La polpa ce profuma e ce martira, poesie di Francesco Accattoli (Marche)

La polpa ce profuma e ce martira, poesie di Francesco Accattoli (Marche).

     

        

14581337_10210680371990152_4856013399675318280_nFrancesco Accattoli nasce ad Ancona nel 1977 e risiede ad Osimo (AN). E’ docente di materie letterarie e latino nei licei. Nel 2002 esce per Stamperia dell’Arancio la raccolta “Come acqua che riposa….”. Nel 2007 pubblica con Fara Editore la silloge “Un tramonto sommario”. Nel 2011 sempre con Fara Editore pubblica la sua seconda raccolta “La neve nel bicchiere”. Nel luglio del 2013 per la Sigismundus Edizioni pubblica la plaquette “Lunga un anno”, una raccolta di diciannove testi in tiratura limitata impreziosita da sei opere della pittrice Linda Carrara. Nel 2015 esce la seconda edizione di “Lunga un anno”, contenente venti liriche e nuove immagini di Linda Carrara. Nello stesso periodo viene invitato dall’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia per presentare lo spettacolo “Lunga un anno poetry set”, una videoperfomance che vede la collaborazione del regista Filippo Pesaresi e del chitarrista Daniele Cecconi. Viene premiato in vari concorsi letterari. (Premio Rabelais, Premio Gozzano) e segnalato per le prime due raccolte al Premio Sandro Penna. Sue poesie sono incluse in varie antologie (tra le quali “Calpestare l’oblio”), riviste cartacee e sul web. E’ chitarra e voce dei Noa Noa, ed assieme al poeta Loris Ferri ed al chitarrista Alessandro Buccioletti ha partecipato al progetto “Fucine Sonore”, esibendosi al MEI di Faenza.

    

La mia vita privata è scandita dal dialetto. Soltanto negli ultimi anni ho deciso di rischiare e farla diventare lingua della poesia. Ho faticato molto, ho indagato le pieghe del mio dialetto, una variante spuria, a dire il vero, del più diffuso anconitano, una lingua della quotidianità per noi, alla quale ci sottraiamo con enorme malinconia. Poeti dialettali miei conterranei si sono distinti per opere letterarie di grande spessore, utilizzando una lingua però non veicolare, un dialetto cioè letterario. Io ho succhiato dalla viva vita del mio paese il parlato, le mie poesie si parlano ogni giorno. FA

     

Da “Lunga un anno”, Sigismundus, 2012

     

Guazza/ Rugiada

La nengua s’è sciolta, c’è ‘rmasa la guazza
un palmo de tera cullosa
du fiori sporcadi de malta.
Le scole riapre, la fila s’engrossa
de fronte la chiese c’è ‘l morto
niusciù che se chiede
‘ndo riva la gioia, ‘ndo more la stizza
e fenisce ‘l dolore.
La nengua s’è sfatta, c’è ‘rmasa la porta,
ce passa davanti un cà vecchio e ce piscia,
te spetto finanta
che ‘l prete nun bussa.

     

La neve si è sciolta, c’è rimasta la rugiada/ un palmo di terra collosa/ due fiori
sporcati di fango/ Le scuole riaprono, la fila s’ingrossa davanti la chiesa c’è il
morto/ nessuno che si chieda dove arrivi la gioia, dove muoia il rancore/ e finisca
il dolore/ La neve s’è disfatta, c’è rimasta la porta/ ci passa davanti un cane
vecchio e ci piscia/ ti aspetto finchè il prete non bussa.

* 

Uvaspina

Sai come ‘l pà che non se sfragne e dura
da ‘n pezzo e non svampisce la posa
dei bagi, de corpi ‘nvuricchiati,
un po’ rosa e un po’ cilesti , de noialtri
bitorzoli ciaccati a trentanni,
quadrucci ‘nt’un brodo sciapo pe’ i dolori
d’esse granni. Mesamianni che mijòra
se ‘n tantì ce piasse da guardacce
‘n faccia e guardavve e po’ chiedece quanto
costarìa pogo misurà sa dò passi pel paese
el tempo che c’è ‘rmasto piccigato ‘nte le spalle,
l’udore dei treni e de le curriére
che manco a schioppettade lo léi da la pelle.
Noialtri semo acini duri d’uvaspina:
la pelle ce sbrillucciga del viola,
la polpa ce profuma e ce martira.

      

Sei come il pane che non si rompe e dura/ da un pezzo e non evapora la posa/ dei
baci, dei corpi intrecciati,/ un po’ rosa e un po’ celesti, di noi/ torsoli schiacciati a
trentanni,/quadrucci in un brodo sciapo per i dolori/d’essere grandi. Mi sa tanto
che migliora/ se un po’ volessimo guardarci/ in faccia e guardarvi e poi chiederci
quanto/ costerebbe poco misurare con due passi per il paese/ il tempo che c’è
rimasto appiccicato alla pelle,/ l’odore dei treni e delle corriere/ che neanche con
le fucilate lo togli dalla pelle./ Noi siamo acini duri d’uvaspina:/ la buccia ci brilla
di viola,/ la polpa ci profuma e ci condanna.

