La poesia in immagine, rubrica di Antonella Lucchini: Marrani.
Abbiamo pensato di attribuire uno spazio ad un genere che , tra appassionati e detrattori, ha conquistato in ogni caso un posto importante nel mondo poetico attuale. Forse Apollinaire stesso, esempio eclatante della poesia “che si vede”, se avesse avuto a disposizione la nostra tecnologia, sarebbe stato un grande sperimentatore di videopoesia.
Si toglie qualcosa all’arte poetica se vi si aggiungono altre esperienze artistiche e sensoriali quali la musica, la fotografia, il cinema, la tecnologia digitale? O piuttosto non la si arricchisce? Ad ognuno la propria risposta. AL
Versante Ripido inaugura oggi una nuova rubrica, dedicata alla poesia elettronica. Abbiamo pensato di attribuire uno spazio ad un genere che , tra appassionati e detrattori, ha conquistato in ogni caso un posto importante nel mondo poetico attuale. Forse Apollinaire stesso, esempio eclatante della poesia “che si vede”, se avesse avuto a disposizione la nostra tecnologia, sarebbe stato un grande sperimentatore di videopoesia.
Si toglie qualcosa all’arte poetica se vi si aggiungono altre esperienze artistiche e sensoriali quali la musica, la fotografia, il cinema, la tecnologia digitale? O piuttosto non la si arricchisce? Ad ognuno la propria risposta.
IL PROGRESSO DELLA POESIA PER IMMAGINI
(DALLA POESIA VISIVA ALLA VIDEOPOESIA)
La comunicazione nasce dal bisogno e dalla necessità di condividere, convivere, conoscere, rapportarsi all’altro. L’uomo primitivo, ancora prima del gesto e/o del suono, utilizzava la pittura e l’incisione su qualsiasi tipo di materiale (cortecce, rocce, pietre). L’arte rupestre, in particolare, (ricordiamo gli importanti siti di Altamira e Lescaux), rappresentava il tentativo di utilizzare alcuni simboli codificati per fissare la conoscenza dell’ambiente circostante o le attività. Per curiosità antropologica, gli Incas, a differenza di tutti gli altri popoli per cui il segno iconico è stata la prima forma di “scrittura” o di comunicazione, utilizzavano il Quipu, un insieme di cordicelle annodate e distanziate tra loro con un criterio ben preciso e legate ad una corda più grossa che le sorreggeva.
Scaliamo velocemente la rete dello spazio/tempo (accettandone la perturbazione e le conseguenti onde gravitazionali) e arriviamo al XX secolo con la poesia visuale: le immagini non più sostitutive della parola ma complici, che si compenetrano in un risultato polisensoriale. I calligrammi di Guillaume Apollinaire ne sono un esempio efficacissimo. Parole che raccontano e contemporaneamente disegnano il tema principale della poesia. Nell’immagine che segue, la poesia “La cravate et la montre”.
Quarant’anni dopo, Edward Estlin Cummings, poeta statunitense, concepisce, parallelamente alla poesia visiva di Apollinaire, il suo concetto di poem-picture dove le parole non sono iconiche, non disegnano una forma definita ma forniscono comunque un alto grado di visualizzazione, grazie all’uso delle maiuscole, ai segni di punteggiatura volutamente disassati, alle frequenti spezzature di verso, con un uso molto forzato dell’’enjembement. Nell’esempio, la poesia “Maggie and Milly and Molly and May” (1958)
In Italia, Ugo Carrega, compie un passo in più: oltre al significato e al suo suono, sostiene che la parola abbia una sua propria identità fisica. La poesia visuale diventa scrittura simbiotica, con cui costruire un’opera d’arte che contiene in sé la forza espressiva sia della letteratura sia della pittura.
Con l’avvento delle videocamere, dei videoregistratori e di Internet, accanto alla poesia visiva si situa la poesia elettronica o videopoesia. Le immagini che l’accompagnano non sono fisse ma in movimento, (che si tratti di un filmato o di una slideshow di immagini), si aggiunge una colonna sonora e, a discrezione dell’autore, una voce che legge il testo o il testo in sovraimpressione; vi si possono applicare anche elaborazioni digitali e grafiche in postproduzione.
Un autore contemporaneo che fa della videopoesia il suo modus espressivo è Massimiliano Marrani.
