La virtù del riso, inediti di Cristina Annino.
La virtù del riso
Lo dico da sveglio, non sogno.
Quel polso di carne o cucchiaio,
chi è? Toglie la visuale. Noi, si vive
gloriosamente toccando
ancora le cose, ed è tanto, se
elenchiamo
le muffe di casa saltando
gradini con in mano fiaccole. Ma
ogni volta la stessa solfa: chi fa
tana per primo?
Nel dito appena dell’alba,
in quella lente ruffiana, noi
si ride. Da tordi, da umani, poi
liquidi come risaie. Abbiamo
riso d’essere negri, sassi, caldaie,
diventando loro. Ché
l’invisibile è il più evoluto
movimento di luogo. Come
gli indiani al cine: il petto
aperto da spari di cristiani,
ruotano a lampade accese, e
nemmeno uno spirito cade. Così
ridono i falegnami.
Mai
vocazione unta, tipo rime
senza risaie, che non reggono
il lampo e un fulmine gli abbaia
dietro. Ognuno sbatte
sul mondo, ed è vero, la sua faccia
di rame. Fine. Allora chi è – e poi
grazie – quel cucchiaio di carne?
***
La pietà del Mondo
Una gran voglia di disubbidire; in
sogno ce l’ha nella
carne, massa di spirito voglio dire. Battendo
quel fracasso, quel ben di dio, quel marrone
cuoio. Folgorazione
d’ un quadro (sempre
libri di mezzo; mezzo scaffale
pesa quanto
un morto medio, un’età, l’esperienza
morale d’un uomo).
*
Senza fine si uccide. Dormendo
avverte metà gambe di qualcuno, già
via dal garrese i pensieri, le
immagini sacre. In due
parti si taglia un uomo: nel punto
della gola di versi. Frasario
vero quel
viso che ancora parla semivivo per
terra, poi cede. Lo fanno anche ai
cavalli! lui grida, ma nessuno
sente; o raccatta
una cicca e si fuma le dita: ballando o
morendo che male c’è?
*
In fondo al sogno lui più
patisce, quanto meno sono
le foreste del globo; questo almeno
mai uccide per primo. Si sfiorano
appena le mani e allora lo vede, il
Mondo: sdegnato, triste, che
sfiamma di spalle i crateri; un capo
lavoro! sta zitto. Poi conico in volo
così sui
suoi piedi, di nuovo sparisce.