Alessia D’Errigo è attrice, ricercatrice teatrale e cinematografica, e, già da tempo presente in rete nei blog e nei gruppi di poesia, ha da poco pubblicato il suo primo libro di poesie, Carne d’aquiloni. Da questo libro di Alessia, che sarà collaboratrice di Versante Ripido, pubblichiamo qui tre componimenti.
“…e la carne si fece verbo” introduzione critica di Paolo Santarone.
Queste poesie, come, in genere, tutta la poetica derrighiana, fondano su un apparente paradosso: da un lato un linguaggio in cui l’ispirazione dei testi sacri e addirittura della teatralità liturgica (almeno due delle poesie che seguono utilizzano una tecnica responsoriale) si esprime in modo diretto, scabro, mai “ammoinato” o indulgente, e, dall’altro, una dominanza quasi ossessiva della carne, fin dal titolo e dall’immagine di copertina. I temi di Alessia ruotano intorno alla corporeità, la corporeità della donna: il sesso femminile (a me e certamente anche a lei non piace quel pudibondo uso, oggi di moda, della parola “genere” per la distinzione dei sessi) nella sua polivalenza di significati, dall’erotismo alla maternità, dal piacere alla sofferenza, dallo slancio gioioso alla contrazione dolorosa. Commentando mesi or sono alcune sue poesie avevo creduto di rilevare come questa corporeità fosse giustificazione a se stessa, in una sorta di materialismo che avesse superato – a torto o a ragione – ogni domanda di natura spirituale. Posso serenamente ammettere, oggi, di aver preso un cantonata, perché proprio il linguaggio (dalla metafora alla scelta semantica) traduce e sublima quest’attenzione corporale conducendola nella dimensione del sacro. Ché, infatti, la poesia della D’Errigo, così audace, è ad altro che tende. La contemplazione della carne sembra esplorazione delle profondità più profonde e recondite, ricerca del Senso attraverso i sensi, percorso nell’immanente con tale integrità d’intenti da attingere al trascendente. E tutto questo con una passione poetica che sfida ogni moderazione e ogni pudore perché è consapevole che solo una rigorosissima ricerca, solo una assoluta e disarmata sincerità, conducono alla poesia.
IL TUO BACIO CHE DOVEVA ESSERE IL MIO
di sangue mi faccio corpo
d’ombra rossa e margherite
il mio prato – uno stelo aperto al cielo
germogli in fiore
il mio sangue che non è solo il mio
(ombra del tuo bacio)
e il bacio – ombra mia
il mio prato un germoglio in fiore
e raccolgo a mani aperte
lo scorrere delle labbra
(platani aperti)
il tuo bacio – che è il mio
germoglia il fiore
cosa chiedo e chiedi – radice di baci
cosa ami e temi – radice di baci
cosa danzi – radice dei miei baci
il mio prato un germoglio in fiore
chiedimi ancora della notte – nascondimi
chiedimi ancora dell’amore – salvami
chiedimi ancora se l’amore e la notte…
germoglia il fiore
amore
il tuo bacio che doveva essere il mio
*****
IL CANTO DEGLI ANGELI
del prato
il dissapore
del prato
s’ammanta e spiove
dell’angelo il ricordo
(frammento scuro
tra i capelli)
e resta
resta ancora
calice e dimora
del mio restare
scalzo
e ricco
(ricco parto di lucciole
d’ali bianche
tra i monti)
e santa la tua chioma
santa
che ancor non parla
e s’addormenta
un lungo bacio
lungo bacio
(e addio)
vergine e liliale
un lungo bacio
(tra i fiori)
e resto
resta
tra le spoglie degli angeli
resta
resto
all’imbrunire della fonte
(l’incedere di passi scalzi)
e ancora odo
il cuor forgiato
d’argento
argento luna
luna
tra l’una e l’altro
dove resto
(piccolo sale
piccolo
che tracima
e scende
di baci)
articolo frapposto
articolo di arti frapposti
a punteggiare il ricordo
del prato
il dissapore
del prato
s’ammanta e spiove
che sia carestia d’amore
(il prato s’ammanta e spiove)
che sia d’un bacio l’amore
(il prato s’ammanta e spiove)
*****
RONDINE
di mani amore
di more tra le viole
