La poesia umile, editoriale di Massimiliano Damaggio.
Se penso alla poesia latino-americana contemporanea, mi stupisco di quanto presente sembri nella vita quotidiana delle persone, almeno tanto quanto ne è assente quella italiana. I popoli più industrializzati sono stati vittime di una pressoché totale disintegrazione dei processi comunicativi intimamente comuni, che siano cioè in qualche modo condivisibili da altri individui della stessa comunità, in buona parte perché è venuto a mancare del tutto il concetto sociale di comunità. La disgregazione in singoli individui, cui è stato tolto un bisogno fondamentale mitologico e misterico che cozza con le necessità utilitaristiche, ha portato, a mio parere, alla scomparsa di argomenti, linguaggi ed esperienze di larga esperienza comune. Il poeta ha seguito una propria via di ricerca linguistica che poteva essere condivisa solo da pochi e il suo linguaggio in molti casi si è collocato all’esatto opposto della progressiva banalizzazione dell’umanità industrializzata prima, e della desertificazione di quella consumistica poi. La situazione attuale è il risultato di un mutamento sociale ed economico che i nostri poeti post-industrializzati non hanno saputo né sanno interpretare.
In tale panorama, il poeta è sostanzialmente scomparso, pur essendo aumentato a dismisura il numero di chi scrive poesie o tenta di farlo. Ma sia chi lo fa sia chi ci riesce, adotta comunque linguaggi, tematiche e registri inadeguati alla contemporaneità; di conseguenza non esiste. Eppure, nel contesto comunicativo attuale dove “la gente non ha tempo e i romanzi dovrebbero essere di una riga sola” (Luigi Di Ruscio), proprio la poesia potrebbe giocare un ruolo comunicativo importante, se invece di disgregarsi insieme alla mancanza d’identità dell’individuo che tenta di generarla acquisisse una nuova forza verbale, un’immediatezza e una tangibile contemporaneità.
Versante Ripido mi chiede della situazione poetica in Grecia. Non vedo più significative differenze. Se non forse, che la disgregazione avvenuta da noi quarant’anni fa lì sta avvenendo da minor tempo, e quindi la si può leggere più chiaramente. Tocca alla generazione odierna di poeti greci fare il salto verso il nulla che altri europei hanno compiuto qualche anno addietro. Il loro minimo comun denominatore mi sembra il dissolversi dell’ambiente, fino a pochi anni fa incombente nel paesaggio poetico greco. Una volta i greci si sforzavano di ricollegare la propria attualità ad una storia persa in un passato troppo remoto dove fra l’oggi e lo ieri si interponevano l’impero bizantino e quattrocento anni di dominazione turca. Da quel vuoto – ma ricerca di identità – oggi si fa il definitivo salto nel vuoto spinto dell’americanizzazione del pianeta.
Nell’odierna evanescenza il poeta, se non reagisce con la materia alla “modernità liquida” (Zygmut Bauman) non può sperare di essere in alcun modo una presenza nell’ambiente coabitato. Mi sembra quindi che non siano i poeti a essere discriminati ma che la “società” sia tranquillamente immune dalla loro poesia “liquida”. Non so se il poeta debba avere una “rilevanza”, ma oggi sarebbe già tanto che avesse una “forma”. Forse uno studio umile della poesia contemporanea di luoghi come l’Africa o il sud America potrebbe farci comprendere che la lingua è lo strumento di comunicazione più importante che abbiamo, e che non vivere ciò che si scrive o scrivere senza vivere nulla non può interessare più di tanto il nostro vicino di casa. Tutto questo equivale a una pratica di resistenza. M.D.
questi testi sono strabelli… come far poesia dalla vita, il quotidiano, come dovrebbe essere per me.
grazie, Anna
Poesia “vera”, che ha una sua autentica ispirazione…
due belle poesie ” oneste”, dense di senso e di verità.