decine di esempi a ribadire che il sesso maschile è goffo, stupido, imbarazzante (e le metafore che a lui s’ispirano sono infatti tutte negative) mentre quello femminile è a dir poco pregevole. Ora: nessuno mette in dubbio i pregi femminili – in questo specifico aspetto come in tanti altri – ma perché un tale accanimento denigratorio verso l’organo dell’uomo, che ha pur sempre una sua onorata funzione?
Non sono un grande frequentatore di poesia erotica. Le volte che ho provato a cimentarmi in questo genere sono riuscito a produrre solo impresentabili sconcezze, e anche come lettore è frequente che la poesia erotica mi infastidisca, anche quando è opera di poeti illustri. Curiosamente (o forse non tanto curiosamente) m’infastidisco meno se l’autore è un’autrice. In alcuni casi, anzi, mi sembra che l’esplicitezza sessuale di alcune poetesse di mia conoscenza sia il fascinoso elemento poetico di un verseggiare che non è da ascrivere al sottogenere della poesia erotica ma alla poesia tout court. Che si tratti ancora di quel discrimine che separa la “gran figa” dalla “testa di cazzo”?

Sui due primi numeri di Versante Ripido le tedofore della poesia erotica sono state due donne. Non è stato facile scovare un poeta di presumibile genere maschile che osasse confrontarsi con loro, con esiti che lascerò giudicare al lettore.

Palmo Di Grazia è chiaramente uno pseudonimo, e ci siamo impegnati a non indagare sulla vera identità dell’autore. Questa mia breve nota intende solo avanzare un’ipotesi forse più antropologica che letteraria: il sesso femminile, e più in generale la Donna, la fanno da padrone sia nelle poesie scritte da uomini che in quelle di mano femminile. Avevamo invitato Di Grazia per una sorta di par condicio, volevamo affermare anche il diritto (nel duplice senso) dell’uomo, ma l’esito è, ancora una volta, la consacrazione dell’eterno femminino.

A me sembra – ma potrei essere smentito – che un uomo (oh, a proposito: aggiro la parola “maschio”, che mi sembra greve, intrusiva, macha, ma non avrò esitazioni ad usare la bella e stimolante parola “femmina”. Dico questo per ribadire ancora una volta l’immensa differenza di qualità e di giudizio di cui parlavo fin dalla prima riga)… un uomo, dicevo, dedica la propria ispirazione erotica alla contemplazione dell’Altra, mentre tendenzialmente (tendenzialmente, beninteso) la poetessa la dedica alla contemplazione del Sé.

E’ un probabile effetto della più grande ed incisiva rivoluzione del ventesimo secolo, la Rivoluzione Sessuale. E’ con questa rivoluzione che la femmina si trasforma da oggetto a soggetto di piacere. Lo slogan “l’utero è mio e lo gestisco io” vale anche per parti più accessibili ed esteriori, la libertà sessuale diventa constatazione, per la donna, che il piacere non è un caso (né men che mai un peccato) ma un diritto, un sacrosanto diritto. E’ questo che porta la donna a chiedere e a pretendere dal maschio (questa volta “maschio” ci sta bene, povero fuco!) una “prestazione” all’altezza. E qui cadono gli altarini, perché mica è così facile essere all’altezza della donna, della femmina!, e della sua secolare aspettativa

La poesia erotica femminile chiede e rivendica, quella maschile blandisce, promette, supplica.

Quella “origine del mondo” che Courbet dipinse con grande ardimento per la sua epoca, è, nel quadro ferma e passiva. E’ un terreno arato da seminare, e sappiamo che da quella matrice il mondo, la vita, saranno davvero originati. In una poesia del Di Grazia la terra acquista parola e vita, si porge ma prende.
E per contro possiamo immaginare un seminatore che si ferma incantato a contemplare la terra arata, sospeso dallo stupore per il dono che sta ricevendo, lui, davanti alla perfezione dell’eterno Cantico.

 Lieto se queste brevi e opinabili considerazioni saranno spunto per altri pareri.

galassia

Una poesia d’amore di Palmo Di Grazia.

Chiedilo all’acqua che cos’è il mio amore
Chiedilo al sale umido del mare
O al grigiore del lago un giorno livido
malinconia di barche desolate
Chiedi alla pioggia che gioca in rivoli dietro l’orecchio

O
se vuoi
a quel torrente con le cascatelle
dove fummo un giorno così tristi
per la paura di non saper capirci.