di tutto il bello
un sonaglio
appeso nel ventre
a suonare
e scuotere
scuotere forte il filo
che s’incaglia
e morde
vita
vita mia
un salmo scritto nel cuore
un rifugio di pelle
(l’antenna del mio ventre)
di mani amore
di more tra le viole
soave
soave tra il cielo
(rondine bocca di baci)
di baci
di ancora sole
una lunga riga celeste
ha debellato il tuo amore
come un fantasma
che tra le mie braccia
muore
di mani amore
di more tra le viole
Le poesie di questa silloge sono tratte da:
“CARNE D’AQUILONI” – Alessia D’Errigo – ed. ZONA Contemporanea http://www.zonacontemporanea.it
Possono essere acquistate, oltre che presso le migliori librerie, in rete, ai seguenti indirizzi:
IBS: http://www.ibs.it/code/9788864383040/d-errigo-alessia/carne-d-aquiloni.html
UNILIBRO:http://www.unilibro.it/libro/d-errigo-alessia/carne-d-aquiloni/9788864383040
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Mi domando perché mai la bravissima D’errigo e lo stesso Paolo Santarone non gradiscano che si possa parlare di poesia di genere, intendendo questa parola, pudibonda e riduttiva in ambito poetico. Non si può negare che, oggi e dagli anni settanta, ci sia una poesia al femminile che muove problematiche diverse da quelle maschili o che esprime tematiche bipartisan con coloriture tutte proprie, capaci di distinguersi da quelle che caratterizzano la scrittura dell’altro sesso. Trovo infatti che il mondo femminile abbia contribuito ultimamente ad arricchire l’intera letteratura di un plus valore di cui si avvertiva da tempo una qualche assenza . La poesia, quasi esclusivamente ad appannaggio dell’universo maschile vedeva quest’ultimo, prima degli anni settanta , il solo protagonista o soggetto che relegava la donna a funzione di oggetto, intorno al quale ruotava tanta poesia, soprattutto d’amore. Ho trovato i versi della D’errigo , interessantissimi , per tutte le ragioni bene esposte ed individuate da Paolo Santarone ma non solo per esse. C’è infatti nelle liriche derrighiane quello che io vado man mano notando e confermando: un superamento di quei modi espressivi di cui hanno fatto da sempre uso i poeti , come se la poesia derrighiana e quindi quella femminile incarni una maggiore virulenza, ed una virilità, che al contrario va sempre più scemando nei versi di “ genere maschile”. Questi ultimi infatti hanno una tendenza ad un qualche addolcimento e ad una cadenza viepiù morbida, ( o forse l’hanno sempre avuta), come se quest’ultima sia ( o fosse stato) l’ingrediente necessario perché la loro scrittura potesse essere denominata a chiare lettere “ poetica” . Una lunga premessa, questa mia, per confermare il mio entusiasmo ed il mio deciso apprezzamento nei confronti di questa autrice, che forte della sua formazione ed esperienza anche teatrale incide, con i suoi versi, in maniera molto significativa su coloro che la scoprono .
Non so che cosa ti risponderà Alessia e sono molto curioso di saperlo.
Tu usi una parola curiosa ed esatta, “virile”, alla quale avevo pensato anch’io. E’ vero che la poesia di Alessia è maschia, forte, esplicita più di quanto si riscontri in molte poesie maschili, ed è vero che poeti anche validissimi amano ostentare un garbo, una finezza, una … delicatezza un po’ finocchia.
Io credo che ciò dipenda da una sorta di processo antropologico: due cammini in direzioni opposte che hanno come obiettivo – o come sogno – un incontro.
Gli uomini stanno imparando a piangere, a commuoversi, ad ammirare la tenue verginità d’una mammoletta… si stanno, insomma, femminilizzando. E forse esagerano, perché non è raro, da parte dell’altro sesso, l’invito a essere più machi, a “tirar fuori le palle”. Le donne, per parte loro procedono in senso inverso, in assenza degli attributi, tirano fuori la grinta. Sono esplicite, provocatorie.
