La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo

La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo.

     

     

La poesia è un’attività troppo seria per rischiare di trasformarla in un’attività seriosa.
Va trattata con leggerezza perché il potenziale pubblico ne riscopra la bellezza, il fascino.
Illuminante a questo proposito è una frase di Borges pronunciata nel corso delle sue famose lezioni sulla poesia tenute all’università di Harvard nel 1967: “Ogni volta che mi sono immerso nei testi di estetica ho avuto la sgradevole impressione di leggere le opere di astronomi che non avessero mai osservato le stelle. Voglio dire che si trattava di scritti sulla poesia come se la poesia fosse un dovere, e non quello che in realtà è: una passione e una gioia”.
Così abbiamo pensato di affidare una rubrica di pseudo pedagogia poetica ad Arturo Martinelli, agricoltore di Termoli con la passione della poesia, specializzato nella coltivazione di ortaggi e che per questo si definisce un poeta del cavolo.
Arturo dispenserà consigli in versi a chi intende mettersi in marcia lungo l’impervio cammino della poesia.
Consigli espressi con ironia e levità, che hanno lo scopo di aprire uno spazio di riflessione ed auspicabilmente un dibattito, più che ambire a costituire articoli di un improbabile e non richiesto codice della poesia.
Quindi opinabili e confutabili consigli elargiti per restituire leggerezza alla poesia.

Lasciamo ora la parola a Martinelli che si presenta al nostro gentile pubblico.

Un poeta del cavolo

La mia gioia più grande è essere
un poeta del cavolo. In senso letterale intendo,
escludo ogni metafora, ogni rimando.
Confesso che amo Pascoli, la sua – Arano –
mi da tutt’ora i brividi, con quel
tintinnio d’oro del pettirosso e le zolle
che s’indovinano smosse, e generose, e grasse.

Il mio sguardo è bucolico, è vero, però
possiede anche del pratico perché è bello
vedere i cavoli che lentamente – con i tempi
dettati dal sole e dalla pioggia, dalle nubi
inumidite dalla luna, e dal vento, e dalla
semplice rotazione della terra – tirano fuori la testolina
e poi un braccio, e poi imparano a sorridere o
a essere tristi dopo un giorno di pioggia, ma
anche il mercato ha le sue leggi, e i prezzi
oscillano come semafori sospesi, e segnalano
il verde, o il rosso. Pertanto
anche la poesia moderna trova una sua giusta
collocazione. Un meritato apprezzamento. Amo
non poco la Cavalli, ma anche certe signore
della sperimentazione, alcune tipe toste.

Non posso dimenticare Caproni e Bertolucci, e
certo Montale, e via fino a Sanguineti e Porta
e il primo Zanzotto. Ce ne sarebbero tanti!

Ma resto un poeta del cavolo, coi piedi affondati
nella terra, uno che guarda l’orizzonte e aspetta
che spuntino vascelli, uno che scruta le trecce
della principessa. Ma anche uno che guarda il cielo
e pesa quella nuvola: la pioggia farà gonfiare i sedani,
e già vede cassette caricare i camion, e prezzi che salgono
e siede allora, con un bicchiere in mano, al tavolo
da solo, e beve e pensa: sì, un poeta del cavolo.

2 thoughts on “La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo”

  1. Che dire: è la più bella poesia del cavolo che io abbia mai letto. E’ un vero godimento, un godimento “liberatorio” e salutare. E che cavolo di meglio ci si può aspettare da una poesia.

  2. grazie tante caro Valdo, anche la poesia del cavolo richiede passione perizia impegno, forse anche più rispetto alla poesia tradizionale, in poesia si può anche barare, come spesso accade succede di scambiare per poesia certe ben sistemate accozzaglie di parole, col cavolo non è possibile, se non è perfetto sono i mercati che ti bocciano

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