Chiedi come io t’amo alle parole
alle parole che non sono dette
ma che a volte trapelano bisbigli
lapsus quasi del nostro self control

Alle parole che fanno arrossire
perché è difficile dirsi i sentimenti
e i desideri
e questa grande attesa che rende più difficile il morire
e tutto l’impossibile di cui ogni storia è fatta

Chiedilo ai pesci della Fornace
che si fan beffe della mia pazienza
e guardan gli occhi perduti nel riverbero
e in essi i miei pensieri
che in guizzi vanno e vengono

Chiedilo ai levigati pietroni del Garda
dove ci confidammo segreti
con nudi i piedi e una gran voglia di sole
e l’imbarazzo di quello stare adulto
mentre cantava un’anima fanciulla

***

Chiedilo al fuoco come è il mio amore
e ti dirà che lui non sa scaldare
queste due solitudini vicine
Ti dirà che il mio amore è luce fredda
luce di luna non luce di sole

Chiedi al camino
o al falò degli sterpi autunnali
come i miei pensieri si pèrdono
nel gioco variegato della fiamma
Come io ti vedo
e guardo
in quelle forme incostanti
che brillano e svaniscono d’un tratto

Chiedi al fuoco perché l’odor di fumo
mi colma di una dolce nostalgia
Come una voglia di pianto
o un canto che si perde lontano
lasciando risonare ricordi e futuro.

***

Chiedi al mio corpo come io ti amo
e lo vedrai intricarsi d’imbarazzo
perché essere quel che sono non mi basta
e mi so vecchio
e mi domando a volte se non sarebbe giusta la resa
arrendersi ai segni del tempo

perché tu non abbia mai pietà
di questo ardore insufficiente
di questo
non voluto
tradimento delle tue attese
di questo mio vedermi quel che sono divenuto

Chiedi alle mie mani del mio amore
quando su te si muovono
messaggere di dolcezza
quando punto per punto esplorano
il tuo corpo e io mi sento come un musicante
virtuoso

E chiedi al cuore
che è cuore di fanciullo
senza anni né colpe
chiedigli quant’è grande la distanza
con lui lì in mezzo
fra un cervello non savio
e la disfatta panza

***

Chiedilo a te se è vero che ti amo
tu non puoi non saperlo
chiedilo a te se dietro il mio silenzio
c’è soltanto silenzio
o non invece un tumulto
di parole strozzate
che il buon senso maschera e discerne

chiediti quanto è dolce per te
starmi vicina
chiediti cosa mai sarebbe il mondo
se io non fossi a te
se tu non fossi a me
in quest’amore privo di possesso
come un gioco di danza

in questa lontananza dolorosa
eppure così piena di messaggi
che percorrono l’etere e l’assenza
e ci fanno trovare
come un appuntamento
pronti all’altrui pensiero
in un mistero di conoscenza.

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4 thoughts on “La poesia di “genere” (il diritto del’uomo) di Paolo Santarone”

  1. non vorrei contraddire Santarone, ma questa mi sembra un’ottima poesia che di erotico ha solamente il climax, ma manca completamente di quell’erotismo spesso stonato e un po’sopra le righe che spesso si ritrova nella poesia scritte da poetesse.

    ma forse il mio giudizio negativo attono alla poesia di genere e sfacciatamente erotica rispecchia quanto l’autore ha cosi bene espresso in questi versi :

    e mi so vecchio
    e mi domando a volte se non sarebbe giusta la resa
    arrendersi ai segni del tempo

    perché tu non abbia mai pietà
    di questo ardore insufficiente
    di questo
    non voluto
    tradimento delle tue attese
    di questo mio vedermi quel che sono divenuto

    Insomma, buona la poesia nel suo insieme, ma per me non la classificherei ” erotismo al maschile ”

    paraboschi

    1. Palmo non oserebbe mai scoprirsi, neppure con un ringraziamento. Rispondo in vece sua: il Di Grazia ci aveva mandato due poesie (tre, veramente, ma poi ci ha chiesto di ritirarne una), questa parla in effetti di un diritto stile… Asinelli e Garisenda (l’auspicio è che, pur pendendo, non caschino giù). Ma in fondo, Luigi, chi dice che l’erotismo dev’essere muscolare, atletico, giovanile? Nell’altra poesia, che trovi nel “versante liquido” Palmo di Grazia si mostra più… potente (almeno un po’) o forse più illuso.
      In ogni caso sono fermissimamente convinto che l’eros non abbia età. Paolo Santarone

  2. Adoro Giovanni Raboni e le sue “canzonette mortali” secondo me esempio perfetto di poesia erotica maschile.
    Devo dire che in alcuni passaggi delle poesie di Palmo di Grazia c’è un che dell’atmosfera che si rileva anche nelle poesie di Raboni legata sicuramente all’età, però qui manca totalmente l’esplicito in cui invece Raboni sa destreggiarsi magnificamente.

    La Valduga però è tutta un’altra storia 😉

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