La strabiliante danza della parola: cosa vorrebbe il lettore di poesia e cosa propongono i poeti, editoriale di Claudia Zironi.
“Le lunghe discussioni dicono solo una cosa, a mio parere, che non esiste qualcosa di sicuro, di certo, di rigido e catalogabile all’interno dell’arte e la parola è arte magnifica, in sé ha la musica della sonorità delle voci, anche quando la si pronuncia a bocca chiusa, c’è la perfezione dei colori e non tanto perché li nomina ma perché ogni parola e insieme di parole sono magnifiche stagioni e come tali tavole cromatiche con scale di gradazioni senza fine,interiori sempre, perché l’esterno è sempre proiezione di un sé interiore. E’ tessitura, scultura, ceramica, oreficeria,… è matematica e geometria, fisica, chimica, umanità e animalità… poesia ha in sé la carica originaria di quel cianobatterio che ha contribuito a dare vita a questo luogo, che non è solo terrestre ma cosmico.”
Fernanda Ferraresso
Tanto si sta dibattendo e si è dibattuto sul problema della crisi dell’editoria poetica negli scorsi mesi, sulla scia dell’articolo di Zaccuri e dell’annuncio di probabile chiusura della collana Specchio da parte di Mondadori. Abbiamo ascoltato e letto voci illustri, ormai tutti i “grandi vecchi” si sono espressi, tutte le testate culturali e tutti i lit-blog si sono occupati dell’argomento.
Versante Ripido pure aveva programmato di uscire con un pezzo, raccogliendo opinioni e testimonianze fra vari addetti ai lavori. Ma poi il tema è risultato talmente inflazionato, talmente evidente è stato il ruolo del marketing della Mondadori in tutto questo, per uscire da una situazione di scarsa marginalità incolpando i produttori anziché se stessa per non riuscire a proporre in modo adeguato materiale adeguato, e per scelte prettamente economiche a discapito della storica mission morale e culturale, che abbiamo deciso di soprassedere dal proseguire una polemica inutile e sterile in cui gli unici che continuano a farsi del male sono i poeti.
Ma vogliamo dire che il re è nudo per una volta?
E’ nuda Mondadori, sono nudi gli altri editori, sono nudi i critici e sono anche nudi i poeti, ma in un senso ben diverso da quanto affermato da Berardinelli, ad esempio. Perché a mio parere poeti ce ne sono, e tanti, dalle differenti caratteristiche espressive, di valore affermato e dalle grandi potenzialità. Il numero di voci a cui abbiamo dato e daremo spazio su Versante Ripido ne è lampante dimostrazione.
Inoltre non concordo con l’ottimo Cortellessa nell’affermazione che la poesia non deve rendere e la poesia che vende è probabilmente cattiva poesia.
Mi piacerebbe che editori, critici e poeti dibattessero meno su “cos’è poesia” e su argomenti come la “resistenza” (del testo) ma facessero resistenza organizzando un fronte comune contro la deculturalizzazione e la massificazione del prodotto letterario rivolgendosi ai lettori, scopo poi per cui è nata questa fanzine VR che state leggendo. Se sto facendo di noi un esempio da seguire, migliorandone, avendo risorse, le modalità? Sì.
E mi spiego meglio.
Io sono una persona pragmatica, con un titolo di studio elevato, di tipo umanistico, ma non indirizzato verso la letteratura, con una real life che nulla ha da spartire, purtroppo, con l’ambiente della bella cultura: non sono un’intellettuale o un’insegnante o una scrittrice professionista, non ho dedicato (o meglio potuto dedicare) tutta la vita a studi certosini. Amo la poesia, amo leggerla, amo scriverla. Mi continuo a reputare principalmente una lettrice.
Prima di entrare in questo tourbillon del mondo poetico “professionale”, fino a tre anni fa, io “solo lettrice” cosa cercavo della poesia? Neruda, Ungaretti, Majakovskij, Omar Khayyam, Zanzotto, Leopardi, Roversi, Sgalambro, la Szymborska, Garcia Lorca, De Moraes, Marinetti, Baudelaire… e mi si poteva ritenere una lettrice che spaziava rispetto alla media di coloro che dicono di amare la poesia! Cercavo poeti non sempre facili ma comprensibili per quelle che erano le mie basi culturali. Non disdegnavo la “resistenza”, tuttaltro… ma volevo avere comunque una chiave per, infine, superarla.