 

Premio Gozzano 2011

    

Pescolle/ Pozzanghere

Le pescolle, a pialle a sassate
pàrene sbruffi de fontane granne,
e i fjòli stanne a pistaccià sa le scarpe,
sa le mà, e no’ je basta tutte quante
‘nzaccherate. No’ cercamie co’ le canne
le covate de le rane,
setacciamie filo filo, bocca avanti,
l’acque giacce prudigiose.
C’era caso che per caso
la natura se muvea, qualchicò che ce bastaa
a facce urlà cum’ i bardasci, quanno drento
de la fanga l’universo lo capimie ‘ntun mumento:
‘na mucchiada de cudine fine fine, le madonne
de le madri nun appena se ‘ccorgea.

‘Ntel zilenzio se sentia guasi un senzo de rimorso,
c’emie fuga cum’i granni,
che se ‘ggiustane i calzoni e non se volta a guardasse intorno .

     

Le pozzanghere, a prenderle a sassate/ sembrano schizzi di fontane grandi,/ e i bambini stanno a pestarle con le scarpe,/con le mani, e non basta che le abbiano tutte quante/ insudiciate. Noi cercavamo con le canne/ le figliate delle rane,/ setacciavamo con attenzione, supini,/ le acque ghiacce prodigiose./ Avveniva che per caso/ la natura si muoveva, qualcosa che ci bastava/ a farci urlare come i bambini, quando dentro/ al fango l’universo lo capivamo in un momento:/ un mucchio di codine piccole piccole, le imprecazioni/ delle madri non appena si rendevano conto./ Nel silenzio si sentiva quasi un senso di rimorso,/avevamo fretta come i grandi,/ che si aggiustano i pantaloni e non si voltano a guardarsi attorno.

*

(Inediti)

     

Sedici settembre

Stacea magiolita ‘nt’una piòva deddìo
la piana dei cappannò
‘nte la riva mancina, delà dalla ferrovia.
Gioppe ‘l colle sgappa un rivolo de malta
donca j urli, donca “mucchia giò la sbalza
delle sedie sopre ‘l marciapiede
e po’ daje e cùre!” e riva longo biastimenne
‘ncora le madonne sconosciute.
Piagno cuanno scenno e vedo, non me giro,
guardo fitto e po’ ripiagno grufulido,
la fiumana ce sdilossa de traverso, ce stragina
boccavanti, ce spagìna.
E la terra c’ha fenido de ‘mbumbisse
butta fora j anni brutti de cimento e de calcina,
passa un tronco de bedòllo e na cariola,
el bucché de cula sposa piada al volo dal pompiere.

    

Stava mansueta in una pioggia torrenziale
la pianura delle fabbriche
sulla riva sinistra, al di là della ferrovia.
Giù dal colle balza fuori un rivolo di fango
e quindi le urla, e quindi “presto ammucchia
le sedie sopra il marciapiede
e poi dai e corri!” e scivola pronunciando
anche le bestemmie sconosciute.
Piango mentre scendo e vedo, non mi volto,
guardo attentamente e poi piango di nuovo infreddolito,
la piena ci disossa da parte a parte, ci trascina
a bocca avanti, ci spagina.
E la terra che ha finito di inzupparsi
caccia fuori gli anni brutti di cemento e di calce,
passa un tronco di betulla ed una cariola,
il bouquet di quella sposa presa al volo dal pompiere.

*

La magra/ La carestia

La magra venìa come serpa tra le foje
capate ‘ntra na nengua che fiaràa,
era ‘n tizzo de bragia d’acqua giaccia
che brugia, era lagna, era stizza.
Co’ te ‘rconta i pettirosci quanno pare
vulati ‘n t’una taula de festa
e siepa e sterpa pare fiori
che decora, e i sposi
è dò ‘mpajati sa i vestiti?
Gioppe ‘l campo se facea
scuro prima, nò pensamie
che a guardallo fitto fitto
c’era caso che ‘rtornasse primavera.

     

La carestia veniva come serpe tra le erbe di campo/ raccolte dentro una neve che scottava,/ era un tizzone di brace d’acqua fredda/ che brucia, era pianto, era rabbia./ Cosa ti raccontano i pettirossi quando sembrano/ volati su di una tavola della festa/ e la siepe e il rovo sembrano fiori/ che decorano, e gli sposi/ sono due impagliati con i vestiti?/ Giù per il campo si faceva/ buio prima, noi pensavamo
che a guardarlo bene bene/ poteva accadere che ritornasse la primavera.

*

              

akeUpAndSleep, Here to Help You
WakeUpAndSleep, Here to Help You

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dal 1 Febbraio 2023
il numero di VERSANTE RIPIDO con tema:
"RUMORE BIANCO - L'ILLUSIONE DELL'INFORMAZIONE"
    
IN VERSIONE CARTACEA
È DISPONIBILE PER L'ACQUISTO