La poesia in immagine, rubrica di Antonella Lucchini: Davinio

La poesia in immagine, rubrica di Antonella Lucchini: Davinio.

    

    

Abbiamo pensato di attribuire uno spazio ad un genere che , tra appassionati e detrattori, ha conquistato in ogni caso un posto importante nel mondo poetico attuale. Forse Apollinaire stesso, esempio eclatante della poesia “che si vede”, se avesse avuto a disposizione la nostra tecnologia, sarebbe stato un grande sperimentatore di videopoesia.
Si toglie qualcosa all’arte poetica se vi si aggiungono altre esperienze artistiche e sensoriali quali la musica, la fotografia, il cinema, la tecnologia digitale? O piuttosto non la si arricchisce? Ad ognuno la propria risposta. AL

     

Cracks in memory di Caterina Davinio

Caterina Davinio, foggiana, scrittrice e artista multimediale, in un’ intervista del 2012, rilasciata proprio a Versante Ripido, diceva che “l’elettronica non deve essere solo un supporto, ma entrare nella sintassi”. In questo video del 2009, “Cracks in memory”, dove non c’è testo ma solo immagine, l’affermazione trova la sua concretezza. La scansione temporale è estremamente corretta, capiamo che si passa da un presente, a un imperfetto, a un passato remoto: il rumore e l’immagine di uno specchio che si infrange (la memoria si apre), seguiti poi da immagini che da sbiadite si fanno più intense, sanguigne, a rivelare particolari di una vita quotidiana vista a ritroso, col crepitio del fuoco che fa da melodia (fuoco che mantiene i ricordi vivi o li brucia?). Un comò anni ’70 (l’epoca in cui Davinio inizia la sua produzione poetica), un letto, una giostra con un sottofondo martellante e poi il soffio del vento che ci porta davanti a un’alba che si fa via via più chiara, evanescente. Le tre età della donna: quella adulta (sul comò una lacca e forse un altro cosmetico), la giostra come richiamo dell’adolescenza/infanzia, l’alba come la nascita o addirittura la pre-nascita, vista l’evanescenza finale dei colori. Il video, che potrebbe essere (e forse è) la trasposizione multimediale dell’indovinello della Sfinge, non è accompagnamento di una poesia, ma diventa anzi è esso stesso una poesia, senza parole ma con immagini e suoni così espressivi da rendere ogni parola decisamente superflua. Le uniche parole che compaiono sono quelle del titolo, non casualmente in inglese, lingua che rende assai più dell’italiano l’onomatopea dell’ infrangersi (cracks).
Niente, più di una poesia, favorisce un’interpretazione personale. Una videopoesia “afona” ancora di più.

         

in apertura George Harvey, “Temporale – Frantoio del sido a Redding”, ca 1840, Metropolitan Museum New York

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