Non dovrei a questo punto aggiungere altro, quanto testimoniato dovrebbe di per sé costituire fonte di riflessione sul divario che c’è al momento fra ciò di cui ha bisogno il lettore e ciò che viene in prevalenza offerto.
Tuttavia chiarisco ulteriormente che non sto facendo un’apologia della semplificazione e del “nazionalpopolarismo” (anche se mi piacerebbe, se la redazione me lo consentirà, proporre in futuro un numero di VR dedicato proprio all’analisi della poesia “di massa” che al momento è filone / genere ricchissimo di apporti come fenomeno epocale e culturale o subculturale che dir si voglia), ma penso solo che ci siano troppi autori capaci, colti, preparati che rinunciano a farsi leggere in nome di una ricerca artistica mal interpretata e mal applicata ma soprattutto in nome di un’oscurità di intenti che fa tanto “fico”. Per quanto concerne la ricerca: o è vera, intensificante il senso o il sentire, che dà poi strabilianti frutti, o si rischia di cadere nel sensazionalismo pubblicitario, nell’elitarismo inutile, nella performance egotica, nel “fatto a metà”, nella contestazione sterile contro il nulla. Fra il “poeta dilettante diaristico e intimista della domenica” che scrive per il proprio cassetto o paga per pubblicare e chi scrive in modo totalmente infruibile, ingiustificato e decontestualizzato, non c’è alcuna differenza dal punto di vista del portare un messaggio artistico all’umanità.
Io credo che al pubblico ci si debba rivolgere prendendolo per mano, accompagnandolo in un viaggio, instillandogli la voglia di andare oltre “cuore/ amore”, di interessarsi, di capire, di recuperare interesse, di percepire l’arte. Diamogli frutti, a questi lettori, e non semi che non si sa se attecchiranno!
E diamogli anche e soprattutto percorsi, spiegazioni quando necessitano, facendo in modo che siano, questi, altamente fruibili e comprensibili anche da chi non ha almeno due lauree in astrofisica e una in semiotica. Questo per fare cultura, per aiutare chi desidera avvicinarsi all’arte poetica a distinguere il buono dal cattivo nella jungla editoriale e markettara del ventunesimo secolo quanto mai inospitale per ciò che va consumato lentamente, compreso interiormente, sognato, assaporato nelle sfumature che lascia nel tempo e riassaporato più volte, dunque che non si presta ad essere buttato via subito per passare ad altro.
Troverete in questo stesso numero un articolo con contenuti di Dome Bulfaro (poesia abracadraba) che è lampante e pregevole esempio di ciò che intendo dovrebbe essere fatto su larga scala da parte di tutti gli operatori del mondo poetico.
Facciamocela questa domanda ogni tanto: noi ci leggeremmo se non fossimo noi stessi? E perchè ci leggeremmo? E come faremmo a sapere che noi siamo da leggere e altro no?
Dunque questo mio vuole essere un appello, l’appello di una lettrice disorientata che vi domanda: Poeti, cosa mi state chiedendo di leggere? perché dovrei amarvi?
Prima prendetemi per mano come il vostro bene più grande poi strabiliatemi, fatemi innamorare, fatemi sentire, ubriacatemi con la danza delle vostre parole!
mi piace essere il primo ad applaudirti, poi li sentirai
i fischi di coloro che ” lo sanno cos’è la poesia “, ma
per adesso accontentati di un applauso del solito oscuro
“lorenzotramaglinodiprovincia”.
Ne avevo fin sopra i capelli del dibattito con la puzza sotto il naso dei soliti 4 noti sulla fine della poesia e sul fatto che la Mondadori non stamperà più libri di poesia.
Meglio, tanto chi vuole leggere poesia se la va a cercare negli angoli giusti, con gli editori giusti, e poco per volta scoprirà gli autori che ama leggere.
Io su questo sito ne ho incontrati molti, molti e molti, e ringrazio voi della redazione per questo atto di buona volontà e coraggio.
Brava, cara amica, brava
ringrazio per essere stata tirata in ballo, personalmente non mi spaventano i discorsoni dei poetologi e dei poetichesi, dei semidei sulle are senza pace di una parola sempre poco chiara che bazzica per farsi lustra lungo tutto i corsi mai del popolo ma bancari (ma hai notato che sono più gli uomini che discutono ma sono molte di più le donne che leggono?)