Nato nel 1969, è art director, grafico e illustratore libero professionista a Bologna. Nel 2008 la rivista Atelier ha pubblicato una sua raccolta di poesie inedite, “Jetlag”; suoi testi sono apparsi anche in altre riviste. Ha collezionato primi posti a vari concorsi e segnalazioni, tra cui quella al Premio Lorenzo Montano nel 2012.
Da qualche anno si dedica alla videopoesia, curandone l’aspetto poetico, visivo e spesso anche musicale.
Di fronte a una poesia che viene accompagnata da un video, dove ci sono immagini, suoni (colonna sonora), la voce recitante del poeta, che reazione si ha: confusione o appagamento? La risposta è naturalmente soggettiva, quindi varia e variabile.
La videopoesia che pubblichiamo è “Arrivano e poi se ne vanno”.
Per mantenere intatto il concetto di polisensorialità non forniamo il testo, che è però recuperabile nel box informazioni del video.
Una poesia che si muove sui cardini della memoria, un po’ arrugginiti se non consunti (“le note spappolate delle cartoline”); ma d’altra parte si parla di ricordi di un piccolo (…”una Bolzano vista da sotto,/più sotto delle ginocchia di mio padre”), non ci si aspetta ricordi dettagliati.
Il modo che ha il poeta di farci sapere che il tempo passa, è interessante e simbolico: definisce il cortile, punto e momento d’incontro di gioco infantile, “una corazza da palombaro abbandonata”, una “custodia” del tempo dell’istintualità e della spontaneità ormai perdute o quantomeno evanescenti; l’istintualità ritorna in “ho sorpreso la luna scavare/tombe basse per i miei capelli” dove i capelli ne sono proprio un simbolo, così come simboleggiano legami e ponti con se stessi e gli altri, e qui sentiamo il tono didascalico e cinico con cui il poeta ricorda infanzia e riunioni familiari, al limite della pateticità irridente (“rideva all’apice della sua nomea, e il trucco/le si disfaceva ancora una volta”).
Il tempo verbale è sempre all’imperfetto, per farci sentire il senso del passato (non remotissimo, perché in qualche modo ritorna nei ricordi), ma anche un retaggio del modo infantile di dire “facciamo che io ero”, nei giochi di immedesimazione in altro da sé. Ci informa però che c’è stata una spinta in avanti e lo si ritrova adolescente (“nelle mie fantasie subacquee/ tra il battere di organi genitali/ e vita, trasmessa sottovoce/ sul nastro magnetico del corridoio”), tra onanismo, polluzione e possibili telefonate all’amore del momento, “sul nastro magnetico del corridoio”: solitamente il corridoio è il luogo del telefono, quindi dei segreti. L’unica deroga al tempo verbale scelto è quel “diedi” nel terzultimo verso che trasmette una sfumatura di certezza, quasi un piccolo imperativo, per suggerirci che, forse, il segreto del corridoio era una “lei” sconosciuta ma già saputa.
C’è, in questa poesia di Marrani, un senso di stanca, e di ripetitività. Arrivano e se ne vanno non solo i ricordi, ma anche i familiari negli incontri calendarizzati: le feste comandate, i compleanni, gli anniversari. È un’atmosfera pesantemente plastica, mummificata, meccanica proprio per il suo concetto di ripetizione di gesti e di attività che nulla hanno di sentimentale. Ci si legge “Clockwork Love” di Thomas Stearns Eliot, in modo personale ma efficace.
Tutto ciò come viene reso visivamente?
Lo scorrere di un cronometro ci dà il senso del progredire del tempo, due macchine (citate nella poesia) che si scontrano compenetrandosi, ripetutamente ma senza perdere pezzi (un simbolo di meccanico quindi di freddo e senza sentimento?), un reticolo invade lo schermo (siamo imprigionati nella nostra vita?). In sottofondo una percussione elettronica e una musica pressoché monodica, quasi onirica; sopra, la voce del poeta che legge, senza particolare trasporto.
Si sente (percezione emotiva) ciò che si legge (scrittura) e si sente (percezione uditiva/emotiva) ciò che si vede (vista).
Come si risponde, quindi, alla domanda posta in precedenza? Confusione o appagamento polisensoriale?