Trent’anni o quaranta anni fa (prima di quel colossale evento culturale che fu la rivoluzione sessuale) molte delle poesie di Alessia avrebbero potuto essere pubblicate solo in circuiti molto riservati e anche un po’ sporcaccioni. Il suo ventre, il suo inguine, perfino il suo sangue sono possessi e desideri urlati a pieni polmoni e con occhi ben dritti (anche se sempre con un’eleganza e una perizia sublimanti). Io personalmente mi sento soggiogato da questa consapevolezza della carne. E’ una vera e propria seduzione quella che Alessia esercita su di me. In qualche modo leggo in lei quello che a suo tempo io non ho saputo dire.
Vorrei però aggiungere due cose.
1 Tu dici: “come se la poesia derrighiana e quindi quella femminile”… converrai che è una consecutio un po’ arbitraria. La poesia di Alessia è femminile? allora perché tu stessa la definisci “virile”?
2 Nelle critiche impostate come la tua si corre sempre il rischio di incappare nei dover essere. La poesia è poesia, misteriosa e indiretta sia che parli d’una battaglia o d’una scopata sia che t’incanti ad ammirare la rosellina che sboccia. Certo non tutto è sullo stesso piano, ma ciò che determina la gerarchia dei piani resta mistero. Soprattutto non avviciniamoci alla poesia con approccio femminista (i soliti stupidi maschietti, le solite eroine che cambieranno il mondo), sarebbe un approccio rischioso perche ci troveremmo ad osservare ribaltamenti imprevisti.
Una parola di conclusione: le poesie delle donne quando son belle mi piacciono in modo specialissimo perché mi consentono di intuire, immaginare, fugacemente capire che cosa “è donna”, una domanda che è alla base della mia stessa natura, e certo non solo della mia.
Paolo, rispondo alla tua osservazione n° 1, sottilmente retorica e quanto mai opportuna, che aspettavo saltasse fuori. Tu trovi contraddittorio che io definisca la poesia femminile della D’errigo anche “ virile” . Gli aggettivi femminile e virile sono in effetti due “ contrari” ,ma la novità che ravviso nella poesia di Alessia e di tutta una moltitudine di poetesse a noi contemporanee, note o meno note, sta proprio nel fatto che nelle loro opere quei due termini opposti e contrari per tradizione, incredibilmente o forse anche per via di quel processo antropologico dell’incontro, che tu evochi, si trasformano in sinonimi, nel momento in cui la voce poetica di una donna si fa maschia ma nell’accezione più positiva di questo termine. Di fatto oggi accade una inversione di temperamento dell’ architettura del dire muliebre , che tradisce l’assunto di una annosa leziosità e procede robusta, più che mai vera , quasi violenta per non dire trasgressiva, come se un nerbo sopito per troppo tempo si risvegliasse e chiedesse con forza l’ascolto( infatti analogo fenomeno investe la donna a livello antropologico- sociale). Questa mia impostazione critica esula del tutto da un atteggiamento femminista e anzi lo supera ,volendo io descrivere una mia semplice considerazione scaturita di fatto da letture di opere recentissime di certi autori ed autrici che ho poi comparato. D’altra parte , Paolo, mi trovi d’accordo quando, al punto 2 della tua replica, mi parli di ribaltamenti imprevisti ai quali potremmo assistere asserendo sconsideratamente e con inflessibilità un enunciato o una opinione , e che ci possono essere alti livelli di poesia che prescindono dai toni dolci o amari che la costituiscono, come anche dalla eccellenza e dal rilievo delle cose o delle tematiche che essi rappresentano. E sono ancora più d’accordo con te quando mi dici di amare le poesie delle donne , se sono belle, e quando in modo implicito affermi che sia ancora tutto da scoprire cosa sia una donna. Oggi con poesie come quelle di Alessandra e non solo ci è dato finalmente di svelare questo mistero. nunzia binetti