La poesia è proprio materia inafferrabile e per questa sua variabilità, come è la nostra sostanza comune, umana, non è mai stata ingabbiata.Dalle reGOLE sono uscite altre vie di percorrenza e la lingua si è fatta non biforcuta ma una forca o un cappio per comprendere tutto quanto la connatura. Nemmeno io arrivo da un percorso letterario, ma scientifico e tecnico anche se la parola so come tutti gli altri che è la poesia dell’esilio e dell’esiliato. Pronunciamo parole perché siamo lontani dall’oggetto pro-nunciato e per trattenerlo in noi lo ricreiamo attraverso un sillabario tra Silla che lo dice e un argenteo metallico bario che lo specchia. Tenero e alta-mente tossico, alcalino-terroso come noi fonde a temperatura molto elevata, quale è quella delle emozioni, ma non è mai abbastanza puro, reagendo, in natura, con l’acqua e con l’ossigeno dell’aria.Proprio come noi e la poesia: vetrino di un essere in-stabile, dentro una mutazione continua.
Grazie per la passione. ferni
Fernirosso, sei un genio. Ora, in questo momento, sto scrivendo di poesia su un autore noto (monografia): e tu mi dài una sferzata. Grazie.
che dire, sono lieta di aver potuto essere in qualche modo di qualche utilità. Buon lavoro allora. ferni
Concordo con molte delle tue affermazioni. Vorrei solo aggiungere che manca la volontà di costruire qualcosa insieme, siamo milioni di “IO” che galleggiano in un mare torbido di un tempo complesso e difficile da decifrare. La poesia è sempre riferita a un “NOI”, ovvero ad un sentire che accomuna, il poeta con la sua arte dona la chance si sentire insieme. Questa è la sensazione che ho leggendo le poesie che mi prendono profondamente, la bellezza di un verso scaturisce da molte cose, una di queste è sentirsi parte di qualcosa, da una comunità linguistica alla condivisione di idee o sentimenti. Questo, a mio avviso spiega il proliferare di poesie dialettali, ma ci sono anche gruppi che coltivano poesie o testi su argomenti specifici. Il coro di poeti però risulta confuso, nella ricerca di un’autoaffermazione i versi perdono senso, perché la poesia è donare un’immagine che tocca l’anima, senza alcuna possibilità di ingabbiarla in una struttura che ne garantisca il copyright. Siamo educati a pesare ogni cosa su quanto può valere in denaro. Il problema non è che “Carmina non dant panem” ma che la poesia è un’arte discreta e delicata, chi pagherebbe per una frase? Io però senza “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” non saprei cosa vuol dire essere un soldato, non avrei capito così profondamente quanto la guerra è terribile. Per questa chiarezza sono immensamente grato a Ungaretti, ma non ho dato ne a lui ne ai suoi eredi o al suo editore una lira, o meglio lo fece mio nonno pagando il libro che ho letto qualche decina di lire. Per chiarire: la poesia non ha la forza di imporre un catenaccio, l’interessato la impara a memoria, ed ecco che non gliela togli più, è sua. Evoco un’immagine familiare e bella, il personaggio de “Il postino di Neruda”, Antonio Ruoppolo interpretato da Massimo Troisi: « La poesia non è di chi la scrive, è di chi… gli serve! ». Guardandomi attorno vedo tanti che hanno bisogno di poesia, si tratta di trovare chi la sappia donare, aimè e fortunatamente, gratis.
Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie.
Questa è la condizione della guerra che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, ogni attimo.Quella guerra con cadaveri e morti per strada, le impiccagioni, le lapidazioni, gli stupri, il peggio del peggio della nostra capacità di delinquere contro chi è come noi, non è diverso nella sostanza dal genocidio che si commette qui attraverso leggi di belligeranza ad oltranza contro le persone, che non hanno più lavoro, una casa, assistenza, facendo loro credere che la vita è una continua corsa all’oro senza tenere conto che è l’ora, ciò che conta.Ora sono vivo e ora decido: cioè taglio via, mozzo il capo ad una ragione che mi uccide, una ragione di stato che corrompe il mio stare qui, il mio essere indipendentemente dal rincorrere cose che io stesso produco ma sono niente in confronto a me:cose, appunto, soltanto cose, morte. La parola è un vuoto che si riempie del mio corpo nell’attimo stesso in cui le metto dentro il mio fiato, res-piro, fuoco che arde in me, e lo passo ad un altro, che pure ha il suo respiro ma ancora non ha sentito quanto ci sia dentro:re-spiro, avvolto in un lenzuolo di senso che gli coniugo addosso, e divento il suo osso, vertebra son-ora che lo sos-tiene in piedi, sulle tracce che gli porto, un luogo da cui muovere per andare oltre me in mare aperto. La poesia è solo e sempre un in(d)izio, mai uno svolgi-mento.
