La poesia e il sacro, di Francesco De Girolamo.
Nella nostra presente realtà, il poeta, immerso inevitabilmente nel fattuale, non può non puntare ad un’umile ma indefettibile mediazione con “l’Assoluto” attraverso il suo rapporto peculiare con il linguaggio e il suo mistero, autonomo da ogni altra legge di rigida correlazione con il presunto reale immanente; e rivolgere ancor più la sua la sua attenzione verso l’emisfero nascosto dell’anima del mondo. Più di ogni altra via di esplorazione della dimensione ontologica, proprio la Poesia può costituire la breccia per oltrepassare il muro della fenomenologia di una malintesa modernità scientista neo-pragmatica che ha esautorato ogni spiraglio, non inevitabilmente utopico, di impulso salvifico, insieme alle originarie ideologie storiche, che contenevano, anche le più apparentemente “profane”, un’attenzione, un rispetto ancestrale per la sacralità dell’essere, con tutte le sue implicazioni etiche, metafisiche, del tutto disattese, invece, nell’attuale prospettiva cupamente “secolare” di una globalizzazione laicista egemonica, ormai del tutto inconciliabile con gli impulsi più viscerali di quel superstite frammento di “cosmo” insito nella nostra anima.
Ciononostante, il Sacro, ancora vivo in noi e nella nostra realtà, frutto di uno sguardo vergine sul mondo, che si avvicina alla sua complessità senza nessuna pretesa di ridurlo a fonte di oggettività di una dogmatica pseudo concretezza esistenziale e sociale, si manifesta come quell’impeto appassionato che prima Martin Heidegger e poi María Zambrano individuano proprio nell’ambito della Poesia, attribuendo ad essa il più profondo respiro viscerale, lo spazio incontaminato per un pensiero umano non assoggettato al dominio della ragione; un pensiero che sia contiguo, in virtù della sua alterità nei processi, ora troppo limitatamente empirici, ora troppo astrattamente aprioristici di conoscenza dei luoghi elettivi dell’essere, ad una simbiosi intellettuale con il sentire emotivo, con l’ansia innata di riferimenti assoluti, universali, non più relativistici, della conoscenza.
E la Parola Poetica diviene sempre più, in questo processo antropologico, anche mistico, di riforma della ragione, il codice più accessibile per decifrare l’enigma dell’esistenza, “mediatrice tra luce e oscurità, tra il linguaggio e il silenzio”, laddove è rinchiuso e risuona il mistero dell’origine del creato, nel conflitto sempre irrisolto tra il cammino in una direzione tutta “ orizzontale”, troppo spesso risultata miseramente fuorviante, e una tensione di verticalità, a volte d’una intransigenza impenetrabile e soverchiante: strada maestra, fatalmente anch’essa lunga e tortuosa, verso la dimensione tanto agognata di una fertile armonia, di una salvazione dell’uomo, e della sua minacciata identità ed integrità, forse ancora, in potenza, del tutto possibile. FDG