La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo
Ecco nuovamente il nostro vate delle cavolesche poetiche, regalarci un’altra gemma della sua inesauribile vegetale collezione.
Ballatella dell’io randagio e ballerino
che ti sguscia tra le dita, e invano
lo rincorri, lo addenti nei versi ma è d’acqua
e ti sfugge, ti bagna appena della sua eco,
solo un ricordo, un segno, un’orma sulla sabbia,
è un serpentello e ride, si beffa della tua
illusoria idea di essere tetragono, saldo,
di saldo, di veramente saldo sta lì la tua stupidità
che crede, si bea, s’illude. E voi cari poeti
dell’io, del potere effimero dei sentimenti,
della grazia che continuamente danza e s’invola,
voi poeticchi delle belle maniere, degli inchini,
che quest’io randagio e ballerino vi prende a calci
nel culo e ride, non v’accorgete di avere i piedi
ben saldi nella palude, nel fango scivoloso
che v’inghiotte? nella stupidità che vi sovrasta e
vi sommerge? non vedete i rivoli di io, i flussi,
la folla che dice io io io come un asino che raglia
ed è tutto un abbaglio, un vuoto, una bellissima,
una tristissima maledizione?