La poesia prende il verbo
La poesia e’ essere
La poesia ha avere
sa sapere
sogna sognare
varca varcare
pervade pervadere
strabilia strabiliare
significa significare
percorre percorrere
incanta incantare
scrive scrivere
nega negare
fulmina fulminare
…
La poesia infinito finisce finire
Tenersi stretti pochi verbi: leggere, scrivere, emozionare, dialogare. Cercare anche l’isola chiara fra un arcipelago di arcipelaghi di nozioni e introduzioni al sapere che galleggiano senza lasciarci accostare troppo.
> Poeti, cosa mi state chiedendo di leggere? perché dovrei amarvi?
Si ama quel tanto -quel poco- che in un verso è il riflesso di un noi sepolto o abbandonato. E se è vero che curare è voce del verbo amare, si ama ciò che ci cura. Grazie per queste puntute osservazioni.
Buonasera;
Andrea Cortellessa è abile provocatore (oltre che ottimo critico), quindi spero che la sua uscita sia, appunto, un’intelligente provocazione: che metta in luce, ancora una volta, come qualità e quantità vadano raramente d’accordo, rima a parte. E che dunque, presso un pubblico che vive di superficialità (per non dire d’ignoranza), la qualità non può produrre guadagni significativi.
Ma – a proposito di risvegliare il pubblico – è mia opinione, che ci sia poco da risvegliare: essere aperti a chiunque, essere pronti a far arrivare il proprio lavoro a tutti, è il minimo, se non si vuole arroccarsi nella nota (e idiota) torre d’avorio. Ma non facciamoci illusioni: la società italiana è ormai non agonizzante, ma in decomposizione. E dunque si sveglia chi vuol svegliarsi, gli altri continueranno a farsi pere con Bruno Vespa e va bene così: ognuno ha ciò che si merita, in politica, cultura, ecc.; non dimentichiamo che la regola numero uno è quella dell’attrazione: vulgus “chi si somiglia, si piglia”.
La qualità – almeno nel sistema in cui ci troviamo ad operare – è inguaribilmente minoritaria; come lo è un’adeguata sensibilità: che può certo ridestarsi e crescere in qualsiasi momento in chiunque, ma è faccenda personale, maledettamente (ed esclusivamente) personale.
Noi (intendendo dire “chiunque si occupi di creatività”) dobbiamo essere pronti a fornire l’innesco, il carburante, a chi si faccia scoccar dentro questa scintilla: che peraltro può scaturire da un’esperienza qualsiasi, affatto legata a poesia o altro ambito artistico. E far ciò, senza illuderci di tirarci dietro grandi folle; ci piaccia o no, dobbiamo farcene una ragione.
Quanto al perché io dovrei leggermi (se fossi un “altro-da-me”), onestamente non le saprei rispondere: potrei dirle che, con la frase che scelsi per introdurre l’home page del mio sito, dovrei essere in grado di scrivere cose interessanti dal punto di vista della “poesia civile”; e questo potrebbe essere sufficiente.
Ma sono gli altri che dovrebbero trovare una ragione, per leggere un autore: dopotutto, qualsiasi motivazione io dovessi portare a mio favore, potrebbe essere – per altri – proprio un ottimo motivo per evitarmi… O, peggio, farmi apparire presuntuoso.
Ecco, non mi vien altro da scrivere; sull’editoria poetica in generale, scriverò qualcosa sull’articolo dedicato alla “Samuele editore”; ma qui non mi pare d’aver altro. E mi spiace, se non son riuscito a strabiliarla o a farla innamorare; spero solo, dato che mi avete pubblicato un paio di mesi fa, che qualcuno abbia danzato con le mie parole.
“Poeti, strabiliatemi, trascinatemi, fatemi innamorare…, ” come dice Claudia Zironi.
Mi emoziona questo grido di aiuto lanciato ai poeti. Mi coinvolge, mi provoca come un’invocazione rivolta a una musa prigioniera immersa nei sogni…Ma cara Claudia, ho l’impressione che tu sia una delle poche lettrici e insieme scrivente poesia….il mondo dei lettori della poesia è così sparuto, così ristretto, un flebile lamento nel deserto di brutalità che ci sovrasta…ma non perdiamoci d’animo. Continuiamo a rompere l’assordante silenzio con i nostri versi e usiamoli come un’ascia